“Sedime” di Gianni Marcantoni: sfoglia le mille voci che ti riguardano
Torna alla scrittura Gianni Marcantoni dopo qualche tempo di apparente silenzio. Apparente perché anche il silenzio è un modo di parlare.

E negli ultimi mesi ho condiviso spesso con Gianni, che è un mio amico prezioso, delle bellissime riflessioni sul silenzio dei poeti e la cosa bella è che lo abbiamo fatto in un momento conviviale, davanti ad uno spritz.
Non è possibile, ci siamo detti, scrivere sempre. Stando a quello che si legge sui social c’è gente che sgomita per pubblicare, presenziare, performare. Ma parlare sempre significa svilire la parola. Scrivere presuppone avere un’esigenza di farlo e il termine esigenza richiama una mancanza, un vuoto, una sospensione, un silenzio per l’appunto. Qualcosa da qualche parte deve concrescere, formarsi, sedimentarsi.
E così arriviamo a Sedime, il titolo, appunto della nuova raccolta poetica di Gianni.
Sedime significa propriamente “sedimento, posatura”: in ambito edile indica la superficie su cui ci sono le fondazioni di una costruzione. Si tratta di un termine raro, derivante dal tardo latino sedimen = “depositarsi”. Ricavo queste informazioni dalla enciclopedia online Treccani.
Il termine è raro e prezioso come queste poesie. Innanzitutto colpiscono la bellissima immagine di copertina, raffigurante l’acqua trasparente e verde del mare, quasi una vista di speranza sul fondo, sul sedime, per l’appunto. Molto elegante anche il font di scrittura impiegato.
Il sedime può essere una zona remota, come si evince dall’omonimo titolo della prima poesia del volume. E anche da lì non si scappa: “Sotto quel che sei ‒ e con te arrivando,/ non troverai vie di fuga”. Colpisce sempre la schiettezza con cui Marcantoni si rivolge al suo interlocutore, che viene sempre maggiormente approfondita nei versi a seguire: “Sfoglia le mille voci che ti riguardano,/ non resta che una struttura/ epidermica ridotta a un pilastro”. Innanzitutto si nota, ad inizio verso, la ripetizione della S (“Sotto… Sfoglia”), l’invito a togliere il superfluo per trovare l’essenza “Sotto… Sfoglia”), il disincanto circa la scoperta che avverrà, non troppo rassicurante “non troverai… non resta”; e ancora, sempre all’interno della stessa lirica “lascialo più sbiadito… lascialo più intatto”.
Il sedime può essere il mare, come accade nella lirica In nessun mare. Anche qui in realtà si tratta di un fondo introvabile, irraggiungibile, remoto, abissale: “Mare per noi che non ti vediamo/ mai sorgere, nel tuo barile profondo/ respiriamo insieme/ e trafughiamo conchiglie rotte”. Questa poesia mi rimanda in qualche modo a L’uomo e il mare di Baudelaire, all’interno della quale pure si instaura una sorta di competizione tra i due elementi, che però sono al contempo visti anche come amici. Marcantoni, in tal senso, mi pare meno possibilista, o più pessimista o, forse come direbbe lui, più realista.
Altra fondamentale e irrinunciabile declinazione del sedime è il silenzio cui pure sono dedicate diverse poesie. Anche perché Marcantoni, seppure raggiunga certamente in questa raccolta un livello di approfondimento superiore rispetto alle precedenti sillogi, mantiene stabili a mio avviso alcuni stilemi e alcune scelte, come ad esempio la sinestesia. Anche in virtù di questo, dunque, il sedimento si fa silenzio e rimando al lettore il compito di scoprire tale aspetto da solo, nella propria quiete, appunto.
Il sedime è la realtà animalesca che resta al di sotto di tutto: “La realtà è una bestia legata,/ gonfia di latte, dalle mammelle ferite;/ nella mossa delle fauci/ la piuma esterna viene spolpata” (lirica Cosa resta).
In tutta questa Natura sedimentata, non dobbiamo dimenticare l’uomo e le sue paure. Da un lato tale timore riguarda l’ignoto, “un mondo…/ sconosciuto come il passato/ assai lontano da noi”; dall’altro riguarda il contrasto tra la permanenza della natura e l’impermanenza dell’uomo: “E la caverna lunga e buia/ ora è vuota, l’acqua cadendo dall’alto/ è divenuta roccia;/ non siamo noi questi resti,/nquei resti non sono di nessuno” (lirica La paura dell’uomo).

Talora, invece, la Natura ci è accanto, ci è solidale, è tutto un sedime con noi: “Il sole ha i miei malanni,/ la stessa avversione,/ la mia coscia,/ e scende, affonda ultimo/ per essere uno spago tirato. Mio mentre” (lirica Accanto).
In tale mutevole scambio tra Natura e Uomo, il poeta si congeda dal suo misterioso “tu”, l’interlocutore non nominato dei suoi versi, forse il lettore, forse un amico, forse una donna, forse Dio, forse un sedime.
Chiude la raccolta la postfazione di Elisabetta Beneforti che mette in luce due aspetti apparentemente conflittuali, ma entrambi compresenti all’interno dell’opera: da un lato l’assenza di “retorica” nella versificazione del Nostro, dall’altro la presenza di “tracce indelebili della tradizione italiana” per quanto rielaborate. Un concreto esempio di ciò è, a mio avviso, la costante presenza dell’iperbato, che da un lato separa, dall’altro collega, da un lato è virgiliano, dall’altro è molto straniante.
Buona permanenza e buona lettura!
Written by Filomena Gagliardi
Bibliografia
Gianni Marcantoni, Sedime, Fara Editore, Rimini 2024