“Il blues di Mariam” di Gianni Spinelli: l’olezzo di una società in putrefazione

“Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”, afferma Eleanor Roosevelt.

Il blues di Mariam di Gianni Spinelli
Il blues di Mariam di Gianni Spinelli

In ogni epoca, in ogni luogo, ci sono uomini e donne in fuga da un mondo di cui si sentono prigionieri piuttosto che cittadini. Un mondo distorto e malato che calpesta i loro desideri. Sono anime disgustate dall’olezzo di una società in putrefazione a cui rispondono con l’impegno a costruire un giardino, un’oasi in cui si respiri purezza.

Il blues di Mariam (Castelvecchi Editore, 2022, pp. 163) di Gianni Spinelli è una moderna favola agrodolce che invita a credere nella bellezza degli ideali e nella forza creatrice dei sogni.

Giuseppe Sileo ha 70 anni. Geometra in pensione, pittore per hobby e contadino per passione, egli è emigrato a Peschiera nel 1974 dalla natìa Craco, un borgo lucano distrutto da frane e smottamenti. Conduce una vita tranquilla, perfino banale, con la moglie Maria, dalla quale non ha avuto figli. A colorare il grigiore esistenziale dell’uomo irrompe Mariam, una giovane donna che ha lasciato, ma non abbandonato, il proprio Paese, il Mali. La sua missione è quella di aiutare da lontano i connazionali con la potenza della cultura e dell’integrazione. Mariam sceglie proprio le macerie di Craco per dare vita a una nuova città, Craco Blues, che diventa dimora di oltre trecento artisti provenienti da diverse parti del mondo: Mali, Francia, Cina, Inghilterra e Italia. Sulle note del blues, Mariam e Giuseppe si innamorano e diventano compagni di vita e di avventura. A Craco Blues si organizzano mostre, spettacoli teatrali, concerti; la Repubblica dei desideri diventa una rinomata meta turistica, citata anche dalle testate internazionali. Tra cultura, amori, nascite e intrighi, il redivivo borgo e la luminosa comunità di artisti si trovano a fare i conti con la durezza del mondo esterno, regolato da una logica materialistica e pragmatica.

Un uomo sradicato a forza dalla propria terra ne conserverà sempre il ricordo del sapore e dell’odore. Il ricordo è potente; è in grado di ridare vita al passato, di renderlo eternamente attuale. In questo senso il ricordo condivide con il sogno il potere creativo: entrambi rendono reale l’irreale.

Giuseppe è un esiliato ma l’aria di Craco scorre nel suo sangue, nutre ogni cellula del suo corpo e abita gli anfratti della mente e del cuore. Le calamità naturali hanno ucciso il borgo, ridotto a città fantasma popolata solo dalle macerie. Ma la Vita è più robusta della morte; anche tra le macerie possono nascere fiori. Così, grazie alla potenza degli ideali, il fantasma riacquista carne e sangue, torna a camminare e respirare. Anche Giuseppe era psicologicamente morto; la lunga clausura imposta dalla pandemia lo ha reso un automa, un guscio scricchiolante. Ormai è anestetizzato alla Vita e ai sentimenti.

Mariam incarna la forza demiurgica del sogno; per Giuseppe ella stessa è un sogno, quasi un’illusione. È una giovane bellezza dalla pelle d’ebano, lunghi capelli nerissimi, bocca rosa e gambe da gazzella. No. Non è possibile che una simile creatura quasi divina sia sua. Ma Mariam è un’anima illuminata, libera da stereotipi e rigidi schemi mentali. È dispensatrice della Vita in tutte le sue forme; la dona a Giuseppe grazie all’amore; la dona ad Alba, cullata nel grembo e poi data alla luce. E la dona a Craco che rinasce da sé stessa e su sé stessa.

Il blues di Mariam - Photo by Tiziana Topa
Il blues di Mariam – Photo by Tiziana Topa

È Craco Blues, una Repubblica di artisti dotata di un ordinamento ma priva delle pastoie della politica. È una comunità animata dalla missione di salvare il mondo con la Bellezza; un modello di integrazione, cosmopolitismo e parità di genere. Uomini e donne godono degli stessi diritti, sì, ma alla figura femminile viene riconosciuto un superiore valore spirituale, di guida e faro. Ogni religione viene rispettata; il credo comune è costituito dalla triade amore, empatia e condivisione. Non è previsto alcun rappresentante della Giustizia: la città stessa deve essere modello di rettitudine e legalità.

“Questa dovrebbe essere… sarà la città degli artisti. Voi siete artisti, insieme ci siamo prefissi di produrre arte. Cos’è l’arte? Da Platone e Aristotele, ci provano tutti a definirla. […] L’arte non può avere definizioni, altrimenti entrerebbe in schemi rigidi. L’arte è creazione, libertà, bellezza, alimento per le anime. E le anime vanno avvicinate. Noi saremo un laboratorio rivoluzionario e finalmente si capirà quanto l’arte e gli artisti siano utili.

Un’utopia? L’utopia è il luogo che non esiste. Non esiste in termini geografici ma, proprio perché non è circoscritto in un punto, risiede ovunque, anche nella mente di chi coltiva un sogno e si adopera a renderlo realtà. L’utopia che muove la madre fondatrice di Craco Blues è quella di guarire una società corrotta attraverso il fulgore dell’Arte e contribuire a medicare le ferite del suo Mali. Craco deve urlare così forte da raggiungere quel Paese martoriato affinché arcaiche tradizioni vengano cancellate e sostituite da norme rispettose dell’umana dignità.

Il grido che parte dai polmoni del borgo ha il suono del blues, la musica che Mariam ha assorbito insieme al latte materno. Una musica malinconica che emana uno spirito capace di placare con la sua struggente dolcezza anche le belve più affamate. E, sulle note del blues, Craco si popola di attori, musicisti, danzatori, pittori, scultori, poeti.

Di quell’umanità che custodisce il Bello; una minoranza che si nutre di Arte e vive in un iperuranio incurante degli aspetti materialistici dell’esistenza. “Spiantati”, “allergici al lavoro”, così vengono definiti gli artisti dall’arida logica politica economica e sociale. In una congiuntura storica particolarmente fiaccata da calamità naturali, pandemie, problemi di sopravvivenza, l’artista è considerato inutile. Ma i nuovi crachesi non si sentono affatto inutili; essi esercitano un lavoro più nobile di tutti gli altri, si sentono investiti della missione di offrire ricchezza alla mente di giovani e meno giovani.

L’Arte e la Cultura provano horror vacui: hanno repulsione per il vuoto di valori che, come un cancro, divora la società. Il loro compito è colmare quel vuoto. L’artista rappresenta la coscienza collettiva privata di censure. Egli annota i comportamenti umani, li sfronda delle sovrastrutture e li restituisce al pubblico ridotti alla loro primitiva essenza come un quid presente in ognuno di noi. E il fruitore, l’uomo, può scrutare dentro sé stesso attraverso questa sorta di guida psicoanalitica rappresentata dall’artista, testimone dei tempi e guardiano delle coscienze.

Zeno Cosini dice che la vita attuale è inquinata alle radici; solo l’esplosione causata da un ordigno riporterà l’ordine. Ebbene, anche l’Arte può essere un ordigno in grado di scuotere il pianeta.

Ne L’Idiota Dostoevskij afferma che non la forza ma la Bellezza salverà il mondo. Ma qual è la Bellezza salvifica? Non certo quella concepita secondo i canoni attuali di una perfezione spesso artificiale. La Bellezza che salva è quella che insegna, che indica modelli. In questo senso è una forza gentile ma esplosiva come l’ordigno di cui parla Zeno.

Silvano, il filosofo-contadino, assurge a metafora di un possibile rinnovamento della società attraverso la forza delle idee. Agricoltura e Filosofia richiedono pazienza: il contadino getta il seme nell’attesa che la terra restituisca il frutto. Il filosofo semina domande nelle menti, aspettando che la riflessione generi nuove idee.

Gianni Spinelli
Gianni Spinelli

Craco Blues è un’isola di purezza in un oceano inquinato dagli intrighi di una politica retta da un distorto do ut des. È una res publica che appartiene ai propri figli senza distinzioni. Silvano pone un quesito nevralgico nel tessuto del romanzo: come deve porsi l’artista rispetto alla politica? Non certo dentro – ne sarebbe fagocitato – ma nemmeno al di fuori. Egli deve inculcare una forma mentis capace di indurre il cambiamento.

Andrea Sperelli lamentava che il “grigio diluvio democratico” avesse appannato la bellezza dell’Arte. L’artista, che pensa in maniera creativa, può colorare il grigiore indicando i valori della comunicazione, partecipazione e interazione come possibilità di ripresa e crescita.

Il blues di Mariam offre molte chiavi di lettura. È un duro j’accuse che Spinelli lancia contro le aberrazioni dei politici che hanno tradito quel mos maiorum sacro presso i Romani. Vetusto, ma fonte di principi immortali cui oggi più che mai è necessario attingere.

È un grido di indignazione e dolore per quei borghi meridionali desertificati e abbandonati a sé stessi come relitti di una nave. Scrigni di Storia che, se valorizzati, hanno molta ricchezza da offrire.

 

Written by Tiziana Topa

 

Info

Leggi Città abbandonate: Craco, città fantasma e scenario di diversi film

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *