“Fiorire nel deserto” di Claudio Sottocornola: chi ama è nella verità?
Fiorire nel deserto di Claudio Sottocornola è un libro un po’ semplice, assai complesso, molto vario, diversamente monocorde.
L’autore m’assomiglia molto, divergendo parecchio da me, dal me attuale, mentre del di lui passato ignoro quasi tutto. Risulta per me naturale colloquiare sia col libro Fiorire nel deserto che con l’autore. Questo può valere sia per un amico che per un’ipotetica consorte con cui si va convolare a giuste vite. Poi sarà la vita a scorrere per conto suo (e nostro).
Chi mi conosce bene, avendo letto tutti quanti, senza eccezione alcuna, il mezzo migliaio di articoli che ho scritto, che non sono recensioni, né critiche (lo sanno anche i bambini che vanno a dottrina!), ma reazioni psicologiche, non ignora o non crede di ignorare il fatto che il sottoscritto è un lettore alla mano, a cui qualunque autore, fosse anche Dante o Musil, può benissimo dare del tu, anche questo Claudio se lo vuole. Lo scrivere e il leggere sono i due gianici aspetti della medesima questione, e non sono io a dirlo ma lo è, pur frainteso da chiunque, e da me in primis, Jorge Borges. Un libro si riattiva ogni volta ch’è preso in mano da un mortale che gli trasmette una parte della sua pur caduca e sempiterna anima, che è una sola, multiforme e indivisibile: ergo, quella pur minuscola porzione del Kósmos equivale al Tutto.
Prima reazione, partendo, ovviamente, dall’ultimo capitolo che è, strambamente, Fiorire nel deserto, e il perché mi comporti così, tipo bastian contrario, è presto detto: per togliermi il pensiero, essendo il capitolo di cui meno ho perfezionato la comprensione, e che ancora s’agita, frastornato, nell’alveo della mia mente/psiche. Il mio cervello/anima ha deciso questo: fore non l’ha capito del tutto nemmeno l’autore, ma m’ha suggerito un nome, ch’è il solito che tiro in ballo quando la mia consapevolezza sembra venir meno: Jiddu Krishnamurti. Il quale Jiddu era quella mattina su un taxi che doveva attraversare una città indiana, quale non ricordo. Insieme a lui v’erano altri tre passeggeri, quotati e autostimati filosofi, che discettavano l’uno ‘ncoppa all’altro sull’urgenza della consapevolezza. A un tratto il taxista fu obbligato a fare una brusca fermata, al fine di non seppellire anzitempo un passante, e si sa che le vie del centro in India sono trafficate a tutte le ore. L’unico ad accorgersene, oltre che l’autista, fu Jiddu, mentre gli altri continuavano a ciarlare, come se niente fosse, del più e soprattutto del meno.
Se sei nel deserto, difficilmente sei distratto da alcunché. Il rischio più grosso è di morire di qualche accidente (se pesti una vipera, o se ti becchi un infarto) o per la fame e soprattutto per la sete. Poi c’è il fatto che, per un gioco di riflessi, uno finisce per credere di scorgere come vicina un’oasi che dista alcune dozzine di chilometri.
Decisamente semplice (ma non scempio) è Claudio, poiché i suoi argomenti sono esistenziali, nel senso che o già li abbiamo scontati vivendo, o ci abbiamo pensato seriamente nel corso della nostra (come nella sua) esistenza. Fin troppo complesso egli è, poiché cita vari brani scritti da personaggi non del tutto immediati (tanto per fare della facile ironia) come Tommaso d’Aquino e Martin Heidegger, ma anche popolari come Dante e Dalla, i cui nomi sono consequenziali (non so se è arrivata la boutade), nonché autori che conosce solo lui e, al massimo, 83.399 persone al mondo (sugli oltre 8.000.000.000 omuncoli), dove gli ultrasessantacinquenni, per la prima volta nella storia, hanno superato nel numero (ma non nella gaiezza) gli infanti in età prescolare.
Monocorde lo è, Claudiuzzo, in quanto preferisce l’analisi filosofica a una letteratura di stampo bukowskiano, ma vario lo diventa in quanto parla di ogni genere di accadimenti, anche delle piccole cose che rendono quasi inutile nonché oziosa la vita, ed è a quel quasi che egli s’attacca, con piglio a volte disperato.
Perché m’assomiglia? Perché, da bambino davo del tu a Dio (Lo chiamavo Dione, nel senso di fratellone cresciuto fin troppo) ed era per me una specie di Zio Google ante litteram, con la differenza non piccola che le Sue risposte erano rimandate a una tardiva data: quando muoio poi me lo dice, ok?, ricordati di ricordarmelo! – così Lo ammonivo quotidianamente. Poi ho cambiato sponsor: Arthur Rimbaud (autore citato da te, Claudio), Henry Miller, Carmelo Bene, il citato Jiddu e parecchi altri.
Ma bando alle ciance e iniziamo l‘incontro (di tennis). E, se tu fumi (io no). appicciamo ‘o match!
Introduzione: “‘Un uomo è ciò che pensa’, ha detto qualcuno…”: ed è quel che mangia, ha detto qualcun altro. Un uomo è, ha detto un terzo. Egli esiste, ha detto un quarto. Un uomo è ed esiste come un uomo, ha detto un quinto che non voleva rischiare di sbagliare. E per farlo egli deve mangiare (Karl Marx e Antonino Cannavacciuolo più che Claude Lévi-Strauss e Martin Heidegger) e poi pensare (René Descartes e Jean-Paul Sartre, ma anche il mio adorato Søren Kierkegaard: Enten-Eller, Aut-Aut, Obladì-Obladà!). Per quanto riguarda il mangiare la gente non è mai del tutto d’accordo, nemmeno in quale ristorante andare, se prendere la pizza o i bolliti. Sul pensare, si sa: ognuno cogita in modo neurologicamente analogo agli altri (neuroni, messaggi chimico-elettrici, etc…), ma a modo idealmente suo (indole). Ed è questo il bello e il brutto dell’umana questione: questa è democrazia! La quale era la battuta preferita di un tale di nome Modesto, di fatto tutt’altro, che governava come un Satrapo il club Petroniano di Bologna. Se uno gli diceva che il lambrusco non spumava, la sua icastica risposta era: Capita! Se qualcun altro chiedeva del formaggio per dar sapore ai suoi spaghetti buttafuoco, egli quasi inveiva, a volte, ma di solito si limitava a borbottare: C’è dentro! Anche se nessuno ha mai capito dove.
Scienza, sapienza e vita nell’epoca del pensiero debole: e ora che non c’è più Gianni Vattimo, che aveva una faccina così simpatica, sento che dovrò pur iniziare a fare dello stretching con esso: invece, pensa te, mi sono recentemente buttato a freddo su L’essere e il nulla di Sartre! Con conseguente stiramento sinaptico.
“Chi ama è nella verità” – assicura un certo Giovanni – “(1 Gv 2,10)”. Ora ti faccio una confessione sacra, Claudio: da un mesetto sto sorseggiando I miei pensieri di Teresa di Lisieux, per cui ‘sta frasetta giovannina non mi coglie impreparato, anche se ancora non ci credo più – non male come ossimoro glottologico, eh?! Perché devo per forza anche credere, quando già pensare è così problematico? To think or to believe, this is the problem! Al momento scelgo il primo che ho detto.
“Forse solo paventando e cercando la relazione delle relazioni, il fondo di ogni relazione…” – e qui ti stoppo, perché chiunque dovrebbe aver capito: affannosamente, tu cerchi l’Altro. Ancora mi reputo fermo al cospetto di Arthur il veggente, che disse: Je est un autre. Pensa che in coda a quel libro di Teresina, di cui sono francamente innamorato, te lo giuro, il curatore dice che quello sposo infernale, all’ultimo, è morto da cristiano. È un bias? O è la Verità che lo condusse Colà?!
Il dono (finalmente un titolo corto; ma anche qui, come poco fa e poi dopo, taccio il sottotitolo, ché il discorso si farebbe lungo): “… a quel concetto che la saggezza della spiritualità ha maturato in millenni di storia umana, a quel ‘peccato originale che…” – etc etc. Sono un tipo strano? Sì, mi difendo. Ero già ignorante di dio quando tutte le domeniche mattine sintonizzavo il video su una rete che in genere mi dava da fare, al solo fine d’ascoltare le parole di Gianfranco Ravasi (oggi inclìto prelato: allora non so se fosse un semplice garzone di bottega), le cui omelie erano così sapide ma così sapide che chissà! Che è una tipica espressione arşâna, per dire che erano molto, ma molto sapide. Erano come i tuoi capitoletti, un miscuglio di cultura e di culture, irrorate con un’iniezione d’ottimismo intellettuale, il tutto infarcito di saggezza, e recato al tavolino dove usavo consumare la mia proustiana colazione (erano le 9 di mattina o circa), con quel suo sorrisone aperto e simpatico e lo sguardo quasi ammiccante. Come adoravo quell’adorante! Per cui mi decisi a scrivergli una lettera (by mail) intorno allo spinoso probema: dopo tutta ‘sta preistoria fatta di Austrolopitecus, Homo faber, abilis, di Neanderthal etc, è chiaro che la faccenda di Adamo e consorte non può essere che un’allegoria, un mito… Allora che origine ha il peccato che si dice, appunto, originario? La sua risposta non si fece attendere e ancora non ha cessato di tediarmi: Lo chieda al suo parroco… – come dire: si rivolga al patronato.
Sai cosa significa per me amare?: scoprire nell’Autre la mia speranza! Sai qual è per me la differenza tra il Bene e il Male?: non la direzione, ma il verso, come accade fra la gravità che conduce al Buco Nero (o a quello Bianco, di cui scienzieggia e filosofeggia Carlo Rovelli), oppure alla glaciale (-273 gradi) immobilità finale dettata dall’Entropia Cosmica: silente conclusione degli effetti come sancisce il secondo principio della termodinamica.
C’è però chi intuisce un probabile impossibile: le due tendenze forse collaborano in ambito locale. Che sia lo stesso anche per quei rissosi, irascibili, carissimi Attenti a quei due? Che dia-mine!
Citi ora Leo Ferrè: “Avec le temp, tout s’en va...” – e dici che Leo “cantava malinconicamente” – magari! Finché c’è scura bile c’è speranza! Io quella ho, difettando di fede e di carità.
Un tale disse “Ama il prossimo tuo come te stesso…” – è così che lo salverò? Bene! Gli propongo di fare il cambio con me! Amami come io ti amo! Non so se è così facile… Il Kósmos è un Ordine, ma dietro l’angolo, come temeva Maurizio Costanzo, chissà che c’è, forse il Kàos? …un vortice spiraliforme? Una buca che conduce dritto dritto al Contro-Colà?
Parli dell’“amore” – con semplicità e patenza, come se fosse non solo possibile, ma persino facile contarne le lettere una a una, anche le m, ammmmmore, e scrivi che “Il suo movimento è incessante, la creatività che l’attraversa coinvolge non solo gli uomini, ma l’ultimo granello di polvere e Dio stesso.” – Ma Chissà Chi te l’ha detto!
Amore a metà: “… aver cura del mio prossimo…” – anche del mio? Così posso continuare a scrivere, senza più tanti impegni. Non entro in particolari, ma io amo soprattutto tre persone, poi ho disparati (nel senso di diversi fra loro) e talvolta disperati amici. Eppure, quando leggo e scrivo, sono felice della mia solitudine. L’amore, detto volgarmente, è una rottura di cabasisi. Darei la vita per i miei figli, ma se uno di loro mi dicesse di aver deciso di tornar a vivere (sia pure momentaneamente) a casa mia, abbozzerei un sorriso e direi loro. Okay! Ma dentro di me mi sentirei invaso. La solitudine casalinga dà assuefazione, come lo strudel di mele coi pezzetti di cioccolata (che fa la mia gentil sorellina).
A contrassegnare “la Croce” cos’è, ti chiedi, “se non questo ‘fare la volontà del Padre…” – Chi, Quello Là che m’ha abbandonato (eli eli lama etc etc), oppure Rolando, che è quello naturale, che Egli m’ha assurdamente rapito nel 2003?
A che servono i valori se non ho da mangiare?: penso che le varie mense di Caritas, Cappuccini, Vescovo… servano a far sì che, dopo pranzo, chiunque possa orare. Non è malizia, è logica.
“Ma alla fine la scelta della direzione è pure frutto di un vissuto…” – anche?, soprattutto?, oppure solo? A meno che non ci sia quell’Aiuto dalla Regia, in cui tu tanto credi e confidi (verbi equivalenti?).
“Così io mi auguro l’inferno vuoto…” – oppure riadattato a parco giochi. Oppure tenuto come il lager di Auschwitz, a mo’ di monitor (piolata).
Autosufficienza, interdipendenza, relazione: secondo Tommy, che in Summa tante ma tante ne scrive: “Tutto ciò che nelle creature ha un essere accidentale, trasferito a Dio ne acquista uno sostanziale, giacché in Dio non c’è nulla di accidentale, ma tutto ciò che è in lui è la sua stessa essenza.” – teoria religiosa, questo sparerebbe Karl Popper, non falsificabile (anche quelle di Sartre, abbastanza, lo sono).
Concordo su quanto scrivi a pagina 48: “Non c’è niente che desideriamo – strutturalmente – più della relazione, e non c’è niente che ci manchi di più, nel mondo in cui viviamo, della relazione…” – a me manca tanto la peroni!, a prescindere dal colore del nastro… – ma è solo una battuta. Chiamale, se vuoi, emozioni… attrazioni… gravitazioni…
Ti sento quasi imprecare contro “l’indifferenza, l’immobilismo emotivo e il calcolo dei sentimenti che viviamo oggigiorno…” – i puntini sono tuoi. Prova a pensare a quell’immota e gelida perfezione entropica. Perfectus = morto! Non so se tu e Therese ci avete mai pensato! No! Tu ci hai pensato, ché ormai ti conosco…
Parli dei tuoi cani, “Boby”, “Giada”, mentre io ti potrei narrare infiniti aneddoti su Charlie e sull’attuale (seppure dispersa, Phoebe): ma che coda che hanno!: stavo usando il termine che indica quel che c’è sotto di essa. Anche il loro Dio, come accadde a tanti personaggi biblici, ce l’hanno, appunto, dietro al c…, e Lui (o Lei) loro dà da mangiare e, tutto il dì, per un affetto quasi tangibile.
“Ricordati, invece, dei riti…” – oh, sapessi quanti ne ho. Se qualcuno mi vedesse in taluni momenti della giornata, mi prenderebbe per quello che di fatto sono: un sofferente religioso di mente. Te ne dico uno solo, per farmi capire. La sera, quando vado a letto, saluto uno a uno i riflessi di luce presenti sulla parete posta alla mia destra. Se poi un bel giorno ci faremo una pizza te ne narrerò altri. Lo sai che per taluni sardi (anche per la Deledda) non ha tanto senso il dire quanto il narrare. Non so dov’è che l’ho letto. Qualcuno me l’ha di certo narrato.
Decidersi per la gloria: “… ciascuna entità è…” – e Quel Dio è ciascuna entità? Ciascuna entità è Quel Dio? Anch’io? Il Suo sartriano per sé è forse connaturato al mio in sé? Quando potrò scrivere mio con la maiuscola?
Ancora sull’amore… come orizzonte di Verità: quella che conduce alla Vita Eterna, come prometteva uno smilzo tometto dei Testimoni di Geova che lessi in età quasi prepuberale?
“Chi ama è nella verità, chi non ama è menzognero” – ed è sempre quel Giovannino a parlare!
“E allora i nostri atti devono fendere come fari nella nebbia che avvolge ogni cosa…” – hai detto una frase davvero bella, complimenti!: “– se luce c’è – questa è – nonostante ogni intenzione di bene – occultata.” – da chi? Da Dia o da Mine? O quei due compari fanno i turni?
Per compiere quell’atto devo puntare più sull’otium o sul negotium? Mi dovevo fare prete?
Tempus fugit… Carpe diem… ci vuole ‘na jurnata sana (espresiòun dla Bâs’Italia) per visistare Carpi. Città florida, come no…
Ora citi Søren, che tanto amo, “ove la decisione e l’attimo…” – questa non esistenza! – “sono il luogo dell’esercizio della libertà…” – come per Jiddu, che predicava la consapevolezza assoluta, cioè quella posta Al di là del conosciuto, titolo di una sua opera. Come se fosse facile anche se, ci credo, semplice è: come mangiare un uovo in quindici (espressione arşâna). A volte mi chiedo se dio o Dio, uno dei due, viva al di sotto dello spazio di Plank nel tempo in cui un fotone ci mette per attraversarlo. Se è ammucciato, covato, nessuno lo beccherà mai in alcun atto, ma gli atti altrui potrebbero essere Costì determinati. Il vuoto non è orrido, poiché brulica di particelle virtuali, non necessariamente virtuose. Lo sapevi, vero? Grazie a loro io e te stiamo ora dialogando!
A che serve “la distinzione bergsoniana fra tempo della scienza e tempo della coscienza.” – se non ad allungare il brodo in discorsi che non hanno né capo né coda? Non intendo offendere il grande filosofo, ma anche lui, come tutti noi, è ignobilmente ignorante.
“Insomma, se – come vuole Einstein – relativa è la percezione che abbiamo del tempo, assoluto è il valore che in esso ci è dato realizzare…” – tu prima citi Albert e poi lo neutralizzi. Per lui solo la velocità del fotone nel vuoto è assoluta (cioé costante). Perché nel pieno il discorso cambia anche per lui, al punto che fa un’oscura fine se incoccia in un black hole. Eppure è privo di massa! Non è forse un dato inquietante?
Paradigmi in declino e compiti generazionali: “Da un paradigma scientifico dovremo tendere a una nuova estetica, e questa porterà una nuova età dove, almeno lo speriamo, ‘Misericordia e verità si incontreranno,/Giustizia e pace si baceranno.’ (Sal 84,11)” – molto bello, ma quei canidi e ovini fra loro belanti e scodinzolanti, non mi sanno convincere. Sarebbero diventati Autridi, e questo non mi va giù. M’insospettisce!
Il giardino e la stella polare: “Allora ‘stella polare’ vuol dire spazio aperto…” – senza limiti? Assolutamente circolare? Il Kósmos non è infinito ma è illimitato, sempre in espansione, mai perfectum, almeno finché non sarà racchiuso in un’intima Singolarità. Oppure disperso in quella mummificata Entropia…
Tanto sei idealista, che non puoi non scrivere: “Ecco perché, se non c’è un giardino all’origine, non c’è nemmeno una stella polare da seguire…” – e poi vuoi andare nel deserto dove da seguire sono più che altro i miraggi! Mah! Chi ti condivide è bravo!
“… un mondo che è ‘giardino’, luogo che dio ci ha dato per manifestarci, esprimerci, in ultimo, autocrearci…” – magari fornicando? È forse quello che doveva dirmi il mio parroco. L’Eden era un impossibilia a cui nemo tenetur… Perciò il Proprietario ci ha dato lo sfratto… Per farci esistere! Boh!
Ah aha ah! Scrivi: “E questo spiega tutto (tranne il Mistero stesso, s’intende…)”: e mi sfugge alquanto “… spiega questo strano impasto di tempo e di eterno, di tutto e niente…” – ma io non arrivo proprio a capire “… perché l’Eternità possa coesistere col tempo…” – questo intendi: chi Figli e figliastri?
Non tutti hanno meritato di essere il Cristo, ma solo uno, l’Unigenito. Fosse anche stato il migliore, io la vivo come un’ingiustizia. Che sia finito in Croce era forse il prezzo che doveva pagare. Fece una fine analoga a quella del Savonarola e di Giordano Bruno.
Nel naufragio del contemporaneo, quale direzione, quale canto?: “Questa civiltà ha destituito i rapporti umani di significanza…” – ma ha fatto sì che ci si accorge della tragedia senza che esca l’ernia per lo sforzo. Pur essendone consapevoli, alla fine ci si adatta a tale miseria esistenziale.
“Non dialogare col male – esorta l’attuale pontefice…” – che tanto m’è simpatico (pare tanto un bravo ragazzo, e anche arguto!), al punto che gli direi: Benedetto il mio Francesco, la parola non la si nega a nessuno!
“Tutto è provvidenziale e struggente…” – certo che anche a te gli ossimori danno da fare! Questo mi pare la tua bella (già mia, e dei miei amati genitori!) religione: ossimorica e misterica…
“Propongo quindi un’etica del quotidiano e un’estetica dell’anima…” – un giorno che saremo entrambi seduti in un tavolino di quel ceruleo bistrot, dove inviterò per precauzione sia Jean-Paul che Jiddu, ma anche Henry Miller, Arthur Rimbaud e Carmelo Bene, così per mera compagnia, forse me la spiegherai. Ci stai intanto provando: “una sintesi fondata sull’orientamento interiore al valore.” – il valore è sia dentro che fuori, ma non si sa se è all’interno di quell’inconoscibile spazio planckiano di cui dicevo. Per cui, kangaroo: non comprendo.
Meglio un caffè con un amico…: appunto; la frase, tratta da un film di Ermanno Olmi, è: “Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico.” – hai idea di quanti caffè ci vogliono per scrivere un libro? Il problema è che io li sorbisco da per me, quando scrivo; con gli altri li bevo solo allorché cazzeggio. Ed è salvifico cazzeggiare, lo ammetto… ma c’è altro della vita. Una donna mi disse di recente d’avermi scoperto tardi!… Oh, hai aspettato che andassi in andropausa?! – le chiesi. E lei: Ma c’è altro nella vita! E io: Cioè?! Questo m’interesserebbe scoprire: l’Autre!
Citi ora un per me Carneade di nome “Alasdair MacInture”, il quale disse più o meno che “è la compagine che va salvaguardata, è la comunità che deve preservare il proprio volto e la propria storia…” – ho appena letto Antropologia per intelligenze artificiali di Filippo Lubrano che cerca di spiegare al lettore che si può anche accettare il proprio governo, come sta accadendo da qualche decennio ai cinesi, che in Lui hanno fiducia. Se noi urliamo: Piove governo ladro!, loro tranquillamente sussurrano: Oh! Li Quiang ci sta innaffiando i gerani! La piolata è mia, la riporterò a ogni piè sospinto e presto cercherò di ottenerne il copyright.
“Ma l’altro può essere anche un libro, se contiene una parola viva che dialoga con noi, se diventa l’occasione di un incontro, di uno scambio.” – e t’è andata davvero bene, caro il mio Claudiuzzu, che se, fossi al mio cospetto in questo momento cercherei di baciarti in bocca, tipo Giuda.
Finalmente parli di libri: “… possibilmente rilegati o lucidi, o sdruciti ma amici…” – se penso a quei due spelacchiati tomoni di Arthur e di Charles, così martoriati dalle mie manacce arşâni e contadine! Eppure li amo come se fossero sempre nuovi e immacolati e non venati di aloni di caffeina: ogni scarafone è bello al lettor suo!
Mi stai piacendo, caro, quando dici per esempio che “ognuno è Libro, ognuno è Parola, ognuno è Verbo’” – è vero c’hai piazzato quel punto interrogativo, ma ho apprezzato il tuo conato (di vomito). Anche Bruno l’Imenottero lo è? Mistero! – cantava Enrico Ruggeri.
Evoluzione e permanenza nella Verità: “Vivere nel presente…” – che avanza inesorabilmente, sennò sarebbe essere morto! Perfectum esset!
Virtù come attuazione del sé: “… attuare la propria perfezione” – che mi ri-rapporta alla dolcissima Therese – che tanto bramerei conoscere in quel bistrot, e che a pagina 286 del suo libro scrive: “… quello che mi costa soprattutto, è osservare i difetti; le minime imperfezioni e dichiarare loro guerra implacabile…” – e questo lo dice una tipetta che non sapeva far del male a una mosca.
Ma le vogliamo proprio uccidere ‘ste imperfezioni?! E dopo di che scriveremmo?
Comunità di legami nel tempo e nello spazio: “… quando si scrive sembra di essere in un acquario…” – a chi lo dici, a me sembra di essere in un Circo anti Millennium, in cui non sono permessi gli umani, ma solo le bestie…
Disse ‘sta diversamente vispa Teresa: “Mi sono resa conto ben presto che più si avanza in questo cammino più ci si crede lontani dal traguardo, così ora mi rassegno a vedermi sempre imperfetta e vi trovo la mia gioia…” – la vita viva, ancorché, per certi versi, peritura.
“Dunque guardo con devozione a ciò che mi viene tramandato, e coltivo il senso della comunità facendo la memoria di tutto il bene e di tutto il bello, come di tutto il vero, che la tradizione del mio mondo mi trasmette.” – per me idem con patatine (espressione che imparai da un certo Lino).
Amore e Verità stanno insieme – ma sognano il divorzio da quando erano fidanzati. E che, prima o poi, coroneranno la loro santa aspirazione. Amore, amico (e kāma sūtra) derivano da kam’a, espressione sanscrita che vuol dire passione. Chi ama ha perso la testa, vaneggia, è confuso. Forse anche tu, Teresina… In arşân non c’è amêr ma vrèir bèin, voler bene. Esiste sì il sostantivo amòur, ma solo per poter esprimere il proverbio ‘l amòur e ‘l caghèt chi a ‘n al pròva a ‘n a l créd. l’amore e la diarrea chi non li prova non li crede: so di una donna che non usa mai il verbo credere perché non le sa di pulito.
L’aneddoto di Giussani mi fa pensare che non esiste né psicanalista né maestro spirituale che non necessiti di un maestro spirituale e di uno psicanalista.
Bellezza, espressione di libertà: “Si capisce che in tale orizzonte non esista vera bruttezza se non come lontananza massima dall’essere…” – etc etc… ed è il tuo libro, assai più della mia ingenua reazione, a dover essere letto. Cosa ne pensi dell’art brut, e del suo massimo (nel senso di più odioso) esempio che è Le 120 giornate di Sodoma del Divino (si fa per dire) Marchese? Il mio amato fratello di legge, zio Andy, che ha tanti problemi suoi (come io ho i miei) una volta mi disse che dovevo occuparmi di un problema elettrico (anche se era lui l’elettricista di casa), e io gli dissi che non ero capace. E lui: Noooo, tu sii boono! E io: Fallo tu! E lui: Noooo, nun ce la faccio! Allora mi misi all’opera, sotto la sua supervisione, e lui a ogni mia cavolata diceva: No, Stefano! Tutto all’in contrario! – in quel caso ero io il bipolare (rischiando d’invertire i due poli elettrici, scoprendo solo dopo che ve n’era un terzo neutro… – ed ecco perché la tua frase non so condividerla. Mi dispiace, quella frase. Il brutto è qui, ora, a fianco del suo bello. Essenziale…
“Intanto la bellezza è ovunque…” – e ogni tanto tu e lei mi rallegrate!
Gioia, sapienza della vita: tu e Agostino distinguete fra “sapienza” e “scienza”. A meno che la prima non sia la capacità di far proseguire il cammino alla seconda, temo sia l’ennesima maschera della religione, intesa come quel che non è falsificabile. Ergo: non voglio, né posso falsificarla.
Dimenticavo un’essenzialità: per il mio maestro di Cristianesimo, Padre Aldo Bergamaschi che compì il miracolo di trasformarmi da ateo in ignorante di dio, il cristianesimo era ormai scaduto al rango di religione, fatto di riti vani e ciarlieri, e non più esperienza da vivere quotidianamente.
Nostalgia di Assoluto?: “… la comunione di Dio con gli uomini predicata e attuata dal Cristo…” – e questo, che già m’insospettisce, risulta poi essere: “… solo evocata come annuncio, come presagio, come lieta e reale anticipazione ontologica…” – speriamo che non sia un volgarissimo bias! Di quel Dio che parla solo quando vuole Lui, beh, ho il massimo rispetto, ma a distanza. Mi ricorda un po’ quel tale che diceva di liberare il groppo delle mani che aveva causato lui: quando lo dico io!, quando lo dico io!…
Nell’uomo interiore abita la verità…: allora me l’hanno tolta oppure l’ho io sfrattata. Parli di “indipendenza della mente dal bisogno psichico” – più o meno anche Jiddu: vi siete forse messi d’accordo?
Ti propongo un’analogia tra “psiche” e “mente” e auto e andatura della stessa. L’auto esiste (con tutti i suoi bulloni, copertoni, centraline, motori, etc etc.) solo andando. Come disse il mio amico Massimo, cattolicissimo, chi non prega è come una Ferrari senza benzina: immota. Per me pregare è parlare, usare la os-oris, orare. Lo è anche scrivere. Sto ora andando orando al capitolo successivo. Ma prima ti voglio dire che a me sempre è piaciuta la frase non so se buddista o simile che l’arciere è l’arco è la freccia è il bersaglio è il tirare.
O Dio, quanto sono belli i tuoi rapanelli!: e qui forse perderemo l’amicizia che ancora non è nata, ma che è covata nel ventre del libro. Il capitolo va letto e basta. Nessuna citazione, ordunque. Uno dei detti arşân più amati dalla mia pen-pal Alessia è tót i cajòun a gh ân la só pasiòun; e di certo vado a tradurre, tanto è self evident: il discorso vale anche per Cristo. La sua Passione è stata così sublime, che solo Lui se la poteva augurare! Così vale per me e per il mio amico Onorio, detto al getunêr: se vuoi farci felici, regalaci non tanto un sorriso quanto uno STIPEL 1925 che forse solo il pisano M. Cecconi possiede, che io sappia.
Se ogni cosa è illuminata…: che vuol dire se non che eppur si muove?
Fiorire nel deserto: scriveva, nel suo Manoscritto A, la vispa Teresina: “… sentii che il Carmelo era il deserto dove Dio voleva che io andassi a nascondermi…”
Claudio, stammi bene a sentire (che è un’orrida espressione di una colei da me frequentata per alcuni decenni), a parlarti è un uomo-ginestra, che ha molto amato il tuo libro Fiorire nel deserto, anche se deve dirti che non vede l’ora di sfidarti a bigliardino, dov’è imbattibile. Se poi tu hai un/una partner, si rivolgerà alla figlia che sta (quasi) diventando migliore di lui.
Mia mamma, tanto amorosa, amava dire di me. Certo, figliolo che il buon Dio, quando morirai, dovrà fare dei bei calcoli, prima di decidere dove allocarti (in dialetto lei diceva strulghêr, astrologare).
A Dio dico: se esisti, ma solo a tale condizione, ricordami di ricordarmi tutto quello che ti ho chiesto. Tutto, non solo che fine ha fatto Atlantide e dove avevo ficcato quella macchinina! Me l’hai promesso! E come diceva suor Bice all’asilo: ogni promessa è un debito! Intanto, però, pensa a campare!
Augurio che vale per noi tutti.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Claudio Sottocornola, Fiorire nel deserto, Editrice Velar, 2023