“Il contesto” di Leonardo Sciascia: il paradosso serve per andare oltre l’opinione

Il contesto è la seconda opera di Leonardo Sciascia, per gli amici Nanà, letta nella sua Racalmuto in questi giorni.

Il contesto di Leonardo Sciascia
Il contesto di Leonardo Sciascia

Intanto, cosa significa per me questa città? È in primo luogo un luogo che si oppone a meteo.it: pioveva con lampi sul telefonino e spirava dell’arietta distrattamente umida sulla panchina, dove lo consultavo e dove ho letto gran parte i due romanzi gemelli: Todo Modo e Il contesto, riuniti da Mondadori in quest’unica pubblicazione del 1975, nella fascetta della terza di copertina, leggo: “Leonardo Sciascia, nato nel 1921, vive oggi a Palermo.”

Oggi egli vive nel mondo, ma soprattutto a Racalmuto, dove esiste la Fondazione Sciascia e Casa Sciascia, luoghi che ho religiosamente visitato insieme all’amico Nicolò, bisnipote del Sindaco Gaspare Matrona, che tanto fece per la città, spendendo anche del proprio (gesto raro per un politico non solo italiano).

Una precisazione: da queste parti non sono ammessi gli stranieri e si diventa racalmutesi il giorno dell’arrivo.

“Il procuratore Varga era impegnato nel processo Reis, che durava da circa un mese e si sarebbe trascinato almeno per altri due, quando in una dolcissima sera di maggio, dopo le dieci e non oltre la mezzanotte secondo testimonianze e necroscopia, lo ammazzarono.”

Sto reagendo al romanzo non in itinere, ma a giochi fatti. Mi è consentito perciò riportare un paio di passi che Nanà lasciò a congedo: “… ho scritto questa parodia (travestimento comico di un’opera seria che ho pensato ma non tentato di scrivere, utilizzazione paradossale di una tecnica e di determinati clichés) partendo da un fatto di cronaca…” – il paradosso serve per andare oltre l’opinione che si ha della realtà (che non è atto da poco), al fine di comprenderla.

“Per restituire all’opinione pubblica quella fiducia nella efficienza della polizia, che peraltro l’opinione pubblica mai aveva nutrito, o per farla rassegnare alla insolubilità del mistero, il ministro…” – decise di far affidamento all’“ispettore Rogas: il più acuto investigatore di cui disponesse la polizia, secondo i giornali; il più fortunato,a giudizio dei colleghi.” – una via di mezzo non è contemplata, come se il valore non fosse fatto (anche) di fortuna, di destino fortemente voluto, ma di pura casualità.

Ogni giorno il numero dei giudizi ammazzati cresce:Quattro giorni dopo, a Chiro, cadeva il giudice Azar…

Rogas decide di fare una cernita fra i colpevoli di vai delitti compiuti negli ultimi anni e condannati in processi in cui “Vargas come accusatore e Azar come giudice aveva partecipato e, secondo un criterio abbastanza semplice, dopo un sommario esame, li divideva e raggruppava.” – scartando quelli che non gli parevano sospetti.

Il primo che decide si sentire è un presunto accusato di omicidio: “i suoi guai anzi erano venuti da una vocazione all’ozio che ostentava e teorizzava…

Colpevole era la sua tendenza a star “in piazza, seduto al sole, ai piedi del monumento a quel generale Carco…”ma chi era questo esimio milite? Poco importa al lettore, se non quello che scrive Nanà: “che un secolo avanti aveva tolta quella regione a un tiranno per darla a un altro.”

Questi nomi, Varga, Reis, Azar, Rogas, Carco poco indicano della nazione in cui si svolgono i fatti narrati. Forse è il Sud America, ma la mia è soltanto un’ipotesi.

A causa dei due magistrati, quel tipo si era fatto quattro anni in galera, e poi fu assolto. Conversazione molto sciasciana:

“‘E quei quattro anni di carcere?’
‘Passati.’
‘Passati, va bene. Ma li hai fatti ingiustamente, no?’
‘Mi sono fatto cinquantadue anni di vita, ingiustamente. I quattro che ho passato in carcere non mi pesano poi tanto. Il carcere è sicuro.’
‘Che genere di sicurezza?’
‘Mangiare, dormire. Tutto regolato.’
‘E la libertà?’
‘La libertà sta qui.’ disse l’uomo portandosi un dito al centro della fronte.”

Questo uomo, non identificato da alcun nome, così filosofo, viene lasciato al suo atarassico modo di vivere.

Rogas passa al prossimo, un tipo che si dice che avesse una moglie “fredda”. Che aveva (pertanto?) cercato di eliminarla.

Racalmuto
Racalmuto

Parlando con Nicolò (detto Nicola, come tutti i suoi omonimi di Racalmuto), ho scoperto che Nanà, quando esprimeva pur complessi ragionamenti, anche se si trovava al cospetto di un pubblico d’intellettuali, non rinunciava a inserire parole dialettali di non facile comprensione, anche perché nel parlare, assumeva un tono basso, facendo pendere dalla bocca una sigaretta, il che non rendeva eccessivamente essoterico il suo discorso.

“… raccolse la confidenza e la passò, senza appulcrarvi parola, al giudice istruttore, i cui sogni, accanto a una donna ‘fredda’, erano popolati di donne ‘calde’…” – e questo, poco chiaramente, condusse a “una condanna a cinque anni, per tentato omicidio, che fu poi confermata in appello…”

Ho chiesto a Nicola se appulcrare fosse un termine dialettale. Non gli risultava. Guardando sul solito Google, ho trovato la conferma della probabile origine latina del termine.

Per l’aula rameggiò un sussurro di indignazione, di incredulità…

Rameggiare sta per tener su una pianta con bastoni, come io stesso faccio (senza saperlo) coi miei pomodori. E anche stavolta son dovuto ricorrere all’aiuto telematico, per dare un senso alla frase.

Ho notato due vezzi (o rigorose scelte lessicali) di Nanà: egli non ama le elisioni, tipo d’improvviso, oppure d’amore, o d’estate. In caso di accostamento di due vocali diversi, gradisce (o almeno sceglie sempre) l’eufonetica d: ad esempio, ad illustrare, ad odorare, ad uccidere. Non che fosse un dato importante, ma andava detto.

Cres fu condannato per tentato omicidio di quella sua moglie fredda. Dopo cinque anni fu rilasciato. Sua descrizione (fatta da uno che lo conosceva): “È sempre stato un tipo chiuso, taciturno, scontroso: e di un tipo come lui si può credere qualsiasi cosa, nel bene o nel male.vai a capire quel che gli passa per la testa, a un tipo simile. Viene fuori un’accusa, fatta da indizi ma in astratto abbastanza credibile; dall’accusa una condanna; la condanna viene confermata in appello… Uno ci crede. Io ci ho creduto.”

Io no, ma si tratta di una sensazione che non so definire. Inoltre io non sono un magistrato, per fortuna, e non sarò pertanto ucciso, me l’auguro almeno.

“… di che cosa parla, quando è con lei?” – chiede Rogas a Maxia (che dice di non essere “la sola persona che Cres frequenta” ma che “sono io che lo cerco, che tento di tirarlo fuori dal guscio di fargli riprendere certe abitudini, di portarlo in mezzo alla gente. Ma è tempo perso…

Maxia dice ancora: “Non parla di donne, che sarebbe, lei capisce, non il parlare di corda in casa dell’impiccato, ma come se l’impiccato parlasse di corda” – un’altra minutaglia linguistica: Nanà mantiene la virgola (e talora il punto) prima della congiunzione avversativa. Anche a me capita, talvolta, ma sto cercando di smettere.

Rogas era un tipo paziente e metodico, come si sarà forse capito: “tanti casi criminali di cui si era occupato gli insegnavano che nel disegno più perfetto, più curato nei particolari, nelle sottigliezze, nelle sfumature, sempre e imprevedibilmente si insinuava, a perdere l’autore, l’errore più sciocco, la zeppa più grossolana.”

Non è tanto l’attendere il nemico, il cui cadavere sta forse scendendo lungo le acque di un torrente. Anche perché quel cadavere forse potrebbe precedere il tuo.

“‘Che cosa gli piacerebbe?’, domandò la signora Nocio dalla porta, col tono del telosistemoio” – ecco un’altra scelta stilistica di Nanà: egli alterna dotte citazioni (poco prima parlava della celebre scommessa pascaliana), a erudite espressioni latine, tipo: “un articolo come il suo può aver prodotto in un lettore non compos sui… ” – dimenticavo, Nanà apprezzava assai i troncamenti. Utilizza però anche termini di paragone come quelli che riferisce alla moglie di Nocio, che di certo non sono riportati in alcun dizionario.

“Il mento di Nocio tremò, come di un bambino che sta per piangere. Ma forse era collera.”molto preciso in alcune descrizioni psicologiche, imbocca talvolta con un forse la strada dell’incertezza, che è più consona a quel caso.

“‘L’essere o non essere borghese sta qui’, disse Galano: e si toccò con l’indice il centro della fronte.”si tratta del secondo personaggio che usa un’espressione simile.

Descrizione esistenziale: “… Rogas viveva solo; né c’erano donne nella sua vita (pare, pareva anche a lui vagamente, avesse avuto moglie una volta.”  – ecco, io non credo sia possibile avere incertezze di un fatto simile: Nanà amava, più che le antifrasi, che danno il senso opposto a quel che affermano, le metàfrasi (con l’accento sulla a!), cioè quelle che dicono e non dicono, ma dicono fin troppo.

Rogas ora incontra “il presidente”, personaggio che definirei meritevole di una lezione, a cui l’investigatore esprime i suoi dubbi sulla colpevolezza di Cres. Il presidente usa un’ironia che attira le sberle, con le sue battute acide: “Ma davvero!”, “Era innocente o crede che fosse innocente?”, al che Rogas ammette che non può che avere “la convinzione, non assoluta, e anzi con un margine di dubbio, che sia stato condannato ingiustamente.”

E l’altro, algido e beffardo al contempo: “Non assoluta, un margine di dubbio… È divertente.”

Un tipo del genere non lo ammazzerei, né gioirei per la sua morte, manco m’intristirei però. e sarebbe un atto coerente col suo destino.

La sua odiosa tesi è al contempo religiosa e diabolica: una sentenza produce quell’effetto che i più grandi filosofi hanno cercato per millenni, rovistando in ogni luogo possibile: la Verità.

Afferma di aver personalmente risolto “il problema del giudicare.”

Attenzione: “… non una volta per tutte, non definitivamente… Qui e ora, con lei, parlando del prossimo caso che dovrò presiedere, posso anche dire: non l’ho risolto. Ma badi: parlo del prossimo caso. Non del caso che appena mi è passato o del caso di dieci o venti o trent’anni fa. Per tutti i casi passati il problema l’ho risolto, sempre: e l’ho risolto nel fatto stesso di giudicarli… Lei è cattolico praticante?”

E qui l’inclito fellone pone il caso della transustanziazione che avviene durante tutte le messe, che prescinde dal valore o dalla santità dell’officiante. È un fatto divino, non umano. E così è per la giustizia.

Rogas pone il quesito dei vari gradi di giudizio. Il presidente ha la risposta pronta: “… postulano soltanto l’esistenza di un’opinione diciamo laica della giustizia, sull’amministrazione della giustizia. Un’opinione che sta al di fuori. Ora quando una religione comincia a tener conto dell’opinione laica, è ben morta anche se non sa di esserlo. E così è la giustizia, l’amministrazione della giustizia…”

La verità non determina la decisione: è la decisione che stabilisce la verità.

“Non è più il cercare l’ago nel pagliaio, ma il cercare nel pagliaio il filo di paglia.”‘ndo cojo cojo.

L’importante è cogliere e sancire una decisione necessariamente finale e insindacabile.

Tutto il match (tale pare il dialogo fra i due) vede il presidente in grande vantaggio. A Rogas spetta però il gol della bandiera: “Dico che lei sarà al possibile protetto e sicuro nella misura in cui si sentirà non protetto, non sicura.” – al che il presidente non può che rispondere con un “Ah”.

Leonardo Sciascia
Leonardo Sciascia

Ah, Nanà! Che scrittura strana che hai. Possiede un peso specifico che non muta a ogni pagina, ma di capoverso in capoverso. E poi queste parole strane: “Il presidente poteva ammazzarlo quando voleva: ma l’amparo di abitare in quel palazzo era ormai talmente perfetto che, per non comprometterlo, certo rimandava e avrebbe continuato a rimandare la decisione.”

Amparo in spagnolo è protezione, riparo.

Vargas ha scoperto che in quel palazzo da dove era appena uscito, abitava anche Cres. E si era fatta un’idea su tante cose.

“Raccontò tutto a Cusan. Cusan era uno scrittore impegnato: e perciò cadde in profonda costernazione a trovarsi coinvolto nell’impegno di quei segreti, di quei pericoli. ma era un uomo onesto, un amico leale; e dopo aver tentato da ogni lato e su ogni punto debole di far crollare quel castello di impressioni, di deduzioni, di ipotesi, si accorse di esserci dentro, insieme a Rogas: come in un labirinto, e bisogna che trovassero il filo per uscirne.”

“Rogas non si fece vivo l’indomani, sabato, né nella mattinata della domenica: cioè nelle ore in cui ancora poteva, prendendo alla lettera l’espressione, farsi vivo.”

Cusan venne a sapere che “Rogas era morto”.

Cusan “scrisse per più di due ore. Rilesse. Bene. Benissimo. Forse sono le sole pagine mie che resteranno: un documento” – che, dopo averlo piegato in due, mise dentro a un libro: “Scelse, naturalmente, il Don Chisciotte.”

Poi, in una lettera scrisse dov’era il suo testo. E l’imbucò.

“Irritato, Cusan pensò: sono i libertini che preparano la rivoluzione, ma sono i puritani che la fanno; e che loro, i due avvinghiati, tutta la generazione cui appartenevano, mai ne avrebbero fatta una. Forse i figli: e sarebbero stati puritani.”

Non conta sapere come vada a finire tutta la storia (questa scritta è solo una parte di essa), né chi sia l’assassino, né quanti procuratori e investigatori saranno uccisi. Quel che importa è avere la consapevolezza del caos sociale in cui noi si conduce la nostra esistenza.

Il mondo è bianco o nero? Grigio non può essere?

Questo mi pare l’essenza della scrittura di Nanà: ingrigire ad arte l’esistenza, che è un modo per addivenire a una miscellanea da cui si potrà forse ricreare quel che la vita ha reso troppo uguale perché troppo diverso: diversamente uguale? O ugualmente diverso? E che la vita stessa ha annichilito.

Finisco col citare la coda della Nota di Nanà: “… ho tenuto per più di due anni questa parodia nel cassetto. Perché? Non so bene, ma questa può essere una spiegazione: che ho cominciato a scriverla con divertimento, e l’ho finita che non mi divertivo più.”

L’infanzia fonda l’esistenza sul gioco. La maturità sul compito da svolgere, il cosiddetto dovere, la mansione a cui si deve adempiere. La vecchiezza sulla necessità di sopravvivere, costi quel che costi. E poi ci si meraviglia che un anziano rimbambisca. Alla fine egli torna a rappresentarsi il proprio inizio.

E in quanto agli scrittori come te, Nanà, essi sapranno sempre dove rinvenire il loro sacro appulcramento. Termine che non sopporta il corsivo, grazie.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Leonardo Sciascia, Il contesto, Mondadori

 

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