Nichilismo e dintorni #2: il confronto dialettico tra Nietzsche e Pasolini

“Se guardi a lungo nell’abisso/ anche l’abisso guarderà dentro di te.” ‒ Friedrich Nietzsche “Al di là del bene e del male”

Nichilismo e dintorni il confronto dialettico tra Nietzsche e Pasolini
Nichilismo e dintorni il confronto dialettico tra Nietzsche e Pasolini

Nella prima puntata della rubrica “Nichilismo e dintorni” si è affrontato il tema della verità nemica della Verità per Friedrich Nietzsche, in questa seconda puntata si tratterà del confronto dialettico tra Nietzsche e Pasolini.

Il grande filosofo Immanuel Kant riteneva che l’uomo fosse caratterizzato da un’insocievole socievolezza. Credo che la più grande sfida dei tempi odierni, consista nel generare un equilibrio fra queste due polarità.

Attraverso il confronto dialettico, questo diventa possibile, perché il confronto è un modo per rendere complementare (non identico) quello che in principio è discordante.

L’Ottocento e il Novecento sono stati periodi storici di grandi cambiamenti. È giusto che in quelle epoche, individui coraggiosi si siano innalzati come aquile al di sopra della massa, poiché qualcuno doveva pur farlo per primo.

A volte è necessario sfidare il mondo intero, quantomeno per preservare i propri valori o per crearne di nuovi. Ma questo approccio non è che il principio, l’abbrivio del cambiamento, e non il cambiamento stesso.

“Le aquile non volano a stormi” dice un’antica poesia cinese, ripresa, dipoi, da Franco Battiato nell’omonima, sublime canzone.

Coltivare lo spirito richiede talvolta solitudine, silenzio e innalzamento, elevazione. Dissentire è un fenomeno con un suo preciso significato.

“Un uomo che non dissente, è un seme che non crescerà mai” afferma Bertrand Russell.

Conoscerete senz’altro le tavole dei dieci tori dello Zen, che il grande Maestro cinese Kakuan (1100-1200) riprese dalla tradizione taoista, aggiungendovi due tavole (gli otto tori del Taoismo si fermavano allo stadio del Vuoto Sublime).

Infatti, l’ultima tavola dei dieci tori dello Zen, è uno stadio dove l’illuminato fa ritorno nel mondo; dopo aver padroneggiato la forza vitale rappresentata dal toro e aver trasceso la dualità, egli si mescola con la gente “comune”.

Quest’ultimo è un approccio validissimo, ma che ancora non può prescindere del tutto dall’individualismo.

Il movimento della New Age, nato a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, si basa tutto sulla ricerca di quello che in Oriente prende il nome di “Atman”, ma, ancor di più, anela alla dissoluzione dell’Atman nel Brahman o Assoluto Impersonale.

“Nella solitudine, il solitario divora se stesso” scrive Nietzsche neUmano, troppo umano”.

Nella puntata precedente, abbiamo affermato che il percorso di Nietzsche fu un cammino di iniziazione. Possiamo ridurre approssimativamente il cammino spirituale individuale in tre stadi: ignoranza (Avidya, in Sanscrito), sensibilità estetica, saggezza.

La sensibilità cerca di portare a galla i simboli (in Massoneria si parla di “orecchio simbolico”, così come esiste un “orecchio musicale”), i miti, gli archetipi, la bellezza, ma anche l’orrore (basti pensare all’horror cosmico di Lovecraft e all’unità primigenia del dionisiaco ne “La nascita della tragedia” di Nietzsche) che sono occultati nel primo stadio.

In altre parole, la sensibilità è una spinta a decodificare ed esprimere i contenuti dell’inconscio.

“La mia biografia è la storia di un’autorealizzazione dell’inconscio” scrive Carl Gustav Jung ne “Ricordi, sogni, riflessioni”, in quanto l’inconscio preme continuamente per farsi cosciente, anche attraverso la sensibilità, l’ispirazione, i sogni, le illuminazioni.

Nietzsche fu anche un musicista ed ebbe, fino a un certo momento della sua vita, una grande ammirazione per il compositore tedesco Richard Wagner.

Il terzo stadio, ovvero quello della fusione con il Brahman (Turya, nella filosofia induista), Nietzsche lo ebbe in dono insieme alla follia, al pari di altri grandi esploratori della coscienza, come il fondatore dei Pink Floyd, Syd Barrett.

Il pensiero personale del sottoscritto, è che sia Nietzsche, sia Barrett, persero del tutto il contatto non con la realtà, bensì con questa specifica realtà, aprendosi all’esperienza di mondi superiori. Per loro, dunque, la follia fu un dono.

“A volte mi piace vedere la storia del rock’n’roll come l’origine della tragedia greca, che iniziò su piccoli spazi all’aperto nelle stagioni cruciali e all’inizio era un gruppo di fedeli che ballavano e cantavano. Poi, un giorno, una persona posseduta emerse dalla folla e cominciò a imitare un dio” affermò il leggendario frontman dei Doors, Jim Morrison.

Ricongiungersi alla Divinità, o all’Uno, come riteneva Plotino.

Esiste a mio avviso un altro “sentiero” in particolare, che non richiede di raggiungere le altezze vertiginose dell’aquila, ma che deve essere assolutamente riscoperto.

Come ben saprete, Nietzsche terminò la sua vita oramai pazzo e in stato di catatonia, a parere di chi scrive fu una di quelle anime che spiccò il volo prima delle altre e andò incontro alla stessa follia che in oriente viene attribuita ai cosiddetti “folli paramahansa” e che i Sufi chiamano “masta”.

Meher Baba, grande Maestro indiano, trascorse parte della sua vita a ricondurre questi individui dalla follia alla “normalità”.

La “via dell’aquila” infatti è molto rischiosa.

Friedrich Nietzsche citazioni solitudine
Friedrich Nietzsche citazioni solitudine

Un sentiero alternativo è quello proposto da Pier Paolo Pasolini, che criticò duramente l’approccio della generazione dei “capelloni” anni Sessanta e Settanta, che cercarono di realizzare un cambiamento drastico, sociale e individuale, scavalcando la generazione dei loro padri, senza prendere in considerazione il confronto dialettico con gli stessi.

In altre parole, i “capelloni” provarono a elidere il passato senza interrogarlo.

Nel pensiero di Pasolini, l’aquila di Nietzsche e la colomba cristiana (che ha radici nella babilonese Ishtar) dovrebbero interrogarsi dialetticamente.

E questo è un punto importantissimo per il confronto dialettico.

Perché, come asseriva Emmanuel Lévinas ne “Totalità e Infinito”, “Nella manifestazione, nell’epifania del volto dell’Altro scopro che il mondo è mio, nella misura in cui lo posso condividere con l’Altro”.

Questo vuol dire che non siamo responsabili soltanto di noi stessi, ma anche dell’Altro, non in quanto identificazione con l’Altro, bensì incondizionatamente.

 

 Written by Fabio Soricone

 

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