Vampiri: quando e dove iniziò la leggenda?

“Tra il 1730 e il 1735, non si sentì parlare d’altro che di vampiri.” Gilles Deleuze e Félix Guattari in “Mille piani. Capitalismo e schizofrenia”

Dracula film citazioni vampiri
Dracula film citazioni vampiri

Nel 1869 il folklorista russo Aleksandr Afanasev ipotizzò che vampiro derivasse dal lituano vampti (bere) o vamptyti (abbaiare). Jan Louis Perkowski, il principale vampirologo slavo, sostenne che il vocabolo serbo vàmpir fosse una variante del russo upirt, del bulgaro vapir, del polacco upiòr, a loro volta prestiti del latino impūrus  (impuro, riferito a un cadavere); ci furono altre speculazioni, ma tutti furono concordi nell’affermare un punto di partenza: il vampiro assunse forma compiuta dall’incontro del folklore dell’Europa orientale con la razionalità investigativa illuminista, prima che il Romanticismo lo trasformasse in materia letteraria fino al culmine della mitografia cinematografica e musicale, rendendolo un archetipo immortale.

Il primo a parlare di vampiri fu un certo Frombald, un oscuro ufficiale medico dell’esercito imperiale austro-ungarico, che riferì al suo comando a Vienna che gli hajduk, i soldati serbi, avevano riesumato e trafitto con un paletto un cadavere prima di bruciarlo. Affermavano che il cadavere era uscito dalla tomba per strangolare le vittime e infettarle con un morbo che ne aveva provocato la morte in 24 ore.

In una nota a margine della sua relazione, Frombald chiamò queste creature vampyri. Seguirono casi simili, ma fu due anni dopo, nel novembre del 1732, che la situazione precipitò, quando un ex soldato, Arnold Paole, a seguito di un attacco di un vrykolakas turco, diffuse il contagio vampirico nel villaggio serbo di Medwegya. A quel punto l’alto comando di Belgrado inviò sul posto una commissione guidata da un epidemiologo di nome Glaser, che riesumò i cadaveri infetti e accertò che i corpi erano freschi e rossastri, i capelli, la barba e le unghie erano cresciuti, e le vene erano piene di sangue fluido. Ne seguì una relazione, la Visum et repertum, redatta dal chirurgo militare Johann Fluckinger. Il rapporto, pubblicato su ”Glaneur Historique”, ebbe ampia diffusione, il dibattito sui vampiri esplose in tutta Europa e quell’anno sarebbe stato comunamente considerato come l’anno dei vampiri.

Nei tre anni successivi furono pubblicati dodici libri sul vampirismo, diverse trattazioni scientifiche e anche il primo compendio ufficiale, il “Tractat von dem Kauen und Schmatzen der Tolden in Grabern”, del pastore luterano Michael Ran.

A un certo punto i vampiri erano ovunque, e come riporta Nick Groom nel suo “Vampiri” (Il Saggiatore), a cui queste note sono debitrici, le epidemie vere o presunte si propagarono, soprattutto in Slesia, Moravia e Valacchia, al che, le autorità, preoccupate che il fenomeno potesse assumere i connotati di un delirio di massa, cercarono di correre ai ripari opponendo al fenomeno uno sguardo razionalista, tanto che l’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo (su suggerimento del suo medico e consigliere Gerard van Swieten), il primo marzo 1755, decretò che i vampiri erano frutto dell’immaginazione, e che le indagini ufficiali non avevano evidenziato nulla di sovrannaturale. Da quel momento i casi di vampirismo furono rimossi dalla giurisdizione sia degli ordini religiosi sia del governo.

Dopo la presa di posizione da parte dell’autorità costituita, l’immaginario vampirico si indebolì, si nascose, ma non smise di propagarsi come in un tracciato carsico; l’idea del contagio mediante germi infettivi non perse mai del tutto vigore, germinando in epoca vittoriana dopo essere stato fertilizzato dalla teoria microbica di fine Ottocento, che, dando un senso all’idea del contagio vampirico del secolo precedente, regalò al vampiro un nuovo slancio e trovò nel “Dracula” di Bram Stoker, pubblicato per la prima volta nel 1897, il suo miglior vessillo, riprendendo un filo mai completamente interrotto (si pensi al romanzo  “Il Vampiro”, del medico e segretario di Lord Byron John Polidori, pubblicato nel 1919 e originariamente attribuito allo stesso Byron). Nel romanzo, il protagonista Jonathan Harker è inizialmente scettico nei confronti delle superstizioni dell’Europa orientale, zona ormai comunemente indicata come insediamento dei vampiri, ma anche su insistenza del professor Van Helsing, esperto di occultismo, ben presto riconosce il vampirismo come una condizione reale.

Citando “La Chiave dei grandi misteri” (1861) di Eliphas Lévi, la teosofa Helena Petrvna Blavatsky, combinando scienza medica  teologia e filosofia, sostenne che i vampiri fossero anime depravate e malvagie protagoniste sul palcoscenico spirituale, che potevano essere annientate solo nel corso dei secoli, alimentando l’idea del contagio da vampirismo psichico, che avrebbe portato a considerare vampiri emotivi quelle persone “drenanti” che, risucchiando l’energia psico-fisica altrui, rappresentano in definitiva una metafora del potere; d’altra parte, il conte Dracula di Stoker opera nella finanza, e lo stesso ammazzavampiri Abraham Van Helsing è un avvocato d’affari,  rappresentanti di un capitalismo senza regole, in cui i movimenti di capitale e di sangue risultano indissolubilmente legati.

E se lo psichiata Richard von Krafft-Ebing nel suo “Psychopathia Sexualis” (1886) definiva alcuni casi di vampirismo sessualizzandone la figura, caratterizzata da fascino ipnotizzante e profonda lascivia (si pensi alla novella “Carmilla” di Sheridan Le Fanu), la diffusione dell’identità vampirica sarebbe stata amplificata dal successo del cinema del Ventesimo secolo, permettendo alle storie di migrare dal libro al grande schermo e ai personaggi di carta di subire l’avanzata del proprio doppio cinematografico.

Iniziò nel 1915 Louis Feuillade con “Les Vampires”, un film dall’atmosfera onirica e perturbante, con protagonista la diafana attrice Masidora, una storia in cui i personaggi morti tornano in vita mentre i pilastri della società (un prete, un poliziotto, un giudice) si trasformano in vampiri.

Nel 1922 Friedrich Wilhelm Murnau, osannato regista dell’espressionismo tedesco, morto a 42 anni in un misterioso incidente automobilistico (nel luglio del 2015, nel cimitero di Stahnsdorf la sua tomba fu profanata e il suo teschio asportato e mai più ritrovato), adattò il romanzo di Stoker facendo interpretare il “conte” da Max Schreck, la cui straordinaria presenza scenica creò una delle più durature e spettrali rappresentazioni di Dracula.

Il suo “Nosferatu il vampiro” fu un immediato successo commerciale e divenne seduta stante un classico. Ed in effetti i vampiri si adattavano molto bene al cinema in bianco e nero, con i suoi misteriosi effetti di chiaroscuro e il contrasto fra il dress code rigorosamente all black e i volti pallidi e cadaverici. Lo studio system di Hollywood ne intuì le potenzialità commerciali e nel 1931 la Universal produsse “Dracula” (affidandone la regia a Tod Browning), tratto dall’omonimo adattamento teatrale dell’inglese Hamilton Deane, entrambi con protagonista l’attore ungherese Bela Lugosi, che da quel momento divenne un’icona globale e così inscindibilmente collegato al suo personaggio da venirne in qualche modo vampirizzato.

Bela Lugosi - attore Conte Dracula
Bela Lugosi – attore Conte Dracula

E mentre l’iconografia vampirica spopolava attraverso la rivista pulp Weird Tales, con il contributo di scrittori come Robert Bloch, Robert E. Howard, H.P. Lovecraft e Thorp Mc-Clusky,il grande regista danese Carl Theodor Dreyer girò “Il Vampiro”, suo primo film sonoro, liberamente tratto da “Carmilla” di Le Fanu, introducendo in un contesto profondamente onirico elementi di sessualità ed erotismo, e l’espressione di desiderio carnale di una donna vampiro (interpretata dall’eterea Rena Mandel) nei confronti della sorella, aprirono a un immaginario erotico che modulò una nuova immagine di femminilità, personificata dalla pelle diafana e dagli occhi grandi di Theda Bara (Theodosia Burr Goodman), con il suo fascino da dominatrice sessuale, star del muto conosciuta come Vamp, e che nella pellicola di Frank Powell “A fool there was” (1915) recita nel ruolo della vampira psichica Vampire Woman, prototipo della femme fatale e ideale progenitrice di tutte le reginette vamp in seguito raffigurate, che magari non dormono nelle bare come era solita fare Sarah Bernhardt, ma che nel loro algido allure avrebbero fatto le fortune delle strisce dei fumetti di Charles Addams (apparse sul New Yorker a partire dal 1938), nonché in seguito di Carolyn Jones, la Morticia della serie televisiva della famiglia Addams e in qualche modo mamma di Vampirella nell’omonimo fumetto nato nel 1969; dell’incomparabile Maila Nurmi di “Plan 9 from Outer Space” (1959), la Vampira dello stralunato film di Ed Wood, che si guadagnò lo status di peggior film mai realizzato a Hollywood, e in seguito celebre presentatrice di film horror trasmessi in tv a tarda notte, nonché del personaggio gotico di Elvira (alias Cassandra Petersons), ideatrice di uno stile dark che avrebbe largamente influenzato la moda, in seguito ripreso e sfruttato abilmente da Susie Cave, moglie dell’icona rock e principe delle tenebre Nick Cave, che ne avrebbe creato un brand di moda esclusivo, The Vampire Wife, per esaltare una femminilità misteriosa e sensuale.

Da quell’iconico film di Carl Theodor Dreyer del 1932, i vampiri non sono più usciti dall’immaginario della cultura popolare. La loro identità è stata più volte rielaborata, magari adattata ai tempi moderni, ma il loro fascino inquietante ha continuato ad aleggiare in una lunga sequela di film e serie tv, spin-off e reboot, dal “Dracula di Bram Stoker” (1992) di Francis Ford Coppola alla serie “True Blood” (2008), da “Miriam si sveglia a mezzanotte” (1983), con un conturbante e asessuato David Bowie, alla saga di “Twilight” (2010) fino al Mike Flanagan di “Midnigh Mass” (2021).

Tuttavia, c’è un momento preciso in cui il contagio vampirico trovò la sua perfetta sublimazione, ed è quando nel 1954 viene pubblicato il romanzo sci-fi horror Io sono Leggenda”, di Richard Matheson. Lo scrittore del New Jersey immaginò la popolazione mondiale sterminata da un’epidemia misteriosa, con i contagiati che si trasformavano in vampiri, scenario trasposto sullo schermo dieci anni dopo in “L’ultimo uomo sulla terra”, diretto da un oscuro regista siciliano, Ubaldo Ragona, in cui l’incubo del protagonista del romanzo di Matheson (lui stesso sceneggiatore nel film di Rabona) riviveva in un quartiere di Roma, l’Eur.

Con una semplice quanto geniale inversione di prospettiva, Matheson concepì non più un unico vampiro ‒ vedi Dracula ‒ fra gli umani, ma un unico umano in un mondo popolato da vampiri…  un livello di realtà mai simulato prima di allora, e che prefigurava uno scenario dal quale ancor oggi non siamo riusciti a prendere le distanze per immaginarne uno diverso.

Vampiri: creature delle tenebre, che emergono bianche e cineree dalla terra con un sogghigno macchiato di sangue e si aggirano per il mondo prediligendo il bagliore sublunare alla luce solare; entità enigmatiche, che agitano i nostri sogni e svolazzano con i loro mantelli neri fra le ombre delle nostre passioni più inconfessate.

Vampiri: sconvolgenti non morti che abitano una geografia dell’altrove distante ma nello stesso tempo ubiqua, monito per i non ancora morti.

Vampiri: che ci osservano “con un volto da cadavere, con uno sguardo che raggela il sangue col suo malefico scrutare. Silenzioso, come da un feretro…” (Thomas Hardy).

 

Written by Maurizio Fierro

 

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