“Itaca” poesia di Costantino Kavafis: il significato del viaggio verso l’isola

Ci sarà una battaglia, una disputa, nella quale si potranno ascoltare o negare le pretese dei dèmoni.

“Itaca”

Costantino Kavafis
Costantino Kavafis

“Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell’irato Poseidone incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta;
più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.”

 

La poesia “Itaca” fu scritta nel 1911 dal nostro amato poeta greco Costantino Kavafis. “Itaca” è la riflessione di un uomo di 48 anni.

L’isola di Itaca, per noi occidentali, è la metafora del ritorno a casa dopo vent’anni di assenza, dieci per una guerra che ha visto cadere Ilio (Troia, sita nell’attuale Turchia) e dieci di viaggio tra mari e terre sconosciute ove l’astuto Ulisse/Odisseo ha lasciato segno di sé, o perlomeno così racconta il cantore cieco Omero nell’Odissea ed il tragico Euripide ne “Le Troiane”, tragedia nella quale la celebre Cassandra in un delirio profetico sostiene: “[…] Povero Odisseo, cosa gli resta ancora da soffrire io non lo so. Le mie sventure e quelle dei Troiani, oro gli sembreranno un giorno. Passeranno per lui dieci anni, oltre a quelli qui, prima che torni solo solo in patria… Là dove sta, presso la pista stretta della roccia, la tremenda Cariddi, e quel carnivoro montanaro Ciclope, e la tirrena Circe che cangia in porci, e poi naufraghi nel mare salmastro, e fascini del loro e qelle vacche sacre del Sole, che dalle catne manderanno voci, parole amare per Odisseo… […]”.

Ma nella poesia di Kavafis, Itaca diventa anche metafora stessa del viaggio, Itaca non è solo il rientro a casa dell’eroe in balìa delle onde – di se stesso, dei suoi dèmoni – ma diventa il viaggio stesso, il motivo del viaggiare.

Per Kavafis il viaggio intrapreso deve seguire il suo corso e non deve essere affrettato, bisogna stare desti davanti agli eventi, saper prendere in considerazione ciò che accade per poi lasciarsi trascinare dalla Necessità, da Ἀνάγκη, per la quale anche gli dèi dell’Olimpo chinano il capo.

L’Anima mostrerà i dèmoni che si devono affrontare, così il poeta cita Poseidone ed il Ciclope che si incontreranno solamente se portiamo dentro tali passioni. Ci sarà una battaglia, una disputa, nella quale si potranno ascoltare o negare le pretese dei dèmoni che si palesano. Non bisogna mai dimenticare che fanno parte di noi e che dunque devono essere accolti, ma questo non significa che bisogna lasciarsi “dominare” dai dèmoni piuttosto l’invito è all’imparare ad esercitare dominio sugli impulsi. Essere coscienti di sé. Conoscere i dèmoni per domarli.

Nel V canto dell’Odissea dello scrittore, poeta e saggista greco Nikos Kazantzakis (18 febbraio 1883 – 26 ottobre 1957) troviamo un ragionamento affine:

“Sconvolto e insonne, l’Arciere rimprovera il cuore:
“Cane rabbioso, resisti ancora, mordi la catena?
Sappi che tu non sei il guardiano della mia casa, 
e non sei tu a decidere chi voglio e chi non voglio!
Quando la guardia ci ha respinti con la brutale lancia,
non hai sentito che ti ho detto di morderti la lingua?
Ma tu hai ringhiato, e tre volte ti ho urlato di fermarti:
pazienta, non aver fretta, verrà anche il nostro turno![1]“.

Essere coscienti di sé, esercitare il dominio.

“Sempre devi avere in mente Itaca –

raggiungerla sia il pensiero costante.”

Itaca è l’isola remota verso la quale tendere, non ci si deve aspettare ricchezza all’arrivo, ma all’arrivo si conquista l’esistenza. Durante il viaggio il pensiero costante deve essere l’arrivo perché è ciò che salverà nella selva oscura. Itaca, l’isola, la sapienza. Itaca è l’approdo sicuro, la casa in cui arrivare e riscaldarsi davanti al fuoco.

Kavafis esorta per ben due volte di augurarsi di intraprendere la via lungala via umida ‒ perché la via breve ‒ la via secca ‒ è assai rischiosa per l’essere umano. Nella via secca, in un istante, ci si trova in balìa di tutti i dèmoni e l’esito della battaglia è incerto. La preoccupazione maggiore risiede nella salvezza, in pochi riescono nell’impresa e la maggior parte incorre alla follia perpetua oppure al suicidio.

Nel “Libro della misericordia” l’alchimista persiano Geber (Jabir ibn Hayyan; Ṭūs, 721 circa – Baghdad, 765 o 822) scrive: “Si opera con la bilancia del Fuoco (via Ignea), con la bilancia dell’acqua (via Umida), o con la combinazione delle due.” (in questo caso si intraprende la via ibrida, le tre vie indicate dal filosofo persiano sono da intendersi come un cammino di imitazione dell’operato della natura).

Nel Primo canto della Divina Commedia Dante Alighieri dovrà scegliere tra la via secca e quella umida. La via secca è in confronto diretto con le tre fiere (lonza ‒ lussuria, leone ‒ superbia, lupa ‒ avarizia) ma il poeta ritiene di non poter uscire vivo dalla selva oscura con tale rischiosa via e dunque di poter trasformare la materia prima. Si accinge allora alla via umida sotto consiglio di Virgilio.

“[…] Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai. […]
[…] Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia? […]
[…] “A te convien tenere altro vïaggio”,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
“se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide; […]” (primo canto)

Nell’album alchemico “Mutamento” il cantautore Maler scrive:

“[…] L’universo è fuoco e ombra
La mia strada creta e neve
A chi va per la via stretta
Non è dato mai sapere
Quanto durerà la lotta
Tra Oscurità e Potere […]”

Ma le due vie non si equivalgono. Maggiore è il rischio, maggiore è la possibilità di liberarsi dall’Ego in modo permanente. Nel Vangelo di Matteo 7:13-14 si legge: “Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa.  Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano.”. 

 

Costantino Kavafis poesia Itaca
Costantino Kavafis poesia Itaca

Konstantinos Petrou Kavafis, noto in Italia anche come Costantino Kavafis (Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1863 – Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1933), è stato un poeta e giornalista greco. Quando il padre, Petros I. Kavafis, morì nel 1870 la madre, Charìklia Fotiadi decide di trasferirsi in Inghilterra portando con sé i figli. Kavafis, successivamente tornò in Egitto nel 1877 per stabilirsi definitivamente ad Alessandria nel 1885 avendo trovato un impiego al ministero dei Lavori pubblici.

L’esordio in poesia avvenne nel 1886. Omosessuale, Kavafis fu accusato di attaccare i tradizionali valori della cristianità, del patriottismo e dell’eterosessualità, anche se non sempre si trovò a suo agio nel ruolo di anticonformista avendo scelto di avere un impiego sicuro invece di vivere la sua vita da solo poeta.

Conobbe Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo, che nel 1930 disse di lui:

Anche tu, Kavafis, sei un futurista. Sei un uomo del passato, un poeta, ma fino a un certo punto. (…) Le tue idee sono ecumeniche, ricrei in maniera perfetta e affascinante le epoche del passato, e le collochi nel presente; in breve hai spezzato i fili che ti legano al marcio mondo poetico del romanticismo lacrimoso, e ai suoi temi, buoni solo per l’organetto[2].”

Kavafis scrisse le sue poesie più importanti in età adulta, dopo i quarant’anni. Ne pubblicò 154 poesie, la maggior parte è ispirata all’antichità ellenistica, romana e bizantina.

 

Written by Alessia Mocci

 

Note
[1] Nikos Kazantzakis, Odissea, Crocetti Editore, introduzione e traduzione di Nicola Crocetti, 2020, pag. 157
[2] Konstantinos Kavafis, Note di poetica e di morale, Aiora Press, traduzione di Maurizio De Rosa, Atene, 2017, pag. 91

 

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