“In principio era la meraviglia” di Enrico Berti: le grandi questioni della filosofia antica
“La meraviglia è essenzialmente domanda di una spiegazione, di una ragione: essa nasce dall’esperienza, dall’osservazione di un oggetto, di un evento, o di un’azione, di cui si vuole conoscere il perché, cioè la causa.”[1]

Questa meraviglia, come ben introduce il filosofo Enrico Berti considerando Aristotele (ma non solo) è all’origine della filosofia, la quale è, nei suoi tratti basilari, un costante interrogarsi. Ma su che cosa?
Praticamente su tutto ciò su cui un essere umano si può interrogare, a cominciare dall’origine dell’universo e sull’essere stesso. Il primo capitolo di questo interessante saggio riguarda proprio questo: con un metodo di confronto in parallelo, Enrico Berti espone efficacemente il pensiero dei filosofi antichi, a cominciare dai Presocratici per giungere alla grande ricerca sull’Essere che ha caratterizzato il pensiero di Parmenide e, successivamente, a Platone e Aristotele, che si interrogarono anche sull’origine dell’universo sensibile, poiché questo “pur non essendo il vero essere, non è tuttavia semplice apparenza, come era per Parmenide, ma è più propriamente “immagine” del mondo delle Idee”[2], secondo il pensiero platonico.
La posizione aristotelica si fa più articolata: egli “sostiene, infatti, l’ingenerabilità e l’incorruttibilità del cielo, cioè dei corpi celesti, costituiti di etere, elemento inalterabile e incorruttibile, mentre afferma che sulla terra esistono corpi generabili e corruttibili. Anzi, la generazione e la corruzione, per Aristotele, sono proprio ciò che contraddistingue i corpi terrestri da quelli celesti”[3].
Con la venuta del Cristianesimo, si affiancano poi altre questioni. Infatti è diverso “il dibattito intorno all’origine dell’universo che si registra presso i primi filosofi cristiani. Per costoro, infatti, l’eternità del mondo non può nemmeno essere presa in considerazione, mentre i problemi che si pongono sono, in riferimento al racconto cosmogonico di Platone, quello della creazione del mondo da una materia preesistente o dal nulla, e, in riferimento al prologo giovanneo, quello della funzione del Logos nella creazione”[4].
Due appaiono dunque le alternative, nel mondo antico e paleocristiano, per quanto riguarda l’origine dell’universo: creazione oppure emanazione/processione/derivazione; la differenza fondamentale tra le due alternative è che, mentre la creazione è un libero atto divino, quindi non soggetto a necessità, l’emanazione “invece, in quanto atto inconscio e involontario di un principio non pensante né volente, e quindi impersonale, è un processo necessario”[5].
Nel capitolo seguente si parla dell’essere, ed è una tematica fondamentale della filosofia greca, dato che questa “è stata la prima forma di cultura che ha esplicitamente tematizzato l’essere, inaugurando quel, tipo di riflessione che, in età moderna, è stato chiamato “ontologia” (dal greco on, “essere”, logos, “studio, discorso su”)”[6].
I primi nomi che incontriamo sono quelli di Parmenide (grande iniziatore della ricerca sull’essere) e Gorgia, il quale “argomenta partendo esattamente dalle premesse poste da Parmenide, ossia che l’essere è essere, che il non essere è non essere, e che essere e non essere sono tra loro opposti”[7] .
Il centro dell’argomentazione gorgiana sta nel rilevare come la semplice identità con se stessa non conferisca automaticamente all’essere nessun primato rispetto al non essere, poiché anche per quest’ultimo vale la medesima cosa: si identificano, in tal modo, i due opposti, cosa che Parmenide ha voluto evitare.
Dal canto suo, Platone introduce due novità rispetto alla concezione parmenidea dell’essere: “l’essere in senso proprio, pur essendo immutabile, non è uno, ma molteplice, cioè è costituito da una molteplicità di enti, diversi l’uno dall’altro; inoltre, ciò che non è in senso proprio, vale a dire ciò che muta, ciò che diviene, non è puro nulla, o semplice apparenza, come per Parmenide, bensì è anch’esso essere, sia pure in un grado inferiore”[8].
Tuttavia, nella Repubblica, Platone non si limita a considerare due generi di essere (e, di conseguenza, due regioni dell”essere), ma allude anche a qualcosa che si trova al di sopra dell’essere, ossia l’Idea del Bene, la quale è, per le Idee, ciò che il sole è per le realtà sensibili.
Ma è solo nel Sofista che Platone tratterà in maniera più approfondita dell’essere, compiendo una sorta di “parmenicidio”: Platone infatti apporta alcune significative correzioni alla dottrina di Parmenide, quando si tratta di definire la dottrina del ““sofista”: quest’ultimo è un “creatore di apparenze”. Tuttavia “come può il sofista produrre il falso, se ciò che non è non esiste?”[9].
Con Aristotele, invece, si la prima affermazione della multivocità dell’essere, in contrapposizione alla tesi parmenideo-eleatica della sua univocità. Più nello specifico, la multivocità dell’essere cui allude Aristotele non è solo il fatto che l’essere sia utilizzato nei quattro modi elencati nel libro V della Metafisica (accidente, essere per sé, essere come vero e l’essere come atto e potenza): la multivocità di cui parla Aristotele è quella riguardante l’essere per sé, in riferimento all’utilizzo del verbo “essere” come predicato, al fine di indicare un modo di essere. Stante ciò, è ovvio che il verbo “essere” si trovi a ricoprire una molteplicità di significati, tanti quanti sono i predicati ai quali si unisce. Tuttavia, Aristotele, più avanti, ribadirà la sostanziale unità tra le varie categorie, unità che di fatto impedisce al termine “essere” di essere equivoco.

Si giunge poi a Filone (medioplatonismo) e al neoplatonismo con Plotino in particolare. Quest’ultimo si rifà a Platone per quanto riguarda la concezione del primo principio come l’Uno, ovvero come il Bene, tuttavia Plotino ritiene che l’Uno sia superiore all’essere e al pensiero. “L’Essere, inteso come intelligibile, e l’Intelletto, inteso come pensiero, sono invece per Plotino la seconda ipostasi, cioè il secondo principio sussistente in sé, generato dall’Uno, e coincidono perfettamente tra di loro, cioè sono in Intelletto che pensa se stesso come essere”[10], mentre la terza ipostasi è l’Anima del mondo.
Con Porfirio si ha invece il ritorno della concezione di Dio come essere, vista in Filone di Alessandra e nel medioplatonismo: egli pone l’Uno come prima ipostasi, come Plotino, ma viene qui identificato con l’Essere, in accordo con la tradizione medioplatonica, e viene posto come seconda ipostasi, generata dall’Uno/Essere, l’Ente, identificato con l’Intelletto, cosa che si ritrova anche in Plotino.
Nei capitoli seguenti altre questioni vengono trattate, tra le quali gli dèi, l’uomo (inteso come essere umano), importante perché, come sostiene lo studioso Werner Jaeger, i Greci, mediante la nozione di paideia, avrebbero di fatto scoperto l’uomo, la dialettica (ossia “il dimostrare una tesi attraverso la deduzione del suo opposto di conseguenze contraddittorie”[11]).
Nel sesto capitolo, l’autore si occupa del rapporto tra filosofia e poesia. Quest’ultima, in particolare è ed è sempre stata (e sarà sempre) una dimensione peculiare, poiché in essa “la parola si sottrae alla più consueta funzione descrittiva e denotativa per concentrarsi sulle potenzialità evocative dei suoni e per ampliare la sfera del conoscibile attraverso la creazione di un mondo immaginario, più o meno vicino a quello realmente esistente”[12].
Anche i filosofi antichi si interessarono alla poesia, vista l”importanza che questa ricopriva nella vita dei Greci: alcuni esempi sono dati dai poemi omerici e dal ruolo del teatro nella vita pubblica, specialmente ad Atene.
In mezzo a tante, spicca in particolare la posizione di Platone: nel dialogo “Ione”, apprendiamo che “il poeta viene privato dell’intelletto dal dio, il quale “lo usa come suo tramite”, cioè lo invade e si sostituisce a lui, per poetare e vaticinare per bocca sua”[13].
La poesia, dunque, per Platone, è totalmente antitetica rispetto alla razionalità e (dunque) alla filosofia: nell’educazione dei fanciulli, si raccomanda il filosofo nella Repubblica, si insegnino soltanto quelle poesie e quei miti che possano portare ad una positiva istruzione morale.
Dopo essersi occupato della felicità (capitolo settimo), nell’ottavo e ultimo capitolo l’autore parla del destino dell’uomo dopo la morte. Sostanzialmente, due sono le concezioni riguardo all’aldilà nella cultura greca: la prima è data dai poemi omerici, secondo cui dopo la morte non ci sarebbe una vera e propria vita, perché l’essere umano è mortale, mentre gli dèi, invece, sono immortali. La seconda è quella della tradizione orfico-dionisiaca, secondo la quale esiste, nell’uomo, un’anima immortale di origine divina.
“In virtù di ciò, essa è destinata ad abitare altre vite, in nuovi corpi e in condizioni diverse, entrambi espressione di un premio o di una punizione per i meriti o le colpe acquisiti nella vita precedente”[14]. Ora, se i cosiddetti “fisici”, in certa misura Aristotele, gli Stoici, gli Epicurei e gli Scettici hanno seguito la prima concezione, i Pitagorici, Platone, il Neopitgorismo e il Neoplatonismo hanno seguito con decisione la seconda.

“In principio era la meraviglia” è un libro di ampio respiro e molto ricco, che può essere letto non soltanto dagli “addetti ai lavori”, ossia docenti e studenti di filosofia, ma da chiunque, in possesso delle basi, si interessi a questa straordinaria disciplina, la filosofia appunto.
Il metodo seguito dal professor Berti, come accennato, è il medesimo per ogni capitolo ed è molto rigoroso: per ogni questione prese in esame, espone le diverse concezioni dei principali filosofi antichi e dei principali filosofi della prima cristianità, di modo che sia il semplice lettore che lo studioso possano avere sotto gli occhi le differenti risposte (o tentativi di risposte) dei vari filosofi agli argomenti oggetto di ricerca.
Una lettura che non può mancare nelle vostre librerie.
Written by Alberto Rossignoli
Note
[1] Enrico Berti, “In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica”, Editori Laterza, Roma-Bari 2019, p. VIII.
[2] Ibidem, p. 9.
[3] Ibidem, p. 17.
[4] Ibidem, p. 29.
[5] Ibidem, p. 39.
[6] Ibidem, p. 42.
[7] Ibidem, p. 47.
[8] Ibidem, p. 49.
[9] Ibidem, p. 53.
[10] Ibidem, p. 69.
[11] Ibidem, p. 175.
[12] Ibidem, p. 217.
[13] Ibidem, p. 222.
[14] Ibidem, p. 307.
Bibliografia
Enrico Berti, “In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica”, Editori Laterza, Roma-Bari 2019