“Canti del caos” di Antonio Moresco: l’abbrivio per una fuga atemporale priva di pietas

Il caos non è un mezzo, anche se lo si adopera per giungere a un fine. Non è nemmeno un fine, ma una delle forme possibili della fine. Ad ogni fine, parrebbe, si giunge a un nuovo inizio. Parrebbe.

Canti del caos di Antonio Moresco
Canti del caos di Antonio Moresco

Fiat Lux! – disse quel Tale. La luce è composta da fotoni, che è la particella quantica del campo elettro-magnetico.

Rimasi come abbagliato quando scoprii il fatto luminoso che, se non ci fosse l’interazione elettromagnetica, il mondo non sarebbe vario. È grazie al fotone che l’elettrone zompetta da un’orbita atomica all’altra e tutto questo produce la differenziazione, l’alternarsi dei colori, il rumore, il caos, alla fine. Diversamente il cosmo sarebbe ordinatissimo e nero come l’inferno.

La parola Caos (chao) ha lo stesso etimo di cheia (buca) e di chaunos (vuoto). Si tratta di un’ampia voragine in cui (dicono) stavano tutti gli elementi, ammassati, ma intimamente uniti. Ma è dal caos che nasce l’idea e gli elementi della separazione, della fuga (dicono).

La parte prima de “Canti del caos” di Antonio Moresco rappresenta l’abbrivio per una fuga, per dove non si sa, il perché nemmeno, però si è deciso che si va. Forse Qualcuno ha deciso che si va. Chi? Un immenso e degenerato esercito è ora pronto per la conquista. Ma di quale impero? E chi è il Conducator?

Conseguenza della trasformazione del caos in caso, cioè dell’ordinato nulla nel variegato accadimento, è l’entropia, il disordine, quello che, impropriamente, definiamo caos. Il nuovo caos diventa ogni cosa, chiesa, cattedrale, ufficio, negozio di pizzicagnolo, postribolo, set di film pornografico, municipio.

Senza gli effetti dell’elettromagnetismo non ci sarebbe coesione fra gli enti. Fra i corpi! Se dessi un pugno ad un essere umano, la mia mano, composta soprattutto da vuoto (da caos), passerebbe oltre quell’altra vacuità che “rappresenta” il viso del mio prossimo. Se il nucleo dell’atomo fosse un pallone messo al centro del campo di calcio, gli elettroni più vicini orbiterebbero in tribuna e quelli più lontani nel lontano stadio della squadra ospite. Tutto il resto è Nulla.

E quando il figlio di quel Tale dicevaPorgi l’altra guancia” forse aveva ben presente il verso dell’Ecclesiaste: “Tutto è vanità”. Lo stesso capiterebbe quando si penetrasse una donna. Oh! Grazie, beneamata Luce! Ma questo è forse un sogno. La realtà pare che accada veramente, perché un pugno fa molto male e la penetrazione viola la verginità della donna. A volte (dicono) le compie violenza. La perfora come si fa con una pasta da bucare, una paccara. O addirittura la mutila, l’amputa dei quattro arti, ma solo per cogenti necessità operative. Ogni crimine cessa di essere tale ed è tollerato perché inevitabile e funzionale.

Aspetta, Antonio, ora mi rituffo nella “tolleranza” e poi proseguo la lettura!

Dio! Che caos! Che cosa! Che caso! Che casino!

Incontro, appunto per caso, una delle infinite particelle che si sono differenziate, uscendo dall’imperfetto amalgama, che si fa chiamare Principessa e che mi fa dire:

Ah, perché non sei nera anche dentro?… Ma proprio nera completamente… che non si veda niente, che non si capisca neanche se si sta guardando oppure no, se si è ancora da qualche parte, se si esista ancora in un corpo che abbia confini, come essere in una zona assolutamente buia del cosmo, e tutto attorno è solo vuoto e nero e silenzio, che respira. Principessa, io ci speravo…”

Mamma! Vorrei tornare indietro ed essere finalmente immoto! L’entropia, però, è peggio di una zia. Non perdona, né concede l’amnistia. Il secondo principio della termodinamica è stato partorito dal Caos. E ora, come quell’altro Tale, figlio e nipote anche lui di ulteriori Tali, stroncata la ribollente origine, allontana chi voleva inghiottirlo. Ma questi, prima di eclissarsi, indica al figlio, per vendetta, la prossima e gelida fine. Il Tempo da allora esisterà soltanto per essere martoriato e trascorso. Anche gli dei immortali non potranno più competere con il Fato. E l’Entropia, la progenie del Caos, crescerà col Tempo e ci condurrà nello sterminato freddo.

Che facciamo, proviamo a ribellarci noi omarini?

Caro Antonio, sono a pagina 308. E lo sai cosa ammiro ed odio di più nel tuo scritto? La tua descrizione dell’uomo, questo misconosciuto fin troppo conosciuto, che sembra quello che è, un essere dozzinale, privo di fine, ormai ridotto a mezzo di produzione, risorsa, attrezzo. Un quid, una poltiglia sovrastrutturale. Ma qual è la Struttura?

Ho scorto tante vittime e vari carnefici, ma ognuno di loro porta il marchio dello schiavo inciso nella fronte e tatuato nel braccio. Se l’uomo è soltanto un mezzo, dov’è “finito” il fine? Alla fine della catena, esisterà finalmente un Qualcuno che sia soltanto un Fine? Avrà una fine quest’Essere col Fine? O verrà anch’Egli riciclato, come lo fu mio zio Luigi? Il quale era un uomo libero, sereno, autonomo, col suo piccolo pezzo di terreno in campagna. Siin Luigi da anni è ridotto a mezzo biologico di riproduzione della vita stessa, laggiù, nel cimitero di Gavassa. Ma, come diceva mia mamma, “Agh’è Gavasa e po’ Parigi!Ognuno si crea la sua mitologia. Ma ne esiste una che non sia fandonia o mera battuta di spirito?

Il fine a cui tendono tutti gli spermatozoi autofilettanti, che circolano nel cosmo come batteri, pare essere quello a cui ogni scrittore ambisce. È forse davvero quella una forma d’eternità (la gloria che sognava Leopardi) magari fuggevole, oppure tale espressione è soltanto un ossimoro? A me pare una condanna terribile, la cui eventuale grazia è più terribile della pena e comporta l’annullamento morale di una persona. Per cui smetto immediatamente di scrivere (per il momento).

Ma com’è angosciante e ridicolo è il mondo che descrivi! Antonio!

Purtroppo assomiglia così tanto al mio!

Seconda parte

Antonio Moresco - Trilogia Giochi dell'eternità
Antonio Moresco – Trilogia Giochi dell’eternità

A pagina 549 un titolo terribile: “… scopano in piedi e intanto parlano”. L’amore cessa di essere una funzione afarensis. Poche pagine dopo, un’altra novità immensa, spunta la pietà, priva di pietas, perché non mi pare di scorgere dei e nemmeno di sentirne l’olezzo. Qualsiasi afrore, anche quello di merda, è squisitamente umano. La pietà interumana diventa presto compassione, sentimento e addirittura solidarietà. La donna senza arti, nel senso di braccia e gambe, è liberata e rimessa in uno zaino, ma le mani che armeggiano sul suo povero tronco sono amiche. Mentre leggo mi chiedo se durerà.

Poche pagine dopo m’accorgo dell’esistenza, in alcune persone, di una forma ancora abbozzata di consapevolezza. Al momento è solo la consapevolezza di non avere una vera consapevolezza. Dove andiamo?, si chiedono. Fra poco arriverà anche il Chi siamo? Chissà, forse, prima o poi, farà la sua magica apparizione anche il Donde veniamo? Ci vuole però tanta pazienza. L’anima non si manifesta in un giorno. Ci vuole perlomeno la metà di un’esistenza.

O forse no!

Si tratta, almeno ora, ancora solo di particelle doppie, di oasi, di isole. E non è nemmeno un arcipelago. Isole felici, ma lontane. E forse anche inospitali. Dove non è facile approdare. Però ci sono. Al momento limitiamoci a memorizzare il fatto che ci sono.

E per quanto riguarda la consapevolezza, anch’essa è rara. A volte è sincopata. C’è e non c’è. soprattutto non c’è, ma qualcosa, in fondo, c’è. Dico in fondo, eh!

A pagina 718 una particella qualunque (sono quasi tutte qualunque, quasi però) afferma: “Io lo so come nasce un’onda, io lo so come nascono i mondi.

Io so cosa si dice a proposito della nascita di un’onda. Essa ondeggia non appena ha un’ipotesi di ondeggiamento. Insegue quell’ipotesi, ma anche tutte le altre che man mano si formano. Se tu apri una fessura in una barra d’acciaio, la particella che spari la percorrerà. Se ne apri due, la particella, in un qualche modo, le percorrerà entrambe, travestita da onda. È come un aereo, che dopo una corsa terrestre, per volare, fa rientrare il carrello.

Così hanno detto, almeno fino all’altro ieri. Ora altri sostengono il contrario.

Essa ne percorrerà solo una, ma tu non saprai mai quale, perché, quando la osservi, la forzerai ad attraversarne una. E di questo necessita la particella, per diventare un’onda che cammina, ha bisogno assolutamente, di una tua forzatura, di una tua violenza. Poi, tornata particella, essa ti va ad affrescare uno schermo, creando, insieme alle altre, una rappresentazione.

Io so cosa si dice su come nascano i mondi. L’universo semina, nel corso della sua esistenza, come una chioccia qualsiasi (quasi tutte le chiocce sono qualsiasi, quasi, però), una serie di uova nere e sbandieranti, in cui viene racchiusa tanta energia, tanta materia nuda e compressa, fino a che, in quell’immenso buio, divoratore di tutti i bui, qualcosa viene attirato da una luce che si è miracolosamente liberata dal caos. L’uovo nero diventa allora bianco. E nasce un nuovo volatile. Auguri (intanto, però, la vecchia pennuta non esiste più)! Ma alcuni negano che andrà a finire/ricominciare così. Non ci sarà nessun ritorno nel Chissà Dove, forse alle origini, forse non lo sa nessuno.

Macché, tutto si disperderà lontano da tutto, lontano dal resto di qualcosa, specialmente dal resto del prossimo. Vigerà, eterna, una freddissima libertà di non esistere più. La peggiore delle condanne. Forse la più probabile. A questo punto, è meglio puntare senza rimpianti verso l’Africa. Lì, ad un certo punto, il deserto ha il buon gusto di finire.

Alla fine del viaggio, di tutti i viaggi di tutti i corpi, però si incontra Qualcuno.

A me viene da ridere a pensare ad un Dio che, accompagnato magari da qualche teologo dissidente, tipo Biglino, plana sul nostro pianeta, a bordo di un disco volante immenso. Da un’apertura dell’astronave ecco apparire un Essere alto tre metri e mezzo. A me viene da ridere, ma nel dubbio m’inginocchio. E magari penso che veramente non me lo aspettavo così pomposo e buffo! Al che una Voce profonda squarcia l’aria, gridando Chi mi ha dato del buffo?! Bene, è anche telepate, mi dico, ma non è ancora riuscito ad individuarmi! Abbasso ancora di più la testa, sempre più prono e servile. Ma dentro di me, come me la godo!

Alla fine del viaggio, di tutti i viaggi, ecco apparire, per l’ennesima volta, Dio, un tipo qualsiasi con la voce afona, sicuramente onnipotente, ma che non mi pare sia troppo autorevole. Non so che ne sarà ora del mondo, ora che Egli è venuto fra noi, ma non credo che questo Dio lascerà dentro di me il Suo Segno. Spero, non credo, di cavarmela ancora senza di Lui.

Fino all’ultimo resterò un ignorante di Dio. Mi sa.

Amen!

Terza parte

Ci sono ombre, in questo non luogo, e questo significa che c’è almeno un pizzico di sole o di luna. Un po’ di luce. L’ombra è soltanto una luce penetrata dal buio. Cos’è il tempo? Un tipo, chiamiamolo Julian, dice che è ciò che non esiste. Essendo illusorio, non esistendo, serve a far apparire quel che esiste.

Antonio Moresco
Antonio Moresco

E lo spazio? Un tipo, chiamiamolo Carletto, dice che è un grumo, un luogo dove si fissa quel che non esiste. La relatività dice che tutto è accertabile, ma dipende dal punto di vista. La quantistica dice che ogni cosa è indeterminabile, ma la si può osservare e provare a prevederla. Le due teorie sono come il Gatto e il Matto, non vanno d’accordo, sono incompatibili, ma convivono poiché non c’è altro modo di continuare a descrivere il cosmo.

L’importante è continuare a dire qualcosa.

Ma, a parte queste amenità, a pagina 953 il Gatto mi canta quello che mi pare, all’improvviso, il motivo principale della tua opera, almeno fino a questo punto. Mi fa pensare ad un altro capolavoro che mi colpì tantissimo, “Sette personaggi in cerca d’autore”. Ma qualcosa non quadra.

Qui i settemila personaggi se ne fottono dell’autore, ognuno di loro cerca il suo poco meno che infame destino. Qui vi sono almeno due, o forse tre, quattro, cinque… tentativi di autore. Personaggi che si arrogano il diritto di essere autori.

Autori maltrattati e ridotti al rango di personaggi, magari minori. Personaggi minori che col cazzo che siamo personaggi minori! Lettori che credono ad un certo punto, all’improvviso!, di essere quanto meno pari all’autore. Ognuno di loro riempie il mondo dei suoi personaggi, dei suoi autori e, infine, dei suoi lettori. Li impone al mondo, così fanno pensare. E intanto depredano i personaggi, gli autori e i lettori altrui.

Ogni tanto m’immagino come sarebbe assurdo, ma affascinante, mischiare i periodi della vita, tanto da farne uno solo, quello attuale, dove fossero presenti tutte le persone che si sono conosciute. Immoto, ma con l’illusione del movimento. C’era il periodo in cui c’è Tonino, ma non Lino, oppure Lino, ma non Paolo, Paolo, ma non Silverio, che sono stati miei quotidiani amici e colleghi. Questo per quanto riguarda l’ufficio.

Ma c’erano anche i periodi in cui frequento nella vita privata Onorio, ma non Gino, Gino, ma non Quintino, Quintino ma non Claudio. Trascorrendo del tempo due posti diversi del salernitano, avevo contemporaneamente amici di Pixuntum che non conoscono né quelli di Reggio, né quelli di Amalfi, e viceversa. Gino non conosceva Carmine, il quale non conosce il maresciallo Amodio, che non conoscerà Gino. Però, nel viso e nella barba, il figlio del maresciallo assomigliava molto a Gino.

Allora, caro il mio umilissimo lettore Antonio, pensa quante teste potresti collezionare, se ti capitasse d’incontrare, ora, in un colpo solo, tutti gli amici che avrò. Purtroppo, alcuni sono dispersi, altri addirittura scomparsi, altri sono tanto vicini quanto lontani, altri tanto lontani quanto vicini, che ci sentiremo con piacere ogni tanto. Sarebbe emozionante uscire di casa, lasciando stare questa tiritera, e andare in bici verso il centro. E incontrare, dov’è ora via Veneri, la salita centrale di Amalfi, che recherà a Valle dei Mulini, e, subito dopo, Santa Maria della Stella, al centro di Pixuntum, dove abita Sofia.

Tutta questa roba accade giornalmente in quel luogo eccentrico ed improbabile che sarà la mia mente increata, dove l’immaginazione e la fantasia potevano costruire tutti i mondi possibili ed impossibili. Se fossi un dio creerei questo Unum Locum nella realtà, ovviamente non prima di aver costruire ex novo la realtà. Dai, un passo alla volta e prima o poi ci sono riuscito!

Scusa se mi sono impossessato di quel palcoscenico atemporale che è il tuo libro, ritorno immediatamente pubblico in platea. Si fa per dire. Vado in bagno, ma rende di più dire che vado al cesso, e scopro che esce del gas tossico. Spengo tutto, o meglio stacco tutte le prese, chiudo tutte le chiavi, meno che una, poi chiamo il tipo della casa accanto, ex idraulico tuttora imperante, che sale dopo una mezz’ora e chiude l’ultima chiavetta nascosta, ma poi lo sgocciolio non cessa, ora sono già sette secchi colmi d’acqua che getto nel cesso e non so come finirà.

Ugo lo predisse, fin dal lontano 1957, io avevo meno un anno, tu una decina. Spari una particella. L’onda ha una miriade di possibilità di percorso. Ne sceglie una. E le altre? Creano miriadi di mondi. C’è il mondo in cui il sottoscritto va a lavorare e la casa esplode. Quello in cui lo stesso meta-personaggio si accorge della carta igienica fradicia, essendo posta sopra la lavatrice, quella in cui se ne frega, come se niente fosse, ma non succede nulla, quello in cui fa in tempo a notare uno strano bruciacchiare di qualcosa che non si capisce se sia fuori o dentro casa, sembra dentro. Allora chiude tutte e chiama l’idraulico di nome Umberto. Umberto chiude l’ultima chiavetta rimasta aperta. Tutto si risolve, anzi, no, bisogna chiamare l’azienda di Correggio addetta alla manutenzione, e la soluzione è rimandata, ma non c’è urgenza, ci si può lavare con l’acqua fredda, eppure quel brutto coso continua a sgocciolare, sei secchi, ora sto gettando il settimo, ho richiamato il tecnico, verrà forse stasera. Verrà o non verrà, altra diramazione. Viene, venne, verrà.

Torniamo al libro. A pagina 957 un ulteriore dubbio, come cavolo ha fatto il mio spermatozoo a forare per primo l’ovulo? E se avesse inciampato (capita a volte, ad inseguire col batacchio dritto una figa)?

E quel Dio? Simpatico, ciarliero (sempre meglio che atarassico), sembra un po’ confuso nei tempi e negli spazi, ma forse è un Uccello Pilota che non ignora dove è andrà. Azzarderei: un dio democratico, con l’iniziale minuscola, anzi, monarchico del tipo aristotelico, anche se un po’ platonico.

Mi inquieta molto quest’infame investitore di personaggi, almeno fino a quando, a pagina 948, finalmente mi centra in pieno. Non mi ha fatto quasi nulla. Mi ha distrutto, spiaccicato, travolto, ma in effetti sto quasi meglio di prima, anche se mi sento un po’ stanchino. Leggere i libri del Matto e di tutti gli altri debilita assai, toglie tanta energia, dilapida risorse, impone un’eccessiva attenzione ma, soprattutto, brucia i grassi. Probabilmente anche scriverli, dato l’evidente segalignità di Antonio. Inoltre, dopo, occorre scriverne e mandare un messaggio a chi me l’ha fatto conoscere, ‘sto strambo Antonio, e poi, appena ho tempo, la consueta lettera all’Autore.

Caro Antonio, fra 10 giorni scendo ad Amalfi dalla consanguinea e dalla congiunta e, quando mi papperò un’enorme coda d’aragosta alla crema chantilly (pensa che colà si chiama anche Sputnik, costì, in via Manfredi, ma sono napoletani, Apollo), che mi manderà in orbita e poi, subito dopo, una deliziosa al gusto di pera e cioccolato, che mi ritemprerà l’anima, in entrambi i casi, mentre così ben mi rifocillo, il mio pensiero correrà a te. Corre, correva, è correrà.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Antonio Moresco, Canti del caos, Mondadori

 

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3 pensieri su ““Canti del caos” di Antonio Moresco: l’abbrivio per una fuga atemporale priva di pietas

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