“La madre del vento” di Emma Fenu: io non ero la figlia perfetta

Trovare uno scritto semplice di Emma Fenu non è facile, a me non è mai capitato. Dovrei cercare nei suoi temi scritti nei fogli protocolli, in seconda o terza elementare, ma non è detto.

La madre del vento di Emma Fenu
La madre del vento di Emma Fenu

La madre del vento non fa eccezione alla regola, che si conferma da sé. La cosa m’angoscia leggermente. M’angustia, mi costringe, nello stretto, a rigirare le sue pagine alla ricerca di punti d’appoggio, quasi fosse un’erta da salire senza chiodi né martelletti, con le nude mani, in free climbing. Che sia il suo bello? È la sensazione che si prova all’arrivo, non durante il tentativo.

Primo colpo basso: l’autrice non risiede più a casa di dio, presso un fiordo scandinavo, ma a Trento, più vicina di quel che pensavo. Il suo è un peregrinare, che non si sa dove ancora la condurrà. Inizio la scalata, che il Padre delle Nuvole sia meco. Tira una bella aria, tra l’altro, che aiuta e non aiuta.

Un minimo d’assistenza la dona sia la poesia Prima di morire moriamo che la Prefazione, scritte entrambe da Antonello Colledanchise. Se lo dice lui, che prima di morire si muore, lui, che è uno “Psicologo, psicoterapeuta sistemico-relazionale”, resta una minuscola speranza. Forse si ri-sorge, ogni volta, per ri-morire. Chissà Chi Lo Sa.

Detto reggiano (arşân): a la môrt a s’ rîva vîv… – … si giunge all’oscura riva partendo da quella più chiara, nuotando verso di lei. Chi e cosa s’incontrerà durante il tragitto? Una persona che ci culla nella sua pancia… poi? Chi vivrà vedrà. La sto prendendo un po’ lunga? Si chiama stretching!

Della dotta Prefazione de La madre del vento colgo l’inizio: La memoria è una trama intricata di fili che legano le storie personali al tessuto della storia collettiva.” – un unico, umido indumento, simile alla pelle?

Per capire un po’ il libro La madre del vento utilizzo anche la distinzione che Antonello fa tra “La Madre amorosa” e “La Madre terrificante” – differenti punti di vista. Amore deriva da kam’a, passione, in genere travolgente. Terrore ha la radice tras che significa spostamento da qui a lì. Non conta tanto l’atto, quanto la ragione dello stesso. L’amore ti conduce da un luogo all’altro, a volte dove non credevi ci fosse quel Paradiso. L’alternativa è che, seguendo un Corpo Lucente, tu sia tras-portato all’Inferno, ove il viaggio, d’improvviso, prevede la sosta estrema.

Il vento scompiglia i capelli e la testa che è sotto. Si dice che non va a letto con la sete: prima o poi farà acqua, potrebbe essere una pioggerella leggera o un acquazzone. Oppure un diluvio. Urge rincasare al più presto, internando se stessi e le proprie creature. È in quell’aggettivo, proprie, che si cela il busillis, la problematica che informa la storia narrata da Emma.

Chi ci attende in quell’altro versante del fiume? Una madre o una matrigna?

Poiché sono un umano strano e sento odore di terra arsa mentre ancora sta piovendo, ho deciso di sottolineare tutte le parole: madre, mamma, padre, papà, sposi, figlio, figlia etc… tutto quanto è legato alla parentela. Sto pensando a Le origini profonde delle società umane del socio-biologo Edward O. Wilson, in cui si spiega come, tra le formiche di fuoco, ha luogo periodicamente un concorso per eleggere la reginetta di bellezza. Compiuta la scelta, le operaie stroncano la vita delle candidate sconfitte, anche se parenti strette. Rimane, da adorare e servire, solo la Vincitrice. L’uomo è un imenottero evoluto, non dico come. Anche lui ha bisogno di scegliere e di scartare i suoi simili. Tutto ciò l’ha definito cultura: non si accetta l’Altro come avente i tuoi stessi diritti, ma si tende a scartarlo, a meno che tu non lo elegga come tuo Rappresentante. È un fatto orrido, ma è così.

Ora non si uccide più, siamo evoluti, si dice. Al massimo s’internano i perdenti.

Subito dopo il libro di Emma, ho iniziato a leggere l’Autobiografia di Norberto Bobbio, che trascorse la giovinezza in tempi bui e repressivi. E fu internato, per breve tempo, insieme agli amici Cesare Pavese, a Leone Ginzburg e ad altri, ognuno ricoverato nella sua gattabuia.

Quel che capita a Dalida, protagonista del romanzo, mi fa pensare alla scultrice Camille Claudel, sorella dello scrittore, Claude, e amante di Auguste Rodin, anch’egli scultore.

Il pensiero corre anche a Friedrich Hölderlin, poeta; nonché ad Alda Merini, poetessa e scrittrice. E a un mio affine di nome Andy. Affine in che senso? Non lo so, siamo legati da amicizia (il cui etimo è lo stesso di amore).

Ognuno di questi personaggi ha vissuto in maniera personale la propria condizione di internato. La più in sintonia con tale condizione è stata Alda, ma anche Friedrich s’era abbastanza adattato. Molto dipende da chi gestisce la reclusione dell’Altro, quando ci è troppo simile perché si possa reggerlo.

Andiamo al testo di Emma senza perdere altro tempo, dai!

“Tienimi la mano, Madre. Stanotte ho paura.” – è l’inizio del Prologo de La madre del vento, in cui colgo il timore di non farcela ad affrontare il Mistero che oscura la vista, senza la fede in Chi sa gestire il tempo che nudo scorre nell’empia oscurità.

“Le notti d’inverno sono infide e ventose…” – ma ci doneranno l’esito della nostra esistenza.

Sì, l’ammetto, ho sottolineato anche le parole vento e maestrale.

Cercherò di riportare il testo solo se ci sono preso per il collo, sennò mica finisco in giornata.

“… io non ero la figlia perfetta, ma un essere inquietante e animalesco, e mia madre sentiva la condanna delle altre…” – … delle altre formiche?

“Babbo è morto, non ho sognato: ho visto. L’ho visto annegare…” – e tanta certezza le dona la condanna.

Non conosco troppo la storia di quella scultrice, della poetessa, del poeta etc… So che hanno indovinato, divinando la realtà, donandoci delle verità che abbiamo compreso solo più tardi, non subito.

La protagonista del libro doveva chiamarsi Dalia – come il fiore, il cuo nome deriva dal botanico Anders Dahl che la scoprì, meno di tre secoli fa. L’etimo ebraico di Dalia è daliyyah, ramo pendente, greve di frutti, buoni o velenosi non si sa. Poi, “l’impiegato” dell’anagrafe, un po’ sordo, trascrisse Dalida – e questa fu la prima violenza che subisce la bimba, che le recò tanta sfortuna. È una mia ipotesi. Quel nome, in ebraico, significa misera, debole. Nomen omen? Sto pensando alla cantante Dalida, tanto bella e oppressa, dentro la sua anima…

Dalida è nata nel 1926, come mia madre. Fu anno colmo di eventi…

A pagina 31 de La madre del vento sorge il primo, luminoso e in corsivo, capitolo intitolato a Lucia (che splendente vuol dire). Ogni tanto le sue parole serviranno a illuminare la storia.

Al prossimo nostro incontro, cara… Tu ora vivi nel 1969… Chissà se mai ci siamo visti…

“Dopo l’arco di pietra di Guelar cominciava il regno della Madre del Vento…” – e io non sono né monarchico né antimonarchico, ma a me piacciono le singole persone, non le loro istituzioni.  So che è giusto conferire a chicchessia una qualifica, ma queste maiuscole non mi garbano, creano separazione, privilegio, ingiustizia. È giusto scrivere Emma, Rosalinda (il nome di mia madre), Dalida, Lucia, ma mi fermo lì. Accetto la maiuscola per i nomi geografici, come Guelar, Alghero, Trento, Reggio Emilia. E per cani e pets vari: Phoebe, Charlie etc… il nostro gatto di famiglia si chiamava Gâta, non gatta… Mi sto perdendo? Sì. Andiamo avanti.

“Oltre che bella, tu sei un fiore, figlia mia!” – e questo è rischioso. La bellezza di una persona povera potrebbe indurre qualcuno alla violenza, in quanto giudicata immeritata.

“La bambina è posseduta…” – questo lo dice un prete, uno che è convinto di avere una sorta di divinazione, legittima però, ché gliel’ha donata Chi Può, il Padre della Madre del Vento? In quanti sono in quella Sacra Famiglia? Chi può essere accolto? Chi opta per la libertà? Per la fuga?

Maddalena, la madre, e Dalida, la figlia, ‘ste due consanguinee disgraziate, orfane del loro scomparso congiunto, vengono adottate da una famiglia benestante. Maddalena, poveretta, fa tanta pena. Lei appartiene al suo luogo di nascita, alle usanze solite e non può uscirne. Maddalena significa originaria di Magdala, mighdal è la torre… che tristemente incombe sul destino di Dalida.

Maddalena ebbe per marito un uomo giusto, che sparì all’improvviso, inghiottito dal mare. Anche Lucia, che la credeva madre, amava il ricordo di quell’uomo… Non avendolo mai visto manco per un attimo, lo idolatrava: “Imparai ad amarlo…” – dice. Quando Lucia scopre che sua madre è Dalida, sa che la deve conoscere.

Quando la incontra, per come quella si comporta, non può che dire “Mia madre è pazza…” – non tanto perché è internata, ma essendo il suo comportamento diverso dalla norma, anche se non fa del male a nessuno, ma poiché non si riesce a capirla, è lei che sbaglia. Che significa avere ragione? Forse è comprendere tutto, anche l’assurdo? È la ragione che capisce noi, o siamo noi a capire lei?

Se sono solo in casa mi dico strane cose, ho strani, minuscoli riti, meno male che nessuno mi vede.

“Dalida si è messa a ballare nuda…” – io non lo farei mai, non ho il senso del ritmo, ma nudo ci sto, in casa, se fa caldo. Non è colpa di Dalida se casa sua è Casa d’altri. Non era neanche colpa di Silvio D’arzo, ma può capitare. Ero a militare (qui lo dico e qui lo nego) e me ne stavo alle tre di notte a penzolare da una garritta, per cui mi spogliai per protesta, tanto faceva caldo, era luglio, e tanto non c’era nessuno che mi poteva scorgere. La naja mi stava girando il cervello. La prigionia fa strani effetti sull’anima, sulla psiche.

Adesso sono guarito… insomma. Amo la libertà. E patisco per te, Dalida. Vorrei liberarti!

Emma Fenu citazioni La madre del vento
Emma Fenu citazioni La madre del vento

Non credo nella tua Madre del Vento, che tanto sollievo dà alla tua anima, ma le sono grato, anzi, Le sono grato!

Non voglio dire più nulla della tua storia. Emma l’ha scritta e io posso solo leggerla, e soffrirla insieme a te. Sono contento di non somigliare a colui che poi ti ha donato la vita di Lucia. Era un miserabile, e mi chiedo se non convenga esserlo. L’onestà fa male alla cervice. Ti fa sorgere dei complessi. Ti fa fuggire dagli altri. Ti fa seguire le Persone che non Esistono ma che portano la Maiuscola. Sono illusioni o Illusioni? Sono dei Giochi che permettono, ludicamente, di sentirsi vivi. Come anche la scrittura, la Scrittura. E la libertà, la Libertà.

Dicono che quel poeta fosse sereno in carcere, anche la poetessa. La scultrice no. Forse perché non poteva scolpire? Negare la possibilità di agire, di assecondare la propria anima, è un crimine. Anche internare un criminale è un crimine, ma pare sia un fatto necessario. Non so che dire.

Ho continuare a sottolineare, come un demente. Io sono il demente che sottolinea.

“… la figlia del diavolo…” o la Figlia del Diavolo? – “Madre, madre!” – “La Madre del Vento” o “la Madonna del Sole”? Possibile che ci siano tante differenze, ormai cristallizzate, fra noi umani?

“Io sono la figlia della Madre del Vento…” – contenta te… Tua madre t’ha donato la vita e t’ha negato la figlia. Te l’ha confiscata. E t’ha messa lì, dove un bel giorno, verso la fine, la incontrerai. Riuscirai a riconoscerla? Chi vivrà, chi leggerà, vedrà, saprà.

“Io volevo che mia figlia fosse destinata a un’esistenza migliore della mia…” – anch’io la penso così. Ma io ho vissuto benino, rispetto a te. Vorrei che fossi più felice di me. Che un po’ lo sono.

Voglio bene e a tutti quelli che sono e che erano vivi, e a Bianca Maria, bella e disgraziata animuccia.

Provo affetto per Lucia, che t’è venuta a cercare e t’ha recato da me. E a Emma. A cui per-dono tutto, anche l’Epilogo. Come lei per-donerà la mia reazione al suo libro, spero.

Nella Postfazione di Antonello leggo: “Uno dei momenti più toccanti del libro è l’incontro finale tra Dalida e Lucia…” – sì.

Non riesco a distinguere le parti di alcunché, quando sono emozionato, mi fido però di te, della tua mano, Emma. Bel nome è il tuo: significa gentile ma potente, come il dio Irmin.

Non ho inteso circoscrivere, limitare il problema dell’ingiustizia patita da Dalida, al suo essere donna. Sono consapevole di quanto le donne hanno patito nei secoli, non solo dalle tue parti, anche dalle mie, t’assicuro. Non voglio limitare il loro ambito, non lo meritano.

Non voglio separare da me colei (o colui) che ex-agera, che esce dall’argine, che non si adegua, che eccede, che crea dal nulla, che ha delle visioni che, allorché me le trasmette, diventano mie.

Non voglio limitare il tuo estro creativo. Non voglio limitare il mio.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Emma Fenu, La madre del vento, PubMe, 2024

 

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