Vincitori e finalisti del Contest “Versi e Racconti di Lombardia”
“La poesia e la prosa trascinano la mente in un mondo che esula da qualunque faccenda della banale quotidianità, chi scrive cammina sollevato da terra, il suo sentire è piena percezione di qualcosa di superiore e nobile, i pensieri costituiscono momenti di completa pienezza e la conclusione di un racconto, di una poesia, dona serenità e soddisfazione completa a ciò che si può ben definire felicità e totale appagamento!” ‒ dalla prefazione di Teresa Stringa

Si è conclusa il 7 gennaio 2025, a mezzanotte, la possibilità di partecipare al Contest letterario di poesia e racconto breve “Versi e Racconti di Lombardia” promosso da Oubliette Magazine, dagli autori ed autrici dell’antologia e dalla casa editrice Tomarchio Editore.
La giuria del contest (Alessia Mocci, Carolina Colombi, Teresa Stringa, Franco Carta, Simona Trunzo, Miriam Ballerini e Rosario Tomarchio) ha decretato i 14 finalisti dai quali sono stati selezionati due vincitori per ognuna delle categorie in gara.
Il premio per ciascuno dei vincitori consiste nell’invio di una copia del libro “Versi e Racconti di Lombardia” con le raccolte di Francesca Santucci, Gian Carlo Storti, Giuseppe Terranova, Marcello Sgarbi, Marco Leonardi, Maurizio Fierro, Miriam Ballerini, Oswaldo Codiga, Paolo Chioda, Roberta Sgrò e Teresa Stringa, edito nel settembre 2024 da Tomarchio Editore.
Oggi, vi presentiamo tutti i finalisti ed i quattro vincitori ex aequo del Contest (due per ogni sezione).
Tutte le opere partecipanti al Contest letterario “Versi e Racconti di Lombardia” possono essere lette cliccando QUI.
FINALISTI
Sezione A, poesia
Giovanna Li Volti Guzzardi con “Ti dirò”
Angela Maria Malatacca con “Elegia del giardino smarrito”
Gianfranco Proietti con “Ritratto”
Daniela Giorgini con “Il profumo della felicità”
Antonietta Fragnito con “Rami d’acqua”
Marina Cozzolino con “Tautogramma con P”
Andrea Borselli con “La guerra”
Sezione B, racconto breve
Daniela Ferraro con “Meraviglioso!”
Fabio Soricone con “Pioggia di stelle”
Marcella Donagemma con “Boccascena e il mantello d’Arlecchino”
Annalisa Scialpi con “L’amante cinese”
Giovanni Ferrari con “The Beauty and the Beast”
Giuseppe Loda con “Era sempre una grande festa”
Franco Maccioni con “Ricordi e amicizie”
OPERE VINCITRICI
Sezione A, poesia – Contest Versi e Racconti di Lombardia
Angela Maria Malatacca con “Elegia del giardino smarrito”
Un giardino smarrito
vive oltre l’ultimo sentiero,
nel luogo più remoto
dove tace ciò che altrove è rumore.
Le foglie brillano come trasparenti lampade,
accese dal riflesso dell’attesa,
e l’aria trattiene il fiato
come chi arriva in silenzio.
Non c’è un passo quotidiano a turbare il suolo,
regna una quiete che sembra radicata.
Presenza che basta a se stessa.
V’è una grazia disadorna tra i rami,
un pensiero che non giunge alla bocca,
un’idea incompiuta che attende la sua forma.
E il giorno non osa piegarsi a questo spazio:
resta sospeso al margine del mondo,
accennando appena il suo passo,
perché sa che qui nulla qui deve mutare.
Nel giardino smarrito,
persino il tempo è straniero:
ciò che fiorisce non muore,
ciò che cresce trattiene i suoi frutti.
E chiunque lo attraversi, non trova,
né porta via.
Antonietta Fragnito con “Rami d’acqua”
Nel libro dei laghi
le tue cellule si sbracciano per raggiungermi
Sezione B, racconto breve ‒ Contest Versi e Racconti di Lombardia
Fabio Soricone con “Pioggia di stelle”
Stavo per addormentarmi.
C’era un’arpa fosforescente in fondo alla stanza.
Me l’aveva regalata mio padre.
Non era una vera e propria arpa
ma solo un oggetto per l’arredamento.
La guardai fisso per mezz’ora circa,
catturato da qualcosa che veniva da molto lontano,
da luoghi magici.
Chiusi per un attimo gli occhi e li riaprii
nel mezzo di un crocicchio.
Un unico segnale indicava la strada alla mia destra.
La percorsi.
Terminava davanti a una fitta parete di alberi.
Un bosco.
Quando m’inoltrai all’interno del querceto,
vidi arrivare Silvia che mi prese la mano.
Indossava un vestito bianco con macchie nere,
molto corto,
il carnato delle gambe come le sfumature
rosa del cielo all’alba.
Ma era notte fonda.
Il sentiero ci condusse fino ad un lago.
Stupefatto notai un’arpa che somigliava molto
a quella della mia stanza.
Una donna stupenda con una folta chioma riccia
vi suonava una musica celestiale.
A tratti inquieta.
Note che profondavano nei recessi della notte.
Apogei che solo un’anima vera può sentire.
Le dita del vento accarezzavano le foglie degli alberi,
come fossero strumenti musicali anch’essi.
Due melodie si incontravano.
Contrappunti.
Silvia non disse una parola,
mi guardò e fece un sorriso meraviglioso
che le schiarò il viso
come una perla.
Ci spogliammo ed entrammo nel lago.
La musica sortiva leggere crespature sul pelo dell’acqua,
come fosse un fiato, una carezza.
Le nostre bocche si unirono.
Silvia aveva il profumo dei fiori più rari.
Improvvisamente avvertimmo un suono d’acqua,
una sorta di “plop”,
e attraverso l’acqua scura del lago
vedemmo qualcosa di luminoso scendere
fino a toccare il fondo.
Subito dopo cadde un altro
di quegli strani oggetti luminosi.
Il vento accarezzò per un attimo i capelli di Silvia,
che sembrava sgomenta.
La sfiorò come volesse far scaturire musica
anche da quella creatura
della quale mi ero innamorato.
Caddero ancora altri oggetti luminosi.
Impiegammo un po’ di tempo a capire cosa fossero.
Alzammo gli occhi al cielo
e una pioggia di stelle discese su di noi.
Erano stelle piccolissime,
quanto il palmo di una mano.
Sorridemmo.
“Questo non mi era mai capitato” disse Silvia
guardandosi intorno.
“Figuriamoci a me” risposi.
“Prendiamone una in mano!”.
Dopo aver pronunciato queste parole,
Silvia mi guardò come una bambina
in attesa di una risposta che non arrivò.
Così, quando una di quelle minuscole stelle
cadde vicino a lei,
la prese gentilmente in mano.
Una lacrima le scese sul volto.
“Non credevo si potesse piangere per amore.
Sapevo che si può piangere di tristezza
e di gioia,
ma non per amore,
e non intendo dire per gli effetti dell’amore,
ma solo per amore. Nient’altro”.
Quando mise la stella sulla mia mano,
un bisbiglio soave s’incise nel mio cuore.
Un intarsio d’amore.
Anche sul mio volto scese una lacrima.
Un’unica lacrima.
Sulla quale avrebbe potuto specchiarsi Dio.
Quella piccola stella mi amava.
Non saprei dire in che modo,
eppure lo sentivo chiaramente,
così chiaramente che in quel momento
non c’era nient’altro.
Il mondo era scomparso.
Qualcosa di ineffabile prese forma nella mia anima.
Un origami. Una luminaria eterna.
Un fiore di luce.
Un istante che convertì per sempre,
i miei abissi.
Giuseppe Loda con “Era sempre una grande festa”
Era una giornata non troppo calda. Seduto sulla mia poltrona preferita mi guardavo un documentario alla televisione, dove mostravano delle meravigliose immagini di persone di ogni età, impegnate nella vendemmia in una minuscola valle circondata da colline. Anche se non conoscevo il posto apprezzavo la sua bellezza. Quanto avrei desiderato esserci anch’io tra quelle persone, prendere tra le mani quei meravigliosi grappoli d’uva, tagliare il picciolo che li sosteneva alla vite e depositarli nell’apposito cesto.
Stanco chiusi gli occhi e cominciai a ricordare quando ragazzino insieme ai miei amici ci divertivamo a fare quel lavoro che avevo visto in televisione.
Eravamo abituati a giocare sempre insieme, nella grande cascina dove vivevamo. Quando nei primi giorni d’autunno i nostri genitori ci chiedevano di aiutarli nella vendemmia. Certo non era un gran ché di filari, due o tre sul lato destro del nostro orto, al fianco di sedano, rape e verza. L’uva ricadeva in grappoli dalla vite, quasi da obbligarci a piegarci per raccoglierla.
Per noi quello non era un lavoro, ma un vero divertimento, quell’uva tra le mani per noi era come uno strumento di piacere.
Specialmente il giorno dopo, quando ci proponevano di entrare in grandi recipienti, dove a piedi nudi schiacciavamo senza nessuna pietà quei grossi grappoli d’uva che, con regolarità gli uomini versavano al loro interno. Come impossibile dimenticare il colore rosso, quasi come fosse sangue, mischiato all’inebriante profumo di mandorle che emanava l’uva schiacciata. Non so se per i vapori dell’uva che noi respiravamo, o altro, per tutto il tempo che le nostre esili gambette si muovevano, il sorriso abbondava sul nostro viso.
Non eravamo così felici però la sera, quando si cominciava ad avere problemi di prurito alle gambe. Anche se i nostri genitori cercavano di alleviare questi inconvenienti con delle pomate, non bastava, le nostre gambe parevano essere state punte da migliaia di zanzare.
Fortunatamente il sonno dava qualche tregua a questo nostro grattare e al mattino quei tristi momenti erano dimenticati.
Era bello vedere poi, giorno dopo giorno, quelle botti posizionate in fila sotto il portico, nell’attesa che quel meraviglioso nettare avesse quella consistenza ideale per essere estratto.
Quando finalmente il contadino più anziano, dopo avere annusato più volte e assaggiato il contenuto delle botti, anche su insistenza dei compagni che aspettavano con ansia il vino nuovo, dichiarava che si poteva estrarre, si preparava una grande festa nella cascina.
Eravamo tutti presenti quel giorno, mentre le donne pulivano continuamente le damigiane, dove gli uomini avrebbero versato il vino.
Dopo circa due mesi dalla spremitura, forse era ancora troppo presto per estrarlo, ma gli uomini oramai da troppo tempo senza vino, erano ansiosi di assaggiare quello che le loro viti e il buon Dio avevano dato.
Si notava subito dai loro volti e commenti, se quell’anno la vendemmia era stata buona, e devo dire che mai li abbiamo visti lamentarsi.
L’unica cosa che non riuscivamo a capire erano ogni anno le solite frasi:
“Forse l’anno scorso il vino aveva un grado in più, e un po’ più secco.”
Oppure:
“Quest’anno è mosso, ideale anche per le signorine.”
Certo a quei tempi non capivamo cosa volessero dire con quelle parole, ci sarebbe bastato assaggiare quel vino un po’ spumeggiante, che avevano nei bicchieri e che muovevano con regolarità quasi automatica della mano, Purtroppo ci veniva regolarmente rifiutato, alludendo che eravamo ancora troppo piccoli per bere del vino.
Questo ci creava sempre più la voglia, o forse il piacere di riuscire a fregarli nel cercare di bere quel benedetto vino, che noi avevamo pigiato. Purtroppo questo assaggio non avvenne mai.
Certo, alcuni giorni dopo anche a noi davano da assaggiare del vino che usciva nuovamente da alcune di quelle botti, ma era molto più chiaro, aveva un colore rosa pallido e profumava di ciliege. Non sapevamo il perché, di questo cambio di profumo e colore.
Questo l’abbiamo scoperto alcuni anni dopo.
Quei furboni di contadini dopo avere estratto tutto il vino, chiudevano il foro della botte, muovevano i grappoli oramai striminziti al suo interno e la riempivano nuovamente, ma questa volta non con dell’uva pigiata, ma con dell’acqua, e questo ci pareva strano, molto strano. Solamente il Signore era riuscito a trasformare l’acqua in vino, e noi eravamo certi che quei contadini non sarebbero riusciti a eguagliarlo.
L’acqua mischiata agli acini rimasti nelle botti, dopo alcuni giorni di permanenza insieme davano nuovamente del vino, anche se molto più chiaro.
I contadini però, non lo chiamavano più vino, ma un nome abbastanza strano:
“Isenò.” [in dialetto, “Acqua sporca” in italiano]
Vino leggero, dicevano, ideale da bere per i ragazzi e le donne.
Oramai da tempo questo non succede più nella nostra cascina.
Anch’io, adesso che ho una certa età, ho una bella cantina, dove numerose bottiglie di vino Rosso e bianco, provenienti dalle zone di uno dei laghi più belli d’Italia, il Garda, fanno bella mostra di sé nelle apposite scansie.
Per ricordare i vecchi tempi insieme ai miei amici, ogni autunno ci riuniamo per festeggiare con un pranzo, quasi sempre piatto unico, spiedo con polenta, accompagnato da un buon bicchiere di vino, alla salute di tutti, presenti e defunti.
I vincitori del volume “Versi e Racconti di Lombardia” saranno contattati via e-mail per l’invio del premio.
Complimenti ai vincitori, finalisti e partecipanti del Contest “Versi e Racconti di Lombardia”
Partecipa al nuovo Contest letterario cliccando QUI.
Complimenti ai vincitori e i finalisti!
Grazie Alessio! Gentilissimo, come sempre!
Grazie con tutto il cuore.
Sono felice di essere finalista al tuo meraviglioso concorso.
Augurissimi e buon lavoro!