“Le 10 parole latine che raccontano il nostro mondo” di Nicola Gardini: l’etimo, il logos e l’uso
“Noi, anche nel più perfetto isolamento, non siamo mai soli, perché abbiamo le parole” – Nicola Gardini

Ho conosciuto Nicola Gardini leggendo i suoi articoli culturali e apprendendo le notizie concernenti le sue pubblicazioni sul latino.
Leggendo le sue cose ho potuto apprezzare la sua impostazione interdisciplinare del sapere, il suo amore per il latino, la bellezza della sua scrittura.
Uno dei suoi articoli parlava della necessità di considerare il latino nella sua bellezza e non nella sua utilità. Non a caso un suo libro molto fortunato del 2016 si intitola Viva il latino. Storie e bellezze di una lingua inutile ed è uscito per Garzanti. Ha avuto varie ristampe, è stato tradotto all’estero, è stato distribuito con la Repubblica in edicola, è perfino diventato un audiolibro. Di questo lavoro vi parlerò un’altra volta.
Oggi voglio parlarvi del suo saggio Le 10 parole latine che raccontano il nostro mondo edito sempre per Garzanti nel 2018 e che, come il precedente, ha avuto molto seguito, segno dell’interesse molto diffuso e in un certo senso rinnovato negli ultimi tempi per la cultura classica.
Ho avuto la fortuna di conoscere di persona Nicola Gardini a Rimini il 1° dicembre 2018. Era un sabato pomeriggio e lui teneva una conferenza nell’ambito delle iniziative culturali dell’attivissima Biblioteca Gambalunga.
Mi ricordo che, appena uscita da scuola, presi il treno per essere presente all’evento, cui avrebbe seguito un bellissimo weekend dedicato alle testimonianze storiche di età romana di Ariminum, una località che amo per la sua capacità di fondere cultura e movida.
Non a caso, in questi giorni in cui si pensa alla riapertura dopo il lockdown, Rimini è stata tra le prime città a far sentire le sue proposte per garantire un turismo sicuro e di qualità. Al contempo spero che la Biblioteca civica possa riprendere i suoi numerosi progetti.
In quell’occasione Gardini parlò, coerentemente con il tema dell’iniziativa della Biblioteca, dal titolo Biblioterapia. Come curarsi (o ammalarsi) coi libri, dei suoi libri preferiti. A fine intervento andai a salutarlo e a stringergli la mano.
Nicola Gardini, cittadino del mondo che si è formato e ha lavorato tra l’Italia e gli Stati Uniti, è attualmente docente di Letteratura italiana e comparata all’Università di Oxford e ha molteplici interessi: è un uomo versatile in quanto accademico, divulgatore, poeta, nonché pittore e, ovviamente, lettore. Cura un sito personale molto dettagliato e ben strutturato.
Tornando al libro di cui voglio parlarvi, già il titolo è emblematico perché è cifra portante delle convinzioni di Gardini per il quale la lingua latina è presente e viva nel nostro mondo. Le parole sono Ars, Signum, Modus, Stilus, Volvo, Memoria, Virtus, Claritas, Spiritus, Rete, distribuite in altrettanti capitoli preceduti e seguiti rispettivamente da un’introduzione e una conclusione.
La presenza del latino nella nostra vita è ben segnalata e tematizzata dall’autore nell’Introduzione non a caso intitolata “Un continuum”. Pur non negando la potenza e l’essenzialità della metafora del latino come lingua delle radici, egli propone un paradigma interpretativo per cui il latino non è solo radice, ovvero una “cosa” che rischia di essere “nascosta, sotterranea, da doversi disseppellire e ripulire da polvere e incrostazioni”; infatti il latino, sempre nel tracciato della metafora vivaistica, “è anche fusto, rami, rametti, gemme e foglioline” in quanto, “è impulso vitale” che “non si è mai fermato, anzi, continua”.
E ancora: “Il latino è foresta. Il latino coincide, sì, con l’origine, ma rappresenta anche diramazione e propagazione, poiché molto di quello che ha originato è cresciuto, si è espanso ed è arrivato fino a noi. Né si fermerà qui. Non si deve necessariamente scavare, strappare al buio; basta alzare gli occhi, guardarsi intorno, mettere a fuoco la vista e il latino apparirà. Noi non facciamo che toccare e maneggiare il latino, anche se non ce ne accorgiamo; anche se pensiamo che quel che tocchiamo e maneggiamo appartenga pienamente al mondo che occupiamo… L’attualità non è tutto il presente; e il presente ha inizio prima del nostro tempo e della nostra nascita… Il latino è la lingua delle lingue che saranno. È lingua futura perché fa nascere senza sosta denominazioni e parola attraverso cui dare ordine all’esperienza o addirittura farla nascere… Noi siamo il futuro del latino. Latino e attualità non sono termini antitetici.”
Nel prosieguo dell’introduzione, poi, l’autore motiva il perché abbia scelto le parole sopra esposte e non altre e spiega che, nella ricostruzione dei vari significati, non ha seguito solo il criterio dell’etimologia, ma anche quello dell’uso. Scrive a tal proposito: “L’etimologia puramente formale di un vocabolo non basta a rivelarne il senso… Ma occorre passare per la letteratura, attraverso i testi… per capire come il senso della parola si sia andato definendo e modificando”.
Per quanto riguarda poi l’uso egli spiega di aver considerato sia la lingua letteraria che la lingua di impiego pratico.
Molto interessanti, inoltre, le ragioni che hanno spinto Gardini a scrivere questo saggio; fra queste vorrei condividere quella per cui, paradossalmente, è proprio lo studio del passato che consente di comprendere la sua continuità nel presente, intesa come rinnovamento e quindi anche come distanza.

In effetti è proprio il mutamento semantico delle parole rispetto alla propria accezione originaria a testimoniarne l’attualità perché, se ne parliamo ancora oggi, per quanto diverse, queste parole evidentemente esistono tuttora: “credo nel passato; credo nella memoria e nella tradizione, e credo che l’avvenire possa esistere solo se abbiamo coscienza di quel che è stato e che, mutando, permane. Lo studio di una lingua antica come il latino è studio appunto di un permanere, che è rinnovamento continuo… Attraverso il latino misuriamo la distanza che la civiltà ha percorso… E ci prepariamo a crescere. Niente inizia mai ora. E niente finisce mai in alcun momento”.
Ho apprezzato la struttura ricorrente all’interno della trattazione specifica di ogni vocabolo. Infatti ogni capitolo presenta una citazione iniziale, una prima parte in cui l’autore spiega cosa significhi per lui quel termine, poi la ricostruzione etimologica e linguistica del termine stesso corroborata da passi tratti dai testi.
Questa coerenza non è mai ripetitiva perché ogni capitolo è autonomo (ma non per questo scollegato dagli altri), originale, di varia lunghezza e tematizzazione. Si passa, ad esempio, dalle molte pagine dedicate a memoria, alla maggiore sintesi caratterizzante il verbo volvo, senza che ciò mini il valor qualitativo dell’esposizione. Il lemma che sembrerebbe meno latina e più moderna è rete, l’ultima affrontata. Leggendo il capitolo si capirà invece quanto antichità e modernità convivano in questo termine, così come nei precedenti.
Infatti lo stesso Gardini aveva scritto sempre nell’introduzione: “Ho scelto parole che circolano non solo in italiano, ma in molte altre lingue, e che costituiscono, pertanto, una sorta di vocabolario trasversale. Parole complesse, seppure di uso comune, che hanno tessuto ciascuna reti di significati e poi, nel corso della loro storia, definito aree fondamentali della vita civile, dall’arte alla morale alla psicologia al linguaggio alla scienza alla tecnologia. Parole che acquistano sensi sempre nuovi, variandosi di lingua in lingua, di tempo in tempo, tra innovazione e continuità”.
La scelta di rete come ultimo vocabolo è anche motivata dalla volontà dell’autore di raccordare fra loro i termini inseriti in ciascun capitolo: “Stiamo giungendo al termine del nostro divagare. Di capitolo in capitolo, e dentro ciascun capitolo, abbiamo congiunto, raccordato, annodato fili. Abbiamo fatto reti. Lasciate, dunque, che concluda con una passeggiata tra i significati questa parola, rete”.
Nelle sue Conclusioni, infine, il nostro Gardini riprende le tesi iniziali, ampiamente dimostrate ed esemplificate nelle sue pagine e ribadisce che il latino vive ancora, che la trattazione di ciascun termine ha tenuto conto della specificità di ogni parola, che lo studio del latino è uno studio di parole inteso sia come etimologia, ovvero come studio dell’origine ma anche come considerazione delle “trasformazioni che tradiscono i significati originari e ne creano altri”.
Infatti etimologia (dal greco λόγος = discorso e ἔτυμος = vero) vuol dire “discorso sul vero di una parola”, una verità “identificata con le origini”; ma il concetto di origine è relativo e non assoluto e dipende dal “dopo”, ovvero da chi fattivamente ha usato quella parola originaria e originale.
Studiare le parole è studiare la storia tout-court. Per questo il latino è fortemente formativo e presente perché, come canta De Gregori, “la storia siamo noi”.
Nell’auguravi buona lettura e buona storia con le parole, faccio notare che questo libro si pone del tutto in assonanza con il saggio Le parole sono importanti di Marco Balzano.
Ad maiora semper con il latino!
Written by Filomena Gagliardi
Bibliografia
Nicola Gardini, Le 10 parole latine che raccontano il nostro mondo, Garzanti, Milano 2018, 205 pp., 16 euro
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