“Cuori Rossoblù” di Luca Telese: Amsicora, gli anni Sessanta ed i sedici calciatori del glorioso Cagliari

 “… la cosa più importante della nostra storia è questa: non essendo sardi, abbiamo scelto di diventarlo” – Gigi Riva

Cuori Rossoblù di Luca Telese
Cuori Rossoblù di Luca Telese

È difficile da classificare il nuovo libro di Luca Telese Cuori rossoblù. La leggenda di Gigi Riva e lo scudetto impossibile del Cagliari edito da Solferino nell’aprile scorso.

Luca Telese è un giornalista a tutti noto e in questo periodo estivo conduce con David Parenzo sul canale televisivo La7 il programma In onda tutte le sere dal lunedì al sabato a partire dalle 20:30 circa.

Grazie a Oubliette ho potuto scoprire il suo amore per il Cagliari, ma anche apprezzarlo come scrittore.

In effetti la sua non è soltanto la cronaca della squadra che nel 1970 vinse lo scudetto, ma una storia che si declina in molti modi. Innanzitutto, infatti, Telese dedica diverse pagine a ribadire il valore di quello che egli stesso chiama “romanzo”, definizione che convive con quella più volte usata di “storia”: storia come “racconto”, come “collezione di aneddoti”, come “raccolta di memorie” e via dicendo.

A mio avviso, allora, resoconto e romanzo si tengono bene insieme perché Telese è certamente partito dai racconti o dei calciatori ancora in vita del Cagliari di quegli anni o dei loro parenti, ma ha poi rielaborato il materiale acquisito su due versanti.

Da un lato infatti ha costruito un plot di trentotto capitoli nel corso dei quali le voci narranti mutano, alternandosi tra un racconto in prima persona, ma senza virgolette, quando a raccontare sono i calciatori stessi e un racconto in prima persona, ma con virgolette, quando a raccontare è un familiare del calciatore, o anche un calciatore stesso, magari intervistato dal giornalista.

Dall’altro l’autore si è riappropria della voce narrante quando deve intervenire con considerazioni di carattere storico, economico, sociale e morale concernenti le vicende.

E in queste ultime occasioni ri-emerge anche il giornalista, non mero cronista, ma testimone appassionato, come solo i tifosi sanno esserlo, del glorioso Cagliari.

Eppure sempre di ampie vedute, come nell’incipit del terzo capitolo intitolato L’impossibile, quasi a riecheggiare e rafforzare la parola-chiave contenuta nel sottotitolo del volume: “Questa è una storia ambientata nel calcio, ma non è una storia di calcio. È una storia di uomini. È la storia di un’impresa, un piccolo grande apologo sull’ imponderabilità del destino”.

Ne risulta un lavoro degno di attenzione innanzitutto perché l’alternanza delle voci narranti per un attimo disorienta, all’inizio; diventa poi avvincente perché spinge il lettore a non adagiarsi in itinere. Anche l’intreccio nel complesso non è sempre lineare, ma composto di anticipazioni successivamente riprese e spiegate.

Il libro è dunque una ricostruzione storica, mitologica (in senso platonico), nonché archeologica (in senso tucidideo).

Ci fu infatti un tempo, in cui, il Cagliari non si chiamava ancora così: “l’antenato del Cagliari calcio è la Società Ginnastica Amsicora”, in onore di Amsicora, un antenato punico che nel 251 a.C. mosse guerra a Roma.

Nel 1920 la squadra diventò il “Cagliari” vero e proprio e di lì, nell’arco di mezzo secolo, avrebbe vinto lo scudetto (1970) attraverso una serie di riti di passaggio fondamentali, dalla scelta della “divisa… rossoblù” fino alla promozione in serie A (1964).

Manlio Scopigno
Manlio Scopigno

Non è limitativo affermare che l’organizzazione degli antefatti sia tutta in funzione della canonica data dell’assegnazione del trofeo, quasi una strada obbligata verso un successo finale concepito come imprescindibile dai momenti precedenti, a conferma della famosa massima di Gotthold Ephraim Lessing secondo cui “l’attesa del piacere è esso stesso piacere”.

Il clou di questa vicenda è costituito dagli anni Sessanta, quel momento straordinario in cui l’Italia, soprattutto al Nord, vedeva compiersi il cosiddetto “miracolo economico”.

A realizzare questa storia sono personaggi particolari: sono sedici ragazzi, quasi tutti del Nord del Paese che, prima di tutto erano lavoratori e solo parallelamente calciatori.

Emancipandosi dal loro destino, fatto di miseria, fatica e sacrifici, sono diventati giocatori professionisti perché hanno portato “il primo scudetto al Sud, ma uno solo di loro è un figlio del Sud. Quasi tutti diventeranno sardi, ma nessuno all’anagrafe è sardo”.

Ognuno di loro ha un soprannome, come riportato in apertura. Ognuno di loro ha contribuito a rendere possibile qualcosa di inaudito, in un tempo mitico in cui il calcio non era ancora fatto di sponsor, ma non per questo era immune da interessi esterni e discrezionalità arbitrali un po’ troppo spinte come si vede in diversi punti del racconto.

Certamente questi ragazzi vivono in simbiosi, in un rapporto di amicizia che li aiuta a fare squadra e a compattarsi come gruppo. Fra loro non si può non ricordare il grande Gigi Riva (Rombo di Tuono), un simbolo ancora oggi per il calcio italiano che ad un certo punto della sua carriera rifiuterà addirittura di andare alla Juve, coinvolgendo nel suo progetto anche il portiere Enrico Albertosi (Ricky).

Collante indiscusso di questo team è stato l’allenatore Manlio Scopigno, detto il Filosofo per la sua passione per la filosofia. Si tratta di un personaggio sui generis, fuori dalle righe, geniale nel male e nel bene, spesso messo in difficoltà dal suo vizio, l’alcolismo, ma aiutato dal suo cuore e dal suo carisma.

Infatti Scopigno venne cacciato nel 1967con vergogna” per aver commesso un atto osceno (fare la pipì) in luogo pubblico durante un evento internazionale a cui partecipava il Cagliari: “tuttavia, Manlio Scopigno riuscì a tornare al Cagliari, e per giunta in modo rocambolesco”. Questo proprio nel 1968, a ridosso del biennio che avrebbe portato la squadra sarda a diventare “da Cenerentola a regina”.

Ne deriva una storia emozionante, che merita di essere letta per vari motivi, ad esempio per comprendere il valore sociale che il calcio ha avuto per i ragazzi di Scopigno in quanto “per tutti loro il calcio è più che un mestiere, molto più che un gioco, in ogni caso una possibilità di riscatto” e per provare a ritrovare anche oggi questo valore che forse si è perso negli ultimi anni in cui giocare a pallone è diventato un business.

Le pagine di Telese, inoltre, offrono a più riprese una ricostruzione della Storia collettiva del nostro Paese durante quegli anni: “Questi ragazzi, in un anno che segna un passaggio di epoca, diventano campioni, ma nessuno in quel momento si accorge che sono la sintesi di una storia d’Italia, nell’anno in cui la nazione perde la sua innocenza ed entra nel tunnel degli anni di piombo”.

Non mancano ovviamente scorci di storia locale sarda, nella misura in cui si intrecciano con le vicende calcistiche.

Luca Telese
Luca Telese

Per questo il testo può, a mio avviso, essere considerato in definitiva anche un saggio perché la storia diventa anche exemplum... in alcuni punti diventa anche mitologia perché pervasa dall’aura di meraviglia di un cronista che è, prima di tutto, tifoso e quindi innamorato ciecamente della sua squadra.

Da qui risultano apprezzabili i vari momenti di lirismo presenti nel racconto che tuttavia non sconfinano mai in un eccessivo sentimentalismo, ma si coniugano sempre con la volontà dello scrittore di interpretare e chiosare le “lezioni” che si celano dentro ai miti: “I miti sono fatti così. Quando ti accosti per studiarli da vicino, non sono levigati e lucidi, ma ruvidi, e pieni di meravigliose e impure contraddizioni. È passato mezzo secolo. Alcuni testimoni diretti sono scomparsi. Forse un film non lo faranno mai. Ma la lezione dei cuori rossoblù è preziosa, e rimane prodigiosamente imprigionata in queste pagine, come un insetto in una goccia d’ambra”.

 

Written by Filomena Gagliardi

 

 

Bibliografia

Luca Telese, Cuori rossoblù. La leggenda di Gigi Riva e lo scudetto impossibile del Cagliari, Solferino, Milano 2020, 300 pp, 17 euro

 

Info

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