“Buonvino e il caso del bambino scomparso” di Walter Veltroni: il romanzo della riconciliazione

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L’espressione cold case indica un delitto irrisolto, rimasto senza colpevole e conclusosi in una aporia. Un “caso congelato” si direbbe traducendo alla lettera.

Buonvino e il caso del bambino scomparso - Photo by Tiziana Topa
Buonvino e il caso del bambino scomparso – Photo by Tiziana Topa

E proprio un cold case che torna alla ribalta dopo un decennio segna il ritorno del commissario Giovanni Buonvino, creatura di Walter Veltroni che nel giallo Buonvino e il caso del bambino scomparso (Marsilio Editori, 2020, pp. 244) ci riporta nel commissariato di Villa Borghese con i suoi “sgangherati sette”.

Roma, estate 2020. Dopo la parentesi ovattata e silenziosa del recente lockdown la Città Eterna sta lentamente tornando a una parvenza di normalità. È trascorso un anno da quando il commissario Buonvino ha risolto il caso dei corpi smembrati che gli è valso fama e gloria. Un giorno, mentre si reca al lavoro, una giovane donna lo apostrofa. Si tratta di Daniela Nodari, la quale gli espone il proprio dramma.

Il 3 maggio 2009 il fratellino Aldo, otto anni, è scomparso. In seguito a questo tragico evento il padre Girolamo si è suicidato in circostanze misteriose ed è stata proprio lei a rinvenire il cadavere in una pozza di sangue. Daniela è rimasta da sola con la madre Luisa. La giovane chiede a Buonvino di riaprire il caso che all’epoca fu frettolosamente archiviato.

Il commissario scopre che le indagini furono insabbiate e si mette alacremente all’opera insieme alla sua squadra. Grazie allo sforzo congiunto di due coppie di agenti – quella femminile composta da Robotti e Viganò e quella maschile formata da Cecconi e Cavallito – il piccolo Aldo avrà giustizia e la Verità verrà a galla.

Le indagini sul caso Nodari si biforcano in due filoni, quello finanziario e quello familiare; due filoni che finiscono con l’intrecciarsi nella compenetrazione di due “s”, ovvero soldi e sentimenti. Non solo la fame di denaro di cui parla Virgilio può costringere ad azioni turpi, ma anche il bisogno, una bieca necessità pecuniaria possono portare ad atroci abiezioni, ancora più gravi se commesse da un capofamiglia.

Le colpe dei padri ricadono sui figli – si dice.

Girolamo Nodari, morso dalla crisi che ha colpito la sua impresa finanziaria, per risanarla compie una scelta tanto scellerata quanto inaspettata, una scelta che lascerà il lettore senza fiato.

Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è infelice a modo suodice Tolstòj. I Nodari appartengono alla buona borghesia romana; agiati, due figli, sembrano una famiglia unita e serena. Ma quel 3 maggio 2009 segna uno spartiacque nella loro vita, un terminus post quem: da allora nulla è più come prima ed emerge una conflittualità fino a quel momento latente. La scomparsa di Aldo rappresenta una genitorialità abortita e, per contro, un’altra fortemente voluta, ma anche un legame fraterno reciso come un fiore, amputato come un arto mancante. E la sparizione genera sangue e disperazione. Luisa, sull’orlo della follia, si rinchiude in un mondo tutto suo, popolato da ricordi e fantasmi concretizzati nella pittura di quadri dai colori e dai soggetti inquietanti.

Daniela cresce fustigata dal senso di colpa per non aver protetto il fratellino e scioccata dall’immagine del cadavere del padre, convinta di essere stata lei la causa del suicidio dell’uomo, privato dell’unico figlio maschio. Come se non bastasse anche il rapporto con la madre – una mater dolorosa – è compromesso.

Sono stanca, vorrei vivere la mia vita, ma è come se fossi rimasta ancorata, come se lembi di me fossero stati inchiodati al muro, quel giorno di maggio del 2009.”

Eppure post nubila Phoebus; dopo le tenebre irrompe la luce. L’opera di Veltroni può essere definita “il romanzo della riconciliazione”. La Giustizia fa il suo corso e viene alla luce la Verità. Così Daniela e Luisa si riconciliano fra loro e l’amore reciproco, soffocato, riesplode come un bucaneve che fiorisce dirompente sulla coltre. Le due donne fanno pace anche con il proprio passato e con la propria vita. La ritrovata armonia tra madre e figlia viene suggellata dalla condivisione di un ultimo, deflagrante segreto.

Con questo nuovo capitolo delle avventure di Buonvino ne conosciamo ancora meglio la personalità e la psicologia. Egli non è un animale da palcoscenico, la notorietà lo infastidisce e predilige l’anonimato. Buonvino tira un sospiro di sollievo quando la luce dell’occhio di bue puntata su di lui si spegne.

Al liceo aveva due compagni di classe letteralmente agli antipodi: Maioli e Pirovano. L’uno era sempre seduto al primo banco, l’altro, taciturno e dimesso, all’ultimo. Ebbene, in un immaginario segmento che ha alle estremità Maioli e Pirovano, Buonvino si sente più vicino al secondo, a tutti quei Pirovano che sono ultimi ma il cui silenzio grida forte, a quegli ultimi che passano per il mondo in punta di piedi eppure la loro leggerezza non è anonimato né grigiore ma personalità forte e gentile. Giovanni non è affetto dalla Schadenfreude, parola tedesca composta da “danno” e “piacere”, cioè non gode delle altrui sventure. Nel commissariato non si sente un superiore, un leader ma un primus inter pares, quasi un padre che prende gli “sgangherati sette” sotto la sua ala protettiva.

Buonvino era un teorico del gioco di squadra, non apparteneva a questo tempo di vanitosi malati di protagonismo. Gli piaceva includere, far partecipare, far sentire tutti protagonisti e nessuno, mai, una semplice comparsa. Contava sull’allegria del suo team, sull’affiatamento, sulla costante richiesta, da parte sua, di pareri e opinioni a ciascuno dei suoi collaboratori. […] Era un capoclasse generoso, non uno di quei secchioni che non passano mai i compiti.”

Pur rappresentando la Giustizia, non prova soddisfazione nell’arrestare i malviventi che considera prima di tutto uomini la cui vita verrà stravolta per sempre.

Walter Veltroni
Walter Veltroni

Il commissariato è la seconda casa di Buonvino, un microcosmo in cui si intrecciano le vicende personali dei protagonisti. A vivacizzare l’ambiente arriva una ventata di novità: l’organico si arricchisce di due nuovi elementi, gli agenti Stefano Cavallito e Veronica Viganò. Il primo è apparentemente freddo e distaccato, poco incline a integrarsi con i colleghi; la seconda è un’avvenente donna che risveglierà il cuore di Giovanni dal torpore in cui giace. Cavallito e Viganò hanno una storia drammatica alle spalle che li ha segnati profondamente. Il primo ha perso il fratello a causa di una overdose; la seconda è rimasta vedova da poco: il marito è deceduto in seguito a un incidente stradale.

Veltroni si conferma un giallista di pregio, un abile burattinaio che sa manovrare i fili dei personaggi, sempre robustamente caratterizzati cosicché il lettore ha l’impressione di ritrovare vecchie conoscenze. Il ritmo è serrato, l’azione si dipana fluida e dinamica senza sbavature. L’impianto narrativo, solido e convincente, ha una struttura a climax: la tensione si accumula per poi esplodere nel finale; un finale assolutamente inatteso. Quando la vicenda sembra ormai conclusa ecco il deus ex machina, l’inaspettato che irrompe proprio come un sasso che, lanciato in acqua, ne agita la superficie.

Buonvino e il caso del bambino scomparso è il giallo delle sorprese, che Veltroni ci regala a piene mani. La sua penna brillante e tagliente sa inchiodare il lettore anche grazie a una prosa scattante e vivace che unisce gravitas e ironia, mistero e sentimento. La novità rispetto al primo capitolo delle vicende di Buonvino è la presenza di una dose di “rosa”, la valorizzazione delle pulsioni amorose che covano in molti dei personaggi.

La psicologia di questi viene approfondita, si scava ancora di più nell’intimo e nella vita di ognuno. E anche questa capacità di creare “persone” più che “personaggi” è una delle ragioni che ci fanno apprezzare il giallista Veltroni e auspicare un nuovo ritorno dell’ormai amico Giovanni Buonvino.

 

Written by Tiziana Topa

 

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