“Elisabetta. La Regina infinita” di Alberto Mattioli e Marco Ubezio: da sovrava a mito
Durante il lungo regno di Elisabetta II l’istituzione monarchica poche volte ha vacillato; e ha superato indenne quegli scossoni. La regina sembrava invulnerabile, e sì che vulnera non le sono stati risparmiati; ma ha resistito con olimpica superiorità.

Elisabetta, il nocchiero che ha guidato la Nazione per un lungo viaggio; l’ha condotta attraverso le acque della Storia, spesso tumultuose. Quella barca ha superato i gorghi, il canto delle Sirene; è andata avanti per tutto il tempo che le è stato dato da navigare.
Elisabetta II ha lasciato il timone l’8 settembre 2022; ora la barca è in balìa della tempesta. La malattia di Re Carlo III e della Principessa Kate scuote il Regno; l’edificio incrollabile pare un castello di carte su cui soffia il vento. Una sorte davvero beffarda; quasi Elisabetta II abbia portato via con sé l’equilibrio che la sua persona ha assicurato per settant’anni. E duecentoquattordici giorni. Elisabetta II sembrava la regina infinita; era, è, sarà la Regina infinita. Questo sostengono Alberto Mattioli e Marco Ubezio, autori di Elisabetta (Garzanti, 2022, pp. 326); il saggio, sottotitolato proprio Elisabetta. La Regina infinita, è stato pubblicato poco prima del giubileo di platino, l’ultimo celebrato da Elisabetta II.
Dal 2 giugno 1953, quando fu incoronata sotto le volte dell’abbazia di Westminster, la fama e la popolarità di Elisabetta II non hanno fatto che aumentare. Nel suo ruolo pubblico ha vissuto in prima persona cambiamenti storici epocali, attraversando guerre mondiali e tempeste politiche; come capo della famiglia Windsor ha dovuto affrontare scandali e tragedie, divorzi e rappacificazioni. La ferma compostezza con cui è rimasta al centro della scena per tutti questi anni l’ha trasformata in un mito che il giornalista Alberto Mattioli e il cultore Marco Ubezio celebrano con pura passione e divertita riverenza. Muovendosi lontano dai profili biografici fatti di gossip o presunti scoop, ma distillando con humour il senso profondo di una vita straordinaria, i due autori raccontano la favola di una regina che sembra aver sfidato le leggi del tempo e di cui tutti continuiamo a subire l’infinito fascino.
La favola di Elisabetta affonda le radici in una morte che devia il corso della linea dinastica; la successione si assesta entro un altro alveo e lì continuerà a fluire. Ma Elisabetta non è Regina per caso; piuttosto, come Pollicino getta le briciole, il Caso semina imprevisti. Variabili che conducono una bambina all’appuntamento con la Storia; la piccola Lilibet sfoggerà corona e scettro come Elisabetta II.
Il Caso getta i dadi. Il 14 gennaio 1892 a Sandringham si consuma l’ultimo atto della breve vita di Alberto Vittorio; l’erede della nonna, la gloriosa regina Vittoria. Il dado è tratto. Mancato Eddy, il fratello George ne sposa la fidanzata, Mary di Teck; il matrimonio è frutto della pressione esercitata dalla Regina. Mary possiede le qualità perfette perché sia una perfetta consorte reale; l’unione si rivela felice, coronata dalla nascita di sei figli. Due di loro sono i più segnati dalla rigida educazione di stampo vittoriano; l’erede al trono Edoardo, detto David e Alberto, Bertie. Ne sentiremo parlare; per il momento lasciamoli.
Elizabeth Angela Marguerite Bowes-Lyon, nata il 4 agosto 1900, cresce nel castello scozzese di Glamis; il classico maniero infestato di fantasmi, di cui lei stessa raccontava aver avuto esperienza. Elizabeth viene da un ambiente bucolico; lì l’attività all’aria aperta conta più della formazione scolastica. Nel 1916 incontra Bertie per la prima volta a Londra, durante un tea party; i due si limitano a qualche sguardo, per Bertie è il colpo di fulmine. Dopo aver infilato due no, non si dà per vinto; Elizabeth accetta la terza proposta di matrimonio. Le nozze sono forse il primo evento mediatico nella storia della monarchia britannica; vengono celebrate a Westminster il 26 aprile 1923. Verso la fine dell’estate 1925 la smiling Duchess accusa un affaticamento; la Royal Family sta per accogliere un nuovo membro. Elizabeth Alexandra Mary Windsor nasce alle 2.40 del 21 aprile 1926; teatro del lieto evento è l’abitazione dei nonni materni a Londra, nel quartiere di Mayfair. La scelta dei nomi è affidata più al padre che alla madre; Bertie segue un criterio che riflette la rilevanza delle donne della sua vita. La moglie, la nonna; la madre, quasi un atto dovuto. Clara Knight è chiamata a occuparsi della piccola; è la stessa bambinaia scozzese che ha accompagnato l’infanzia della neo mamma. Elisabetta non ha ancora compiuto un anno quando i genitori partono per il tour australiano; la bambina è affidata ai nonni. La coppia reale mostra alla nipote una tenerezza inedita; ben lontana dalla severità adottata come genitori. Il vecchio patriarca, Giorgio V, perde la testa per Lilibet; proprio lui, la cui voce cavernosa intimidisce i figli, pur già adulti. Nell’agosto 1930 nasce la secondogenita dei duchi di York; Margaret Rose completa il microcosmo nel quale cresce e si forma Elisabetta. È una famiglia nucleare, dalle abitudini borghesi; le figlie vivono a stretto contatto con i genitori, perfino il momento del bagnetto è condiviso. Bertie parlerà spesso di loro come “us four”; la moglie gli suggerisce comportamenti e toni da usare con le figlie. Oggi troveremmo banali quelle raccomandazioni; tutt’altro che ovvie nella rigida società britannica degli anni Trenta, indicano la modernità della Duchessa. La nascita di Margaret segna un ingresso in famiglia; la governante scozzese Marion Crawford. Crawfie, come la chiamano le bambine, la combina grossa; ma per noi quel guaio è prezioso.
Nel 1950 pubblica The little Princesses; un libro di memorie in cui figurano episodi dell’infanzia di Lilibet. Nel primo incontro con Crawfie, si rivela la passione che accompagnerà Elisabetta per tutta la vita; in una grande sala giochi, la bambina ha disposto una collezione di una trentina di cavalli a rotelle. Il primo in carne e ossa è un dono di nonno Giorgio per il quarto compleanno; Peggy, un pony Shetland. Nel 1932 alla famiglia si unisce Dookie, il capostipite della dinastia dei corgi; l’amore di Lilibet per cani e cavalli sopravvive nell’attenzione della regina per il benessere degli animali. Sul finire del 1935, anno del giubileo d’argento, la salute di Giorgio V vacilla; il discorso natalizio alla radio è registrato con un filo di voce. Il 1936 si apre con la consapevolezza a corte che al sovrano resta poco; “Grandpa England” lascia questo mondo il 20 gennaio 1936. Quello stesso giorno a Sandringham, Edoardo riceve l’omaggio della madre e dei fratelli; è il nuovo Re.
Il Caso getta i dadi. Un giorno di primavera, zio David si reca in visita al Royal Lodge; è in compagnia di una signora magra dalla mascella squadrata. La donna rivolge un largo sorriso alle bambine; Lilibet ha appena compiuto dieci anni, Margaret ne ha meno di sei. La mamma le ha avvisate; devono inchinarsi allo zio, come facevano con il nonno. Quanto alla signora, è solo un’amica; basta una stretta di mano. Il suo nome è impronunciabile, quasi evocasse il Male; resterà nella memoria come “quella donna”. Chi è la sventura venuta dall’Ovest? È Bessie Wallis Warfield, nata nel 1896 in un villaggio della contea di Franklin; una manciata di case colorate sparse nei boschi tra Pennsylvania e Maryland. Dopo un matrimonio violento, nel 1926 Bessie aveva incontrato Ernest Simpson; ottenuto il divorzio, nel 1928 era diventata la signora Simpson. Nell’estate 1936 Edoardo inizia a programmare l’incoronazione, prevista per il 12 maggio dell’anno successivo; intanto due eventi preludono al dramma che si consumerà in autunno. Edoardo rompe una tradizione; al soggiorno di Balmoral preferisce una crociera nel Mediterraneo insieme a Wallis e alcuni amici.
La stampa è alle loro calcagna; un’immagine di Wallis che tocca il braccio di David fa il giro del mondo. Di ritorno a Balmoral, ha luogo un episodio increscioso; Bertie e la moglie sono invitati a cena dal fratello. Fin qui niente di male; se non fosse che a fare gli onori di casa è Wallis. Ormai Edoardo ha capito; senza la sua donna, la corona è troppo pesante. In novembre comunica al premier Baldwin l’intenzione di rinunciare al trono; in quella bufera Bertie confessa di sentirsi “come una pecora portata al macello”. Le bambine osservano curiose l’affaccendarsi di signori in abiti scuri; ma ignorano che il peso del Regno sta per ricadere sulle spalle del padre.
Il dado è tratto. Il 10 dicembre 1936 Edoardo firma l’atto di abdicazione; Wallis ottiene il divorzio. La strada si è appianata; il matrimonio è celebrato il 3 giugno 1937. Le bambine ricevono l’annuncio da Crawfie; il loro papà è salito al trono. È diventato un secondo papà per tutti i bambini della Nazione; ma anche per gli adulti. Presto si faranno i bagagli; la famiglia si trasferirà a Buckingham Palace. Alla notizia del trasloco le bambine guardano terrorizzate la governante; quella sera faticano a prendere sonno. Il destino di Lilibet ha già preso forma; Margaret ha appena sei anni ma ha capito. “Questo significa che diventerai Regina?” chiede alla sorella. “Sì, un giorno”, risponde Lilibet. “Povera te”; è lapidaria, Margaret.
Il 12 maggio 1937 a Westminster è evidente il diverso contegno delle principesse; l’incoronazione è una specie di gioco in costume per Margaret, un’esperienza mistica per Elisabetta.

Veniamo a lui, l’Unno; l’uomo con cui la Regina infinita ha condiviso più di settant’anni. Filippo, principe di Grecia e Danimarca, viene al mondo il 10 giugno 1921; il padre Andreas e la madre Alice sono imparentati con i Windsor. Filippo è il primo figlio maschio dopo quattro femmine; cresce in un mondo in cui prevalgono le donne. Nel corso della guerra greco-turca, Andreas viene arrestato e condannato a morte; l’intervento di Giorgio V gli salva la vita. La famiglia si trasferisce a Parigi; Andreas fatica a garantire ai suoi un tenore dignitoso, anche a causa del demone del gioco. Eppure Filippo ricorda la propria gioventù come una stagione felice; frequenta una scuola americana e padroneggia quasi quattro lingue. Chi soccombe è Alice; nel 1929 è inviata in una clinica psichiatrica nei pressi di Berlino, poi sul lago di Costanza. Per il resto della giovinezza, Filippo non la incontrerà più; perderà di vista anche il padre, che si trasferisce a Montecarlo. All’età di dieci anni Filippo mostra una tempra robusta, una grande capacità di adattamento; preso sotto la tutela dello zio George Mountbatten, frequenta la Cheam School nel Surrey, una delle migliori del regno. Lo spirito nomade lo porta a stabilirsi in Germania, dove studia; dopo la Notte dei cristalli del 1938 decide di cambiare aria e torna nel Regno Unito. La destinazione è la scuola scozzese di Gordonstoun; lì verrà spedito anche Carlo.
Alla morte di zio George, il fratello gli subentra come tutore di Filippo; zio Dickie, l’ambizioso stratega del riscatto dei Mountbatten. Nella primavera 1939 la coppia reale parte per il Canada; le bambine restano a palazzo con Crawfie. Intanto la Storia marcia verso il baratro; nell’imminenza della guerra, zio Dickie iscrive il nipote al collegio navale di Darmouth perché sia preparato a servire il Paese d’adozione. Ci siamo; stiamo per assistere all’incontro. Il 22 luglio la Royal Family ha raggiunto Darmouth per una visita di due giorni; una epidemia di parotite tra i cadetti impone un cambio di programma. In casa del capitano, Lilibet è a disagio mentre consuma la merenda; si trova davanti un ragazzo alto e biondo che le sembra un vichingo.
Affabulatore, rompe il silenzio con una proposta; perché non andare ai campi da tennis a saltare le reti? L’intraprendenza del ragazzone conquista Elisabetta; il giorno successivo, l’ultimo cadetto a mollare la scia dello yacht reale è il vichingo. In poche settimane la nube della guerra cala sul regno; ma non interrompe la relazione epistolare tra Lilibet e Filippo. Alla fine di agosto le principesse partono in treno per la Scozia; accompagnate da Crawfie, sono dirette alla residenza di Birkhall, più appartata e tranquilla di Balmoral. La famiglia si riunirà a Natale; i quattro mesi in terra scozzese rappresentano per le bambine la prima uscita dal nido protettivo in cui hanno sempre vissuto.
Nelle prime settimane del conflitto esprimono la volontà di dare una mano al regno; a Birkhall vengono organizzati i “sewing party”, in cui si realizzano le divise per i militari. Nella primavera del 1940 il Regno Unito è sull’orlo dell’abisso; al premier dimissionario succede Winston Churchill. In estate lo scontro si trasferisce sui cieli inglesi; Bukingham Palace è più volte bersaglio dei colpi.
Il re rifiuta di riparare in Canada; resta a Londra, a fianco del suo popolo. E la regina non lascia il suo re; e le principesse non lasciano i genitori. Tutta la Royal Family resta a Londra. Il 13 ottobre 1940 Elisabetta registra il primo messaggio per la Nazione; è un incoraggiamento ai coetanei che hanno dovuto salutare le famiglie per rifugiarsi altrove. “Andrà tutto bene”, assicura loro. Dall’Oceano Indiano al Mediterraneo fino al Pacifico, l’ufficiale di Marina Filippo dà il proprio contributo al Regno; intanto si infittisce il rapporto epistolare con Elisabetta.
Durante la guerra, l’unno riceve un invito a Windsor; nel dicembre del 1943 viene allestita la rappresentazione di Aladino e la lampada dei desideri. Filippo siede tra gli spettatori in prima fila; alla fine della rappresentazione Margaret ne riceve i complimenti, Aladino solo un sorriso. Ma Crawfie giura di non aver mai visto la sua pupilla così raggiante; il volto di Aladino Lilibet è acceso di una nuova luce. Dopo lunghe insistenze, la principessa ottiene dal padre il permesso di partecipare allo sforzo bellico; nel 1944, compiuti diciotto anni, si arruola nel Servizio ausiliario territoriale. Il secondo subalterno Elizabeth Windsor impara a guidare i camion e a ripararne i motori; durante un viaggio del padre in Italia, esercita per la prima volta le prerogative del sovrano. Firma la grazia in un caso di omicidio; in questa occasione, Elisabetta si pone un interrogativo. Qual è il motivo che porta la gente a commettere atti così terribili? La risposta che si dà denota l’attitudine al servizio piuttosto che al giudizio; è determinata a imparare più possibile sulla natura umana per aiutare le persone. L’8 maggio del 1945, il “V-Day”, il Regno esulta; in via eccezionale, le principesse sono autorizzate a lasciare il palazzo per mescolarsi alla folla festante.
Filippo rientra in Gran Bretagna all’inizio del 1946; senza indugiare, inizia a coltivare di persona il rapporto con Lilibet. In settembre riceve un invito per Balmoral; i sovrani non ostacolano la relazione dei ragazzi. Tuttavia nutrono dubbi sull’opportunità di formalizzarla; la principessa ha vissuto gran parte dei suoi vent’anni in un ambiente fin troppo protetto. Il 1° febbraio 1947 la Royal Family salpa per il Sudafrica; il 21 aprile cade il ventunesimo compleanno di Lilibet. In questa ricorrenza pronuncia un discorso alla radio; con voce ferma, presta un giuramento. Si impegna a servire la grande famiglia imperiale per tutta la vita; lunga o corta che sia. Non lo sa, Lilibet; ma ha lanciato una sfida al Tempo. Filippo viene naturalizzato come suddito britannico; il 9 luglio Giorgio VI e la Regina annunciano il fidanzamento. I preparativi per le nozze sono irti di difficoltà; la guerra ha lasciato macerie ancora fumanti, anche di ordine economico. Per acquistare il tessuto dell’abito da sposa occorre un numero cospicuo di buoni di razionamento; quelli risparmiati da Elisabetta non sono sufficienti. Molte ragazze si rispecchiano nel sogno del principe azzurro; i loro buoni piovono su Buckingham, perché la principessa viva la sua favola. Ma Elisabetta non può accettare; i buoni mancanti sono forniti da un imbarazzato governo.
Il matrimonio viene celebrato il 20 novembre 1947; il clima insulare rende omaggio agli sposi con una inusuale mitezza. Westminster è gremita; le telecamere riprendono la cerimonia, trasmessa in diretta radiofonica dalla BBC. Lilibet sfoggia una tiara di diamanti appartenuta a nonna Mary; nel bouquet non manca il mirto, fiore delle spose reali. Firma il certificato di matrimonio come “Elizabeth”; indica come professione “principessa del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. Anche Filippo indica solo il proprio nome; nella sezione occupazione scrive “Sua altezza reale il duca di Edimburgo”, titolo conferito dal Re quella stessa mattina.
Il 14 novembre 1948 a Buckingham Palace viene alla luce l’erede al trono; Charles Philip Arthur George Mountbatten-Windsor, presto staccato dal seno materno. Almeno per i figli più grandi, Elisabetta rispolvera la tradizione vittoriana; li affida alle nunny, dedicando loro solo due momenti della giornata, la mattina e la sera. Non si tratta di scarso istinto materno; è diventata mamma da erede al trono, in un momento in cui gli impegni istituzionali si infittiscono. Il 15 agosto 1950 a Clarence House nasce la secondogenita; è battezzata Anne Elizabeth Alice Louise. Dal 1948 la salute di Giorno VI è andata peggiorando; la figlia è stata chiamata spesso a farne le veci.
Il 23 settembre 1951 il Re è sottoposto a un intervento chirurgico; tocca a Elisabetta e Filippo rappresentarlo in Canada e negli Stati Uniti. Alla fine di gennaio 1952 la coppia parte per un tour istituzionale in Australia e Nuova Zelanda. A Sandringham il 5 febbraio è stato un giorno di caccia al coniglio; il Re è parso di buon umore. Alle 22.30 si ritira nella sua stanza; intorno a mezzanotte un valletto lo vede aprire la finestra. Intanto Elisabetta dorme sopra un albero di baobab nella savana africana; vi è salita da principessa, scenderà da regina.
Il vestito a lutto imbarcato per il viaggio è sulla via per l’Australia; Elisabetta parte dal Kenya in abito a fiori e sandali bianchi. Il vestito nero la raggiungerà all’aeroporto di Londra. A porgere le condoglianze della Nazione piangente c’è Churchill; quello stesso Churchill si era rammaricato che la nuova regina sia solo una bambina. Quando la vede scendere da sola la scaletta, il vecchio leone deve ricredersi; quella che ha davanti non è affatto una bambina. La prima questione che deve affrontare da Regina è il cognome da attribuire ai figli; a malincuore deve seguire le direttive del governo. Continueranno a chiamarsi Windsor; inutile dire quanto Filippo sia ferito nell’orgoglio.
Forse per rimediare all’offesa, la regina lo nomina capo della commissione per l’incoronazione; il Principe e la potentissima BBC puntano alla copertura in diretta dell’evento, previsto per il 2 giugno 1953. La Regina vince l’iniziale ritrosia; acconsente alla diretta con una soluzione di compromesso. Le telecamere si spegneranno durante i due momenti più sacri della cerimonia; l’unzione e la comunione. La Regina Mary aveva espresso per iscritto la sua volontà; la sua morte non avrebbe dovuto ritardare l’incoronazione della nipote. Così è. Il faro di Elisabetta si spegne nel sonno il 24 marzo 1953; il 2 giugno alle 10.26 in punto la carrozza della Regina parte da Buckinghm Palace e alle 11 raggiunge Westminster. Il rito, vecchio di mille anni, viene narrato da sir Richard Dimbleby; un pubblico di cinquecento milioni di persone ascolta rapito l’anchorman della BBC. Gli anni Cinquanta sono segnati da viaggi, dai paesi del Commonwealth agli Stati Uniti; in un paio di occasioni Filippo salpa da solo in giro per il mondo. Nell’aprile 1959, a dieci anni dall’ultima gravidanza, Elisabetta rimane incinta; il 1960 si apre con la nascita di Andrea. La questione del cognome viene risolta; la casa regnante continuerà a chiamarsi Windsor. Filippo potrà dare il proprio nome agli altri discendenti; quelli privi del titolo di altezza reale si chiameranno Mountbatten-Windsor. Quattro anni dopo la Royal Family si completa; il 10 marzo 1964 nasce Edoardo.
La morte di Churchill nel 1965 segna la fine di una gloriosa epoca; quella in cui il Regno Unito, per quanto impoverito, aveva giocato il ruolo di potenza sulla scacchiera mondiale. Gli anni Sessanta vedono la Regina alle prese con varie turbolenze; nell’ottobre 1966 un villaggio del Galles è travolto da una valanga di acqua, fango e detriti; dal Commonwealth arrivano notizie preoccupanti; nel giugno 1969 va in onda Royal Family. Il documentario, autorizzato da Elisabetta, riscuote enorme successo di pubblico; tuttavia la Regina rinnegherà l’iniziativa. Il rischio è che il film violi il misticismo di cui si nutre la monarchia; essa potrebbe morirne. Royal Family non sarà più messo in onda e sparirà dagli archivi. L’ultimo scorcio del decennio vede la recrudescenza della questione irlandese; il conflitto culminerà nel “Bloody Sunday” del 30 gennaio 1972. Strascichi di malumori colpiscono anche la famiglia reale; il 27 agosto 1979 Dickie Mountbatten resta ucciso nell’esplosione della propria barca. Teniamo in mente la morte di zio Dickie; offrirà a qualcuno il pretesto per apostrofare uno dei nipoti.
L’austerità imposta dal governo Thatcher crea malumori; in questo clima plumbeo la Nazione ha bisogno di una favola. E la famiglia reale ne regalerà una.
Diana Frances Spencer è nata il 1° luglio 1961 vicino Sandringham; “la principessa del popolo” viene in realtà da una delle casate più nobili e antiche del Paese. Nel 1966 la madre lascia il marito per un altro uomo; Spencer ottiene che i figli restino a Park House. Diana ha sette anni; la separazione dalla madre ne segna in modo irrimediabile l’esistenza. L’appuntamento con Londra arriva nel 1978; insieme a tre amiche, Diana vive in un appartamento di South Kensington. Sono le “Sloane Rangers”, ragazze dell’alta società che calzano scarpe griffate; ma sopra indossano abiti dimessi per ricordare l’origine campestre. Di famiglia agiata, non hanno bisogno di lavorare; sono per lo più segretarie o, come Diana, babysitter. Nel 1972 Carlo aveva frequentato per alcuni mesi Camilla Shand, all’epoca già fidanzata; la forzata trasferta caraibica del Principe aveva scritto la parola fine al rapporto. Nel 1973 Camilla aveva sposato Andrew Parker Bowles; Carlo era tanto sconfortato quanto dileggiato sui giornali. Un breve ritorno di fiamma con Camilla, poi la svolta della vita; una storia su cui sono stati scritti fiumi d’inchiostro. È l’estate del 1980; alla festa di compleanno di un amico comune, una ragazza bionda apostrofa Carlo. Si dice vicina a lui per la perdita dello zio Dickie; avrebbe addirittura “il cuore sanguinante”.
Il volto della ragazza non è nuovo a Carlo; la ricorda bene. Sì, è quella ragazzina sempre sorridente; quella che cercava in tutti i modi di farsi notare. L’interesse del Principe non pare andare oltre l’amicizia; Diana però vanta una schiera di sostenitori a corte. La capofila è la Regina Madre; dopotutto la giovane Spencer è erede di una delle famiglie più gloriose del Regno. Nel corso della stessa estate, Diana riceve l’invito per Balmoral; durante un pomeriggio di pesca, Carlo e Diana finiscono nell’obiettivo di un cacciatore di scoop. Il Principe del Galles ha una nuova fiamma; presto i principali giornali del Regno ne scoprono l’identità. La stampa diffonde un equivoco imbarazzante; la Royal Family rischia di finire al centro di uno scandalo. Per arginare il danno d’immagine Filippo pone un ultimatum; Carlo deve decidere: interrompa la relazione o sposi Diana.
Il Principe non è per niente convinto; gli amici gli sconsigliano quel matrimonio. Ma Carlo non ha mai ricevuto l’approvazione dei genitori; forse è per questo che si trova a forzare la decisione. La proposta di matrimonio arriva dopo una cena al lume di candela a Windsor; è il 6 febbraio 1981. Il 29 luglio Carlo e Diana si sposano a St Paul, nel tripudio generale; la cerimonia è seguita da un miliardo di persone in tv e da quasi un milione dal vivo. L’errore di Diana suona come un cattivo presagio; al momento dello scambio delle promesse, inverte l’ordine dei nomi del marito. Nessuno lo sa, ma ha dovuto stringere più volte il vestito da sposa; negli ultimi mesi si sono riaffacciati i vecchi disturbi alimentari. A Balmoral si annunciano le successive tribolazioni; Diana non nasconde il disprezzo per i rituali di corte né si integra con la famiglia. Lady D resta incinta nel giro di pochi mesi; la Regina convoca a palazzo i principali editori del Regno. Il messaggio è chiaro; basta intrusioni nella vita privata dei principi del Galles. Nel giugno del 1982 viene alla luce l’erede al trono, William Arthur Philip Louis; la gioia è presto offuscata dalla depressione post parto di Diana. I disturbi alimentari tornano a ghermirla, la gelosia verso Camilla si esaspera; in settembre cerca di tagliarsi le vene. Nel settembre 1984 nasce Henry Charles Albert David; la mamma vive con più serenità il periodo post parto. Aumenta gli impegni pubblici, specie quelli legati alle attività benefiche; ma la gelosia resta immutata, quasi paranoica.
Nel 1985 Sarah Ferguson entra nella famiglia Windsor; il principe Andrea perde la testa per quella ragazza rossa. Il matrimonio è celebrato a Westminster il 23 luglio 1986; l’unione comincia a scricchiolare pochi anni dopo. Anche i principi del Galles navigano in cattive acque; Carlo cerca conforto tra le braccia di Camilla, Diana tra quelle di aitanti guardie del corpo. Nel 1992 Lady D inizia l’offensiva contro il marito; sul «Daily Mail» appare una foto dalla forza espressiva senza precedenti. La Principessa siede malinconica; le spalle perfettamente allineate al Taj Mahal sullo sfondo. Le mosse successive sono accuratamente studiate; a giugno il «Sunday Times» pubblica gli estratti di un libro infuocato. Diana, la sua vera storia di Andrew Morton è un durissimo j’accuse; se Carlo è il principale imputato, la famiglia reale non è risparmiata. La Regina invita la coppia alla riconciliazione; suggerisce alla nuora di accompagnare il marito in Corea in novembre. Questo viaggio è l’ultimo impegno comune da coniugi; in autunno entrambi hanno iniziato a consultare i propri legali. I guai della Regina non hanno fine; il 20 novembre un incendio divora una larga sezione del castello di Windsor. Il conto dei danni è ingente; la soluzione ai problemi finanziari della Corona è l’apertura a pagamento di Buckingham Palace.
Il 24 novembre 1992 la Regina tiene un discorso presso la Guildhall; ha la febbre, la gola irritata dal fumo dell’incendio. Con voce più sottile del solito, lo ammette; il 1992 è stato un annus horribilis. Per la prima volta in vita sua, Elisabetta solleva la maschera impassibile della sovrana; mostra il fragile volto della donna. L’anno finisce insieme al matrimonio di Carlo; il 9 dicembre il John Major annuncia la separazione. I Principi non hanno piani per un divorzio; le rispettive posizioni costituzionali restano immutate. All’ascesa al trono di Carlo, Diana sarà Regina consorte; a giudizio di Major, non c’è motivo per non incoronarla. Ai Comuni si levano urla di protesta; Diana piange come se avesse subìto un lutto: la corona era il suo sogno fin da bambina.
Nel biennio 1994-1995 la Regina è alle prese con impegni internazionali; mentre la suocera riscuote trionfi, Diana torna ad attaccare la monarchia. Il 14 novembre 1995, compleanno di Carlo, Buckingham Palace riceve un annuncio; Lady D comunica la sua imminente apparizione in una trasmissione politica della BBC. L’intervista va in onda il 20 novembre; le dichiarazioni esplosive di Diana superano le fosche previsioni della Regina. L’esordio è una critica alla glaciale distanza della monarchia dalla gente; e poi giù a menare colpi su Carlo, reo di aver reso il matrimonio troppo affollato.
La pazienza di Elisabetta ha raggiunto il limite; fa partire una doppia missiva in cui ordina l’immediato divorzio. Le trattative partono in salita; l’accordo viene siglato il 28 febbraio 1996. La custodia dei figli resta congiunta; solo alcune decisioni su William, in quanto erede al trono, devono essere concordate con la Regina. Il 28 agosto si conclude la favola dei principi; due firme vi pongono la parola fine. Arriviamo al 1997; l’anno in cui una forte onda emotiva fa tremare la monarchia. I
n agosto la Royal Family naviga lungo i fiordi scozzesi; intanto Diana attraversa il Mediterraneo a bordo dello Jokital. La lussuosa nave appartiene a Mohamed Al-Fayed; uomo d’affari di origini egiziane, è proprietario dei grandi magazzini Harrods. Durante la crociera scocca il colpo di fulmine; pare che Dodi, rampollo di Al-Fayed, sia rimasto folgorato da Diana nel corso di un pranzo. Stando agli amici più intimi di Lady D, Dodi sarebbe stato solo un diversivo; un modo per far ingelosire l’unico uomo di cui sia stata davvero innamorata. Prima di tornare a Londra, i due fanno scalo a Parigi; i paparazzi si lanciano all’inseguimento della loro auto.
Conosciamo bene il finale; la folle corsa si conclude al tredicesimo pilone del tunnel dell’Alma. Domenica 31 agosto è iniziata da ventiquattro minuti; all’una il segretario della Regina riceve la telefonata. Diana è rimasta coinvolta in un incidente stradale; lotta tra la vita e la morte. La famiglia viene informata; alle quattro giunge la notizia della morte di Diana. È Carlo a riferire ai figli la tragedia; l’obiettivo della Regina è quello di proteggere i nipoti. Quella mattina, l’ufficio stampa diffonde un comunicato; nell’esprimere cordoglio, la Royal Family spiega che resterà a Balmoral per garantire ai ragazzi la massima serenità. L’opinione pubblica non comprende la sollecitudine di nonna; condanna la freddezza della Regina. A Londra si innalzano cumuli di fiori, biglietti e pupazzi; ma il pennone di Buckingham Palace è desolatamente nudo. Monta lo sdegno della Nazione; la stampa diventa aggressiva. La popolarità della monarchia registra il calo più vertiginoso di sempre; i collaboratori convincono la Regina a cambiare programma. Elisabetta e Filippo volano a Londra il venerdì mattina; il loro corteo attraversa le strade della capitale in un gelido silenzio. Alle diciotto la Regina pronuncia un discorso televisivo; il momento cruciale arriva quando ringrazia Dio per “qualcuno che ha reso felici molte, molte persone”. Quelle parole le valgono il favore dell’opinione pubblica; ha mostrato tenerezza senza mancare di autorevolezza. Quando il feretro di Diana passa davanti ai cancelli di Buckingham Palace, avviene qualcosa di inaspettato; la Regina china la testa.
Elisabetta e Diana incarnano due visioni antitetiche dell’esistenza; due mondi difficilmente conciliabili. Per la Regina la vita è un dovere da compiere; per Diana è la ricerca della felicità. Lady D non aveva compreso che l’ingresso nella Royal Family comportava un sacrificio; quello della propria individualità. Qual è la colpa di Diana? Aver violato una regola; “never complain, never explain”. Mai lamentarsi, mai dare spiegazioni; la monarchia ha bisogno di una dose di mistero. La morte di Diana ha acceso la commozione delle folle; e la Regina non è venuta meno al suo dovere. Si è appellata alle regole; ha avuto la finezza politica di cambiarle per dare al suo popolo ciò che chiedeva.

Gli anni successivi tolgono e dànno; lutti importanti prosciugano vita, matrimoni e nascite donano nuova linfa. Le giovani generazioni rinfrescano il volto della Royal Family; Elisabetta stessa si apre alla modernità, la tocca con mano senza esserne toccata. D’altra parte chi oserebbe violare l’aura di Your Majesty?
Perché Elisabetta è infinita? Facile; per la longevità. Anche, ma non solo. C’era già quando molti, in tutto il globo, sono nati. C’era quando sono diventati adulti. Dal suo trono ha accompagnato la vita di tanti, e di più generazioni. Ha visto succedersi quattordici primi ministri; e sette papi, quattordici presidenti degli Stati Uniti, nove della Repubblica francese, dodici di quella italiana. Mentre il mondo si muoveva lei era lì, salda. Ma non è solo questa la ragione della sua infinità. Elisabetta è stata l’anima e il corpo dell’istituzione monarchica; la società è cambiata, gli uomini sono cambiati, le epoche si sono succedute. La regina ha incarnato la perennità della Nazione al di sopra delle ideologie, dei partiti; al di sopra del tempo. La monarchia si sottrae alla legge di Cronos; così Elisabetta, sempre uguale a se stessa fin nell’acconciatura. La Regina non ignorava le mode; ma le ha trascese.
“Bisogna che qualcuno resti com’è, perché tutto cambi. E lei è sempre lì, sorridente, severa, coscienziosa, impeccabile, prevedibile, assennata. E, soprattutto, infinita”.
E mentre il tempo degli umani scorreva, qualcosa non è mai venuto meno; il patto irrazionale ma assai vitale tra la Regina e il suo popolo. Esso ha resistito perché Elisabetta ha creduto fino in fondo alla propria missione; e l’ha svolta con coscienza e rigore. Non ha mai avuto dubbi perché ha rifiutato di porseli; attraverso l’unzione, Dio ne ha consacrato la vita a servizio della Nazione. Per questo la parola abdicazione non esisteva nel suo vocabolario. Rigorosa come un soldato; fedele come una sacerdotessa. Che futuro si prospetta per la monarchia? La questione non è se gli eredi sapranno regnare; ma se si mostreranno convinti del diritto dovere di farlo. “We will meet again”; disse il 6 aprile 2020 alla Nazione in lockdown. La Regina non è più su questa Terra; ma quelle parole risuonano ancora, promessa di infinità.
“We will meet again”; come dire “andrò. Cambierò forma. Tornerò da voi.”
Written by Tiziana Topa