La casa dei Tarocchi #10: il girotondo della Ruota
Scrive Giordano Berti nella prefazione a “Vit(amor)te” che senza dubbio “nelle arti tutto si rinnova sistematicamente a partire da ciò che preesiste: nella musica, nella danza, nelle arti visive, nella letteratura. Tra gli esempi più mirabili di questo continuo rinnovarsi, il Gioco dei Tarocchi è assolutamente emblematico”, e rimescolando le carte comprendiamo il Gioco della Vita.

Da dove arrivano i 22 passaggi di questa danza immaginale?
“Volendo datare un oggetto in una forma ben definita” scrive ancora Berti “si può dire con assoluta certezza che i Tarocchi nacquero nell’Italia del Nord nei primi decenni del Quattrocento. Erano un raffinato gioco di Corte, perché quelle immagini evocavano pensieri lontani dalla gente del popolo. Ben presto divennero un gioco d’azzardo e tuttavia i giuristi lo definivano in modo ambiguo dato che nel gioco dei Tarocchi si può vincere anche con pessime carte… come in guerra”.
Prologo
«La grandezza dell’uomo è grande in questo: egli si riconosce miserabile.» – Blaise Pascal
L’uomo è dunque grande perché riconosce di non esserlo affatto; nel paradosso di Pascal sta una verità socratica, ed è una verità d’anima, una realtà della conoscenza che gira intorno a se stessa, si rimescola e costruisce, consapevole della propria mancanza, ed è preziosa soprattutto se noi troviamo il modo di manovrare il timone della barca, di mulinare la manovella del carillon che suona musiche vitali, di stringere il volante dell’automobile mentre siamo alla guida.
La Ruota (arcano numero X) è come quella briglia che manca al Carro (arcano numero VII) quando il conducente si è fatto prendere la mano dal proprio successo, tanto da rischiare la fissità nel ruolo di un Io spocchioso, sempre un po’ troppo vincente.
Puntare tutto sul rosso o sul nero?
«Adesso non si tratta di questo. Ascolti e tenga bene a mente: prenda questi settecento fiorini e vada a giocare, vinca per me alla roulette quanto più può: ora ho bisogno di denaro a qualsiasi costo.» – Fëdor Michailovic Dostoevskij.
Sull’origine della roulette girano alcune storie, più o meno fantastiche, come per esempio l’idea che questo strumento sia giunto in Occidente dalla Cina e, in tal senso, la ruota numerata condividerebbe con le carte da gioco la medesima radice, quando anche ai naibi (termine di origine araba che significa ‘vicario’, ‘rappresentante della pubblica autorità’) vengono attribuiti gli occhi a mandorla e con lo sguardo si va verso Est per andare a trovare la neonata Prima Materia, la carta, e si scovano proprio là, a Oriente, le prime tessere di carta-moneta risalenti al X° secolo.
In alternativa, l’ideazione della roulette viene attribuita proprio alla mente geniale di Blaise Pascal, filosofo del XVII° secolo, grande appassionato di geometria e di matematica.
Leggenda accattivante, senza dubbio, quella che narra di come il giovane pensatore, impegnato nello studio del moto perpetuo e ispirato da un modello di ruota della fortuna cinese che posizionò in orizzontale, ne uscì con Le proprietà cicliche delle combinazioni nel calcolo delle probabilità e finì per ritrovarsi tra le mani l’abbozzo di un gioco che sarebbe arrivato, roteando vivacemente, fino al Terzo Millennio.
Più che mero passatempo, nel XIX° secolo la roulette godette di un grande successo anche grazie all’apertura dei casinò più famosi d’Europa, come quello rilevato dai fratelli Blanc a Bad Homburg (1840); è questo lo stesso luogo nel quale lo scrittore Dostoevskij partorì, attraverso l’esperienza diretta della propria dipendenza dal gioco, il romanzo Il giocatore, dettato in soli ventotto giorni alla futura moglie.
Il casinò di Montecarlo vide la luce nel 1852 ma, se vogliamo risalire ai primi centri dedicati alle sfide di carte, ruote e metalli, dobbiamo andare più indietro nel tempo, ovvero fino al 1638, per scoprire quel Ridotto di Venezia che fu la prima di una numerosa serie di case da gioco.
Per quanto riguarda il concetto di azzardo, pensando ai nostri amati Trionfi riconosciamo in questi 22 elementi un’alternativa offerta ai nobili per contrastare la piaga sociale che portava alla rovina gli abitanti del Ducato di Milano.
Filippo Maria Visconti diede il La a un ben altro aspetto del momento ludico condiviso, fatto di motti e scambi verbali, versi e divertimento cortese.

Nel 1866 Dostoevskij scrive lettere alla stenografa Anja Grigor’evna Snitkina. Durante la pubblicazione a puntate di Delitto e castigo lei si rivela fondamentale per la carriera dello scrittore e per la sua esistenza provata dai lutti e dalle vicende che ne hanno segnato l’anima. Grazie al senso pratico e alla costanza di Anja, l’autore de Il giocatore riesce a portare a termine anche questa potente opera che in sé ha molto di autobiografico e nella quale risuona l’esperienza alla roulette di Homburg (ma è una dipendenza che l’autore coltiva sin dagli anni ‘40). Dai testi del carteggio tra i due, già fidanzati, estraggo alcune frasi:
“Angelo mio diletto. Perché non mi hai accompagnato? Ho perduto troppo. Non è coi nervi, angelo mio, che si deve giocare. Perché ho lasciato a casa la mia Anja? Dove vado da solo? Con te io riscatto i miei peccati. Va male. Il disagio della nostra separazione mi ha impedito di giocare come si deve a questo maledetto gioco… quando si gioca con calma e sangue freddo, non è possibile perdere. Te lo giuro. Angelo mio. Inviami il denaro all’indirizzo che troverai sulla busta e non temere. Giocherò un poco, giocherò solo per comprendere i meccanismi del gioco. Amami! Non appena vincerò, tornerò da te.”
Ma, poco dopo: “Ho vinto, Anja, e ho deciso di tentare ancora la sorte. Ma… ho perso, Anja. Inviami ancora denaro, l’indirizzo – ormai – lo conosci. Tornerò appena avrò vinto di nuovo, tuo Fedor. E ora, che penserai di me?”
Certamente andiamo oltre, dritti verso l’arcano Senza Nome (numero XIII), se ci soffermiamo sulla versione ‘russa’ della roulette. La micidiale sfida chiama in causa la Nera Signora, ed è così che parte un girotondo Totentanz con la pistola.
Michael Cimino l’ha citata nel film Il cacciatore (1978) ma questo insano gesto del portarsi l’arma, caricata con un solo proiettile, alla tempia è stato descritto per la prima volta nel 1840 nel racconto Il fatalista di Mikail Lermontov.
Fortuna o s-fortuna…
“Noi corriamo spensierati verso il precipizio dopo esserci messi dinanzi agli occhi qualcosa che ci impedisca di vederlo” scriveva Pascal, e se c’è qualcuna che al contrario sa muoversi benissimo anche con una benda che le copre gli occhi, questa è di certo la Dea Fortuna.
Nel Rinascimento, l’iconografia della nostra Fortuna offre una notevole quantità di immagini nate dai pennelli dei pittori. Giordano Berti ci indica alcuni modelli ricorrenti. C’è Fortuna dotata di sfera e di vela, come una barca che viene sospinta nell’aria. C’è poi Fortuna senza veli, una che predilige le acque e diventa piuttosto timoniera come la bella creatura che ritrovo nei moderni Tarocchi This might hurt di Isabella Rotman. Sotto i suoi piedi possiamo trovare un delfino oppure una conchiglia.
Ma Fortuna ci rimanda anche al tempo Kairos, la breccia che fa del momento occasione propizia, attimo fuggente eppure degno, degnissimo, perché si apre all’ignoto da cogliere al volo. Il Kairos greco è la divinità del passaggio che fa la differenza, e che abbia le ali ai piedi come Mercurio non è un caso – piuttosto è Oc-caso.
Fortuna, scrive Berti, a volte ha la cornucopia, e intreccia alla dea romana Opi il corno della capra Amaltea; non manca la benda sugli occhi della quale abbiamo già riportato la necessità.
A differenza della sorte (Sors), Fortuna è doppia, può dare o togliere, può baciarci oppure può rifiutarci le labbra, precipitandoci nello sconforto – tra gli altri supplizi.
La Ruota è tortura medioevale o movimento che ci fa rotolare fino al futuro? Fortuna ci sceglie o è un caso che ci sfugge? Ha a che fare con la sincronicità ma solo in parte, perché della ruota conosciamo il movimento e, con qualche limite, il capovolgimento è prevedibile. Comunque sia rappresentata, l’elemento ‘circolarità’ è invariante in tutte le immagini nei secoli dei secoli.
Nei Tarocchi dei Visconti c’è una donna bendata che se ne sta al centro del cerchio a ricordarci l’abilità della dea nel distribuire le parole della nostra futura narrazione – parole ‘sorte’ dai baci che desideriamo ardentemente, doni per l’umanità che non sa quando la ruota si fermerà… e quale sarà il responso dedicato a ogni individuo. Ai quattro punti cardinali dell’immagine sono posizionati animali e personaggi che illustrano l’ascesa e la discesa, fortuna e sfortuna dell’essere semplicemente, appunto, umani.
In diverse rappresentazioni, per esempio nei disegni dei Tarocchi marsigliesi, ci sono elementi associabili a strumenti di tortura degni della Santa Inquisizione che coesistono accanto all’idea della sorte tutta da… girare. Ma chi è che gira la nostra ruota?
La domanda è in se stessa una ruota.
Alejandro Jodorowsky fa parlare ogni arcano (vedi: “La Via dei Tarocchi”), e dal numero X emerge il caso ma salta fuori anche l’intenzionalità. Torna alla mente Nemesi (vedi arcano della Giustizia, arcano VIII), in una sorta di riequilibrio di forze: a volte la direzione è in salita, a volte in discesa.
Secondo lo junghiano Claudio Widmann la Ruota è anche concentrazione, un farsi al centro dell’Io con il Sé, e questo movimento avviene a livello simbolico quando è presente la struttura circolare che conduce alla circolazione degli elementi, come i pianeti che ruotano, ed è questo il movimento chiave dell’universo in cui viviamo. La Ruota però può essere anche ripetizione, coazione a ripetere, e allora sì che possiamo pensare alla tortura, al patimento continuo. Pensiamo alle dipendenze da sostanze e da ‘sostanze affettive’, a chi non riesce ad uscire dal cerchio chiuso che lo fa roteare sul posto.
La Ruota della Fortuna non può prescindere dall’alternanza di successi e insuccessi, di felicità e dolore; numero X nel sistema dei Tarocchi indica la fine del primo livello sulla scala evolutiva indicata dagli Arcani Maggiori. Dieci sono i gradi degli Arcani Minori. Molte scuole iniziatiche prevedono dieci livelli da attraversare, in evoluzione. Per la Qabbalah, la decima lettera è Yud che viene definita: “la più piccola lettera dell’alfabeto”, come un segno nero.
Tante Ruote!

L’immagine della Ruota dei Tarocchi mi rimanda senza indugio al cerchio delle stagioni e ai riti connessi al ritorno della Primavera viva che emerge con i suoi fiori colorati dal ghiaccio dell’Inverno. Addentrandomi negli scritti dell’antropologo Massimo Centini, ho ritrovato la Ruota, scoppiettante e infuocata, come messaggio corale nei momenti chiave del passaggio, tipico anche del Capodanno, nelle notti di falò sacro con il quale si pronosticava il destino dei giorni a venire.
Falò a volte cruenti, ruote infuocate sulla cima di un palo, imbottite di animali vivi, come quella che bruciava a Parigi sotto Luigi XIV°. Ruote di fuoco per la mietitura in agosto, quando il festeggiato era d’oro come il grano reciso e nelle strade correvano ruote-covoni. Per la festa di San Giovanni, in giugno, il rito della ruota diventa in epoca cristiana un falò di fantoccio accompagnato dal crepitio dei fuochi artificiali (o dei droni di ultima generazione).
Il gioco della ruota è il gioco con un cerchio, quello che i bambini fanno scivolare a terra o roteare intorno alla vita. Ci sono diversi modi per accompagnare un cerchio; lo si può condurre con le mani, e questo è un modo adatto ai più piccoli, oppure ci si può infilare dentro e lasciare che l’oggetto – di legno o di plastica – giri e ancora giri intorno al ventre; noi stessi siamo l’asse del mondo.
Il gioco del cerchio ha origini antiche, addirittura egizie, ed era famoso presso i greci. Nel 1560 il pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio lo rappresenta nel dipinto Giochi di Fanciulli. Diciamo che questo divertimento è un po’ datato ma se nomino il cerchio hula hoop, basta fare un giro su e-Bay ed è subito Ruota.
La prima Ruota panoramica era alta 80 metri, dotata di 36 cabine che potevano riuscire a trasportare tantissime persone. Venne realizzata a Chicago nel 1893 per la Columbian Exposition grazie al progetto dell’ingegnere George Ferris, dal quale viene il nome Ferris wheel, termine usato per indicare questa struttura nei paesi anglosassoni.
Qual è la tua Ruota preferita? E chi tiene in mano la manovella per farla girare?
Written by Valeria Bianchi Mian
Bibliografia
Giordano Berti, La ruota che gira, rivista Charta, anno 8, numero 41 (1999)
Massimo Centini, I Celti
Fëdor Michailovic Dostoevskij, Il giocatore
Alejandro Jodorowsky, La via dei Tarocchi
Riccardo Mondo e Rossella Jannello, Sogno Arcano. Per un ascolto immaginativo della vita onirica
Anja Grigor’evna Snitkina, Dostoevskij, Mio marito
Blaise Pascal, Pensieri
Claudio Widmann, Gli arcani della vita
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