“Il cacciatore di corsari” di Vindice Lecis: come il vento sta alla vela
«Quindi la storia studiamola, amiamola, leggiamola, divertiamoci! Con lo sguardo di oggi, senza star lì a giudicare, se no dovremo gettar via tutte le statue, compresa quella di Giulio Cesare, comprese le Chiese, perché c’era l’inquisizione, e sarebbe un’operazione iconoclasta ridicola, ridicola!».
Queste le parole di Vindice Lecis in uno slancio di entusiasmo con ascendente in enfasi, come sempre per lui, quando si parla di romanzo storico.
Ci incontriamo in una famosa libreria di Sassari, le Messaggerie Sarde, per intervistarci a vicenda sui nostri rispettivi libri appena pubblicati.
Il romanzo storico sta a Vindice Lecis come il vento sta alla vela: si riempie di energia vitale e parte per terre lontane.
Similitudine quanto mai opportuna perché il suo nuovo libro, Il cacciatore di corsari (Nutrimenti, maggio 2020) viaggia per mare, proprio sui velieri, nella maggior parte delle sue trecento cinquanta pagine.
Ambientato nel Mediterraneo, nel senso pieno del termine perché l’azione si svolge per tutto il Mediterraneo, siamo all’inizio del Millequattrocento. E proprio al centro del Mediterraneo si trova la Sardegna, che è sempre o quasi, il fulcro delle storie, e del cuore, dell’autore.
Impossibile perdersi perché Lecis come sempre è accuratissimo nei riferimenti geografici, restituendoceli con quel sapore color seppia. Puntellando fedelmente quello racconta sulla toponomastica dell’epoca. Impossibile perdersi perché perché una bella e opportuna cartina al centro del libro traccia tutte le rotte del romanzo lasciando che ci si perda solo col pensiero, immaginando onde, tempeste e abbordaggi.
Quindi fin dalla prima riga ci imbarchiamo nelle due galee del protagonista che si lancia in una caccia spietata e spericolata contro i corsari. Ecco questo essere sulla scena è un valore aggiunto del libro, facendoci sentire sulla pelle l’aria salmastra e le emozioni che si raccontano. È la storia viva, romanzata ma con solide radici nel reale.
I predoni del mare in quel periodo erano un annoso problema che rendeva insicuro qualunque traffico commerciale e la stessa sicurezza di città portuali e villaggi costieri. Così il re di Castiglia Enrico III investe un valoroso cavaliere del ruolo di Cacciatore di corsari. Spietato quanto basta, ma anche romantico e affascinante sopra le righe.
La guerra ai corsari che si combatte è una guerra vera, col suo viatico di ferite e atrocità.
Vindice Lecis è bravissimo nell’affascinare il lettore dentro queste avventure del passato. Forse questa è la parola giusta: avventura. Perché ci racconta la storia come un’avventura che può incantare. Non commenta, non condanna e non esalta. La fa correre davanti ai nostri occhi.
La storia, in queste pagine, non è una citazione didascalica, o un saggio documentaristico, è materia viva. È avventura, appunto, vissuta dal lettore in presa diretta stando al centro dell’azione, in battaglia, negli intrighi dei nobili e potenti casati reggenti, o negli sconfinati spazi aperti tra le onde placide del mediterraneo, o durante mareggiate spaventose che potrebbero mettere fine a tante vite con un solo naufragio; anche per significare che la vita nei secoli di storia non poteva mai essere garantita.
E questo è già un problema reale che l’autore solleva incidentalmente senza schierarsi: quanto valeva la vita umana nei secoli bui o luminosi del passato? Quanto valeva la vita di un marinaio, di un timoniere, o di un rematore imbarcato su una galea? Meno dei pasti che avrebbe consumato se fatto prigioniero… Davvero poco, e quel poco si poteva buttare a mare come un torsolo di mela!
Che vita era? Ma noi veniamo veramente da lì? Nelle righe questa domanda scorre strisciando.
Che vita era se tra le pagine si incontra Elena, una giovane donna tenuta prigioniera su una nave, che viene catturata e interrogata con la minaccia di farle fare “il giro della chiglia”? Dove erano sentimenti e umanità?
C’erano, c’era la passione, ma era spesso intorpidita da intrighi, c’era l’amore, ma era colluso con l’interesse dei potenti, disperatamente corrotto. Forse per scelta opportuna, o forse solo per non fare “il giro della chiglia”. Che era una punizione plausibile, ma anche una tortura mortale: il malcapitato veniva legato con delle corde e trascinato, da sopra il ponte della nave, sotto tutta la chiglia. Si poteva morire per le ferite strisciando contro tutte le asperità del fondo della nave, o per annegamento, se si finiva l’aria prima della chiglia.
Che vita era se si poteva anche solo concepire una punizione così malvagia? Quali erano i valori?
Vindice Lecis lo dice chiaramente nelle presentazioni ai lettori del suo Il cacciatore di corsari. Le sta portando in giro per tutta la Sardegna, andateci, perché sono davvero interessanti. E racconta che spesso i potenti erano veramente cattivi, e che la vita poteva non valere molto. Ci ricorda, nelle sue pagine prima, e rispondendo alle domande del pubblico poi, che tutte le dominazioni si portavano dietro un loro preciso carico di atrocità. Tutte. E quelle che venivano dopo sconfessavano le malefatte dei predecessori, e ne perpetravano di nuove.
Cerchiamo di capire che veniamo da lì, ma non pensiamo di giudicare la storia con il metro di oggi, sarebbe un falso.
Ecco Il cacciatore di corsari ti fa innamorare della nostra storia, perché te la racconta tutta. Perché te la racconta vera, anche quando è romanzata, e senza reticenze ci fa vivere le conquiste, gli eroismi, ma anche le atrocità crudeli della guerra che sfida la vita. Che la sfida a viso aperto e che la può lasciar cadere in mare per inabissarsi fin dove non si torna indietro.
È la guerra, dice l’autore, è la guerra di corsa, e come qualunque guerra è terribile. Ma c’è stata, c’erano i nostri avi, e dobbiamo saperla guardare con quel distacco innamorato che ci propone lui.
L’autore sapientemente ce la propone esattamente come dovrebbe essere: la storia infatti non deve essere edulcorata e non deve essere demonizzata. È storia, oggettivamente.
Quello di Lecis è romanzo storico con questo valore aggiunto. Con la bella cifra di narrazione che si appoggia su tanta ricerca storica e altrettanta fantasia dell’autore che ne rafforza la credibilità.
Sembra un ossimoro: la fantasia della realtà, che ci rimanda alla premessa di queste note di commento. E allora veramente, prendete la storia, leggetela, amatela, divertivi, ma non smontane le sue profonde motivazioni con gli occhi di oggi. Non avrebbe senso, sarebbe ridicolo, sarebbe una ridicola guerra iconoclasta che non porterebbe da nessuna parte.
Mentre la storia, conclude la sua chiacchierata Vindice Lecis: «Studiamola e capiamone bene i fenomeni, le dominazioni, così smettiamo anche di esserne subalterni».
Written by Pier Bruno Cosso