“Tex – Matador!”, testi di Mauro Boselli e disegni di Aldo Capitanio: perché Tex piace tanto?

Fin dalla mia adolescenza ho sempre saputo che, se a sparare Carson è veloce come un fulmine, Tex è un fulmine lubrificato!

Tex. Matador!
Tex. Matador!

Se m’immagino una sfida a chi spara più veloce fra Tex, Lucky Luke e Capitan Miki, so che non finirebbe pari: semplicemente non cesserebbe mai. Per quanto siano tutti e tre estremamente celeri, nessuno di loro riesce a superare la velocità della luce, pur essendo concesso a ciascuno di loro di tentare di eguagliarla. Nessuno di questi mirabili artisti della colt può perdere in un confronto diretto con un suo antagonista e se l’uno conta di estrarre l’arma con una certa rapidità, gli altri due devono essere sempre più lesti, fino a che tutti e tre raggiungeranno, insieme, il dato parossistico previsto dall’esperimento di Michelson – Morley: 299.792,458 chilometri al secondo, per cui le loro prime tre pallottole (e le eventuali successive) s’incontreranno esattamente a metà strada, elidendosi l’una con l’altra.

Tex (insieme agli altri due citati eroi) rappresenta una delle prove più tenaci della teoria della relatività ristretta. Il lettore osserva la storia dal suo punto di vista individuale e indiscutibile. La verità è certa, conoscibile e non dà adito a dubbi. Questo accade perché la velocità dell’estrazione della pistola da parte di Tex e la sua precisione rappresentano un valore assoluto, che permette di creare la relatività del resto della storia. Ogni personaggio, volente o nolente, solidale o nemico, gira intorno a questo assoluto, che è contemporaneamente padre, vedovo, pard, mandriano, ranger, agente e capo indiano, nonché famoso pistolero e instancabile raddrizzatore di torti.

Dylan Dog è diverso. Talvolta l’ho visto piangere perché non riesce a emergere completamente dai suoi incubi. Ha spesso paura. Teme la sua stessa indecisione. Segue il suo istinto, a volte un po’ recalcitrando. Dalla bufera che si scatena, esce sempre vittorioso, ma come capita a una squadra che ce la fa a pareggiare all’ultimo minuto e per questo, forse, anche stavolta per miracolo, passerà il turno. La verità, ipocrisia intellettuale, che è l’acerbo frutto della fantasia dei sofisti, viene partorita con taglio cesareo, e il frugoletto che vede finalmente la luce è quasi sempre un piccolo mostro che strilla e che è in cerca chi lo possa comprendere.

Quasi e forse sono i due avverbi che più aleggiano nelle storie di Dylan. Secondo la meccanica quantistica la realtà è attestabile con un’incertezza che non si può eliminare, né quantificare con precisione assoluta, potendo solo ambire a un’incerta accuratezza. Essa è prevedibile, probabile e, insieme, discutibile, come lo è ogni finale delle storie di Dylan, per cui, il lettore, osservando la storia, ha l’impressione di mutarne continuamente e misteriosamente i contenuti.

Dylan Dog ci intriga perché condivide con noi certi problemi esistenziali. Tex no, è assolutamente al di là dei nostri umani limiti. Ma perché, allora, ci piace tanto?

Così si chiedeva un articolista nella presentazione di un Maxi Tex che avevo cominciato a sfogliare sul treno ad alta velocità che piano piano o forte forte mi stava recando a Salerno.

Non lo so, ma non credo solo perché regala emozioni: tra l’altro il lettore sa bene che è inutile preoccuparsi per la sorte del nostro eroe e dei suoi pard.

I fantastici quattro (Tex, Carson, il figlio Kit e l’atarassico Tiger Jack) sono imbattibili, ma questo capita a quasi tutti gli eroi dei fumetti. Ricordo l’episodio dell’albo La sconfitta, la cui copertina presentava il nostro ranger a terra, trafitto da uninaspettata pallottola. Tutto poi si spiegò: l’avversario che lo aveva sfidato a duello aveva utilizzato un mezzuccio traditore, per cui era riuscito a sparare senza estrarre la pistola dalla fondina. E tutto presto si risolse: in capo ad un altro albo, Tex si vendicò e trionfò come tutte le altre volte, passate, presenti e future, un po’ come Superman, non temendo però, come sottolinea l’articolista, gli effetti terribili della kriptonite verde.

Allora, se Tex trionfa sempre più o meno come tutti gli altri, perché ci piace così tanto?

Forse perché, più o meno ma non esattamente come tutti gli altri eroi, vuoi per la decisione e vuoi per la tranquillità con cui affronta ogni pericolo, anche il più spaventevole, egli ci garantisce non solo la certezza della sua vittoria, ma anche la più che innaturale reversione dell’entropia universale. Il secondo principio della termodinamica pare garantire lo sfacelo irrimediabile del cosmo, che si presenterà, alla fine del tempo, come un deserto spazio in cui i corpi saranno quasi infinitamente distanti gli uni dagli altri, a una temperatura pari allo zero assoluto, a meno che non intervenga l’inossidabile Tex che, con le sue roventi colt, riporterà l’ordine prestabilito, dopo aver raddrizzato tutti i torti. Il suo sarà l’ennesimo e inevitabile big bang, disponibile a risolvere ogni caotica situazione.

Se per caso un bicchiere cade a terra frantumandosi in mille pezzi, In qualche modo Tex sarà presto in grado di unificarli alla perfezione. Come farà? Quien sabe è l’unica riposta consentita dall’attuale scienza cosmologica.

Nell’estate del 2001 mi capitò di leggere una storia di Tex che mi parve diversa dalle altre, non solo perché era ambientata in Messico e nel mondo delle corride, ma per alcuni altri aspetti di cui dirò.

La Sergio Bonelli Editore l’ha recentemente ripubblicata a colori in unico volume cartonato che ho riletto con interesse.

La prima notizia straordinaria è che i due pard, Tex e Carson, appaiono solo a pagina 37, non sembrando nemmeno allora i protagonisti della storia, ma come se fossero lì in vacanza, turisti per caso.

A pagina 32 appare il matador, attorno a cui girerà la storia. Il lettore scopre a pagina 34 che per avere coraggio bisogna essere portatori sani di paura, concetto che non si è mai palesato in quel migliaio di numeri che ho letto intitolati al mitico Willer.

Il torero Rafael fatica ad arrotolare la sigaretta perché gli tremano leggermente le mani all’idea che fra non molto scenderà nell’arena. Poi, come ogni altra volta, la paura sparirà d’incanto, quando sarà a tu per tu col toro furente, che è ogni volta un individuo a quattro zampe con una sua personalità, che non rinuncerà mai di incornare chiunque gli passerà accanto.

A pagina 3, a Carson, che non è uno che te le manda a dire, scappa la battuta secondo cui i toreri sono presuntuosi come delle prime donne. Willer appare più conciliante, perché secondo lui ogni luogo ha le sue usanze. E lui di luoghi ne ha visti davvero tanti. Anche il suo pard, che però quasi vuole andarsene nel bel mezzo della corrida, non sopportando quello spettacolo in cui ogni violenza appare gratuita: Lui, che sarebbe pronto a impiombare una dozzina di cabrones a due zampe, ma solo per legittima difesa o per salvare degli innocenti, fatica a capire come si può permettere lo scempio dei poveri cavalli, che da sempre sono le vere vittime di quei sanguinosi spettacoli.

Presto la situazione si normalizza (si fa per dire): c’è una sparatoria e Tex si butta nella mischia, infischiandosene degli eventuali rischi connessi. In occasioni simili a questa, e anche ora, Carson non può fare a meno di chiedere a Tex se è impazzito e di pensare che quel satanasso pare che intenda farsi sparare addosso.

I due ranger non sono dei tipi eccessivamente religiosi, almeno per quel che ne so, ma nemmeno empi, anche perché stanno sempre dalla parte dei più indifesi e buoni, eppure l’uno con l’altro non si chiamano mai con nomi angelici. Una delle espressioni preferite è per le corna di Belzebù!

Come in tante altre loro storie, anche in questa spiccano dal gruppo alcuni coraggiosi che fanno da contraltare ad altri che Sciascia definirebbe mezz’uomini, ominicchi e quaquaraquà. Poi ci sono le vili carogne ma queste fanno storia a sé, e in genere terminano la loro bieca esistenza in malo modo.

A pagina 118 una circostanza consueta nel loro tran tran giornaliero: Tex e Carson sono appostati e, mentre studiano come liberare due disgraziati, il più velocemente intuitivo dei due (e chi può essere mai?) subodora una trappola. Lo è, infatti. Come sempre, però, i due riescono a venirci fuori con un sereno successo e col minimo dei danni.

Mauro Boselli - Aldo Capitanio - Tex Matador
Mauro Boselli – Aldo Capitanio – Tex Matador

Io non m’immedesimo né nel numero uno dei ranger, né nel più attempato numero due, ma devo dire che Carson mi è più simpatico, sia per la sua natura epicurea, che non gli fa disdegnare né i lauti pranzi, né la presenza di procaci ragazze, sia per le sue appuntite e ben mirate battute.

A pagina 128, a un prete che prega Iddio dopo essere stato liberato, egli chiede del perché continua, ora che è salvo, a snocciolare il suo rosario. In effetti pare solo una perdita di tempo, con tutto quello che ancora c’è da fare!

A pagina 142 i due valorosi cominciano a capire che la famiglia Montoya, per quanto onorata, sia sempre stata in grado di fare chiudere un occhio, se non due, a chi amministra la giustizia in quel paese di frontiera, lontano un po’ da tutto. E a Tex viene da dire una frase che lo qualifica come un uomo giusto, poiché manifesta tutto il suo disprezzo per quegli odiosi signorotti che coi loro soldi si sentono al di là de bene e del male.

Svariate decine di anni fa lessi in un articolo dell’Espresso un giudizio negativo sul ranger, che lo qualificava come uomo d’ordine e pertanto di destra. Si era al tempo della Legge Reale e questo aveva indispettito il giornalista.

In una bacheca della parrocchia che frequentavo da ragazzo erano indicati i pareri sulle varie pubblicazioni, sia riviste che fumetti: la lettura di Tex era definita pericolosa, come se dalle pagine potessero uscire delle pallottole o delle schegge pericolose causate dalle stesse.

A pagina 154 avviene la prima agnizione di questa storia che conterrà purtroppo alcuni elementi tragici.

Cinque pagine dopo si assiste al solito battibecco affettuoso fra i due amici, in cui di solito ha la peggio Carson, che come tante altre volte viene accusato dal pard di essere il solito pessimista. Per avere l’ultima parola l’anziano ranger non può che augurare hasta luego y suerte al suo satanasso preferito!

A pagina 160, mentre sta galoppando verso la sua parte di missione, Carson, un po’ scocciato del fatto che dovrà rinunciare alla cena e alla conseguente fiesta, si chiede perché mai queste cose gli capitano ogni volta che frequenta il suo intrepido collega. E la risposta non può che essere una: è il quasi inevitabile destino di un eroe del west!

Di rado qualcuno parla di angioletti che suonano l’arpa (talvolta capita anche questo) ma di solito, quando qualche miserabile spara a uno dei nostri beniamini, augurandogli di andarsene all’inferno, costui ringrazia dell’invito, non mancando di dirgli che prima però toccherà a quell’altro. Questo capita a pagina 172.

A pagina 177 un sergente dell’esercito afferma che la famiglia Montoya fino a quel giorno non si era mai macchiata di alcun crimine e che anche quella volta si trattava di una questione di onore e che nessun padre avrebbe tollerato un’onta simile a quella che era stata fatta alla figlia di quel possidente. Pare di essere in Sicilia negli anni ‘50. Al che Kit Carson dice che in fin dei conti la ragazza è maggiorenne e che può pertanto seguire le scelte del proprio cuore.

Il sergente sa che deve compiere il suo dovere ma al contempo non ignora che in quel luogo detta legge quell’onorata famiglia e che difficilmente si potrà ridurla alla ragione, anzi, che probabilmente saranno i suoi rappresentanti a prevalere e a sgominare le forze dell’ordine, facendo pure sparire le loro carcasse.

Il vecchio Montoya ha catturato Carson e lo minaccia di morte, e quell’anziano perennemente giovane nonché agilissimo, sia mentalmente che fisicamente, gli risponde con ironia, lamentandosi che si aspettava di più dalla tanto decantata ospitalità messicana.

Nel frattempo Tex è stato ferito, in maniera non grave: il proiettile per fortuna è uscito, pur recandogli dei danni. Mentre cerca di ripartire alla carica, egli sviene e non si sa come possa andare a finire.

Aspetta: io so perfettamente cosa succederà. In qualche modo, i Nostri, cioè i Miei Tex e Carson, alla fine riusciranno ad aver la meglio sui cattivi.

A pagina 193 accade una di quelle cose che hanno reso particolare quest’avventura. I veri protagonisti sono il torero e la bella figlia dei Montoya, i quali stanno ora imbastendo una scenetta romantica fatta di risatine e di battute amene, interrotta però da alcuni tragici avvenimenti.

Intanto altre agnizioni si susseguono, l’una conseguente all’altra, che rendono chiaro il significato reale della vicenda.

Tex e Carson contribuiscono in maniera sostanziale a riportare la giustizia, ma i veri eroi sono altri. E questa è la novità maggiore del fumetto. E poi c’è l’aspetto tragico della storia, che mi fa penare, anzi, che quasi mi spezza il cuore: un uomo d’onore, per quanto malvagio, vede perire le due persone più care.

Anche questa è una novità nelle storie di Tex, nelle quali chi è buono è in genere fortunato, e porta a casa la pellaccia, insieme ai suoi cari, e chi è cattivo rotola giù all’Inferno, al pari dei suoi scagnozzi, senza provare particolare ambascia: il tutto diventa un fatto naturale, come l’entropia di cui scrissi poc’anzi.

Nella presente, l’antagonista non può che augurarsi di essere condannato al più presto alla pena capitale e di cessare in quel tragico modo quell’incredibile strazio.

Due ultime questioni, tanto per cambiare argomento. Ancor oggi due persone che non hanno confidenza tra di loro si danno del voi, come non si usa più da decenni nell’Italia del nord, mentre è ancora frequente nel sud. Mi domando se prima o poi tale usanza cesserà negli albi di Tex.

Pensando a Omar Salgari che tentò di seguire le orme di Emilio, il più celebrato padre, a volte mi chiedo se sia stato più grande Gian Lorenzo Bonelli, a cui si deve la figura di Tex (che un po’ lo ricorda nel viso e nello sguardo lombardamente diritto), illustrato per la prima volta e per quasi mezzo secolo dal disegnatore Galep (Aurelio Galleppini), oppure il figlio Sergio, inventore di due personaggi singolarmente geniali come Zagor e Mister No. Penso proprio che non saprò mai rispondere a tanto assurda domanda.

Passo pertanto alla seconda questione. Dopo aver letto tutti i Tex e i Dylan Dog, ogni volta che ne leggo uno mi chiedo perché mai mi accanisca ad acquistarli a ogni loro nuova uscita in edicola, ben consapevole che la nuova avventura conterrà alcuni elementi che furono già presenti in altri albi. La risposta in questo caso c’è ed è semplice e di tipo religioso: perché continuano a uscire mensilmente sempre nuovi episodi e io non posso che procedere alla loro assunzione. Ce n’è infatti un’altra, solo a parole più grave: Tex e Dylan Dog recano una notevole assuefazione.

Il cowboy dell’Arizona c’è e ci sarà sempre, e il detective londinese non è da meno. Prima o poi lo vedrò scritto da qualche parte, magari in autostrada, sul pilastro di un ponte sospeso tra due Nulla.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Mauro Boselli, Tex – Matador!, Sergio Bonelli editore, 2021

 

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