“Follia” di Patrick McGrath: la storia di un amore criminale
Morale del libro: la violenza che fa più male è quella subdola, quando è mascherata dalle migliori intenzioni.
Vi sono due tipi di scrittura. Quella dell’io che indaga Sé e quella dell’Io che osserva gli altri. E ne annota i moti del cuore, i pensieri, li assolutizza, li eterna, li rende perfetti, ineluttabili, irrimediabili, tragici, farseschi e parte integrante di un nuovo mondo che ha luogo grazie a Lui e alla sua Divina Penna: Balzac, per esempio. Un Visionario, lo chiamava Charles (Baudelaire) e qui aggiungerei un Creatore e Ordinatore: Fiat Lux e il Romanzo fu.
Lo scrittore diventa un Dio Onnisciente, in grado di giudicare senza ritegno, di esaltare o di condannare, d’impietosire il lettore sulla sorte dell’una o dell’altra figura rappresentata, d’indurlo all’odio e al disprezzo, di manipolarlo, con la stessa tecnica con cui ha governato i gesti e gli atti dei personaggi. Anche lui, il lettore, diventa una marionetta da gestire.
Sull’altro tipo, l’Ego Monotematico e Passionale, ne parlerò, forse, dopo.
Quanto detto non l’ho scoperto leggendo il libro di McGrath, ma in esso ne ho trovata un’assurda conferma. Perché assurda? Perché è resa in modo più assoluto che altrove.
La storia è imperniata sul rapporto fra Stella e il resto del mondo. Lei è una donna gravemente insoddisfatta di un matrimonio logorato dalla freddezza affettiva, ma anche sessuale, di Max, il marito, vice direttore di un manicomio inglese, quando la di lui indifferenza non può che recare sventura, mentre l’anima di lei geme continuamente alla ricerca di un calore umano che in quel luogo può conferirle soltanto Edgar, un paziente psicotico in regime di semilibertà, che aveva, per gelosia, sgozzato e decapitato la propria moglie.
Lui le offre la cosa che maggiormente le manca: una passione travolgente.
L’io narrante è Peter, uno psichiatra che si basa sul racconto che lei, alla fine di tutto, gli ha fatto, e che intende indagare in modo invasivo lei e, in genere, gli altri, più che se stesso, e che si propone come quello che dicevo poc’anzi: un Creatore, Ordinatore, ed ora aggiungo, un Modificatore di esistenze.
Un esempio è quando Max cerca di riprendere i rapporti sessuali con la moglie, che però non riesce più a concepirli, ora che ha scoperto la passionalità quasi animalesca del nuovo amante, il quale, nel frattempo, è riuscito a fuggire rocambolescamente dal manicomio.
La scena del tiepido approccio coniugale, evidentemente notturno, è descritto da Peter come se lo stesse riprendendo con una telecamera a raggi infrarossi. Anche in numerose altre occasioni, l’io narrante riproduce con evidente chiarezza ogni singolo gesto dei vari personaggi, come se fosse lui a deciderli, a provocarli, dopo averci ragionato su.
Immensa è la voglia di libertà di Stella, la creatura che lotta per essere Se Stessa in un mondo governato dagli Altri. Un bel giorno, un ragazzo strano e dinoccolato di nome Nick, amico del fuggiasco, riesce a interagire con lei. Le chiede innanzitutto conferma che è lei, e poi le dice che lo ha mandato Edgar.
“Più tardi, Stella mi disse di aver auto la sensazione che tutto si fosse capovolto. Non era lei che stava abbandonando il suo mondo per raggiungere un uomo braccato, un fuggitivo; era il fuggitivo che aveva un suo mondo protetto, in cui le stava offrendo asilo. Era lei la braccata, e non aveva più un posto dove andare.”
È un tentativo di fuga verso la libertà, per parafrasare Erich (Fromm).
Vedremo se ce la farai, piccola!
“Stella pianse sommessamente, raccontando di quel giorno, quando saliva le scale fino al sottotetto, dove Edgar la stava aspettando.”
“Qui provai a farle dire qualcosa di più, perché mi interessava sapere se dal punto di vista sessuale avesse notato qualcosa di diverso rispetto a prima…”
Peter, manovrato a sua volta da Patrick (McGrath), come un Demiurgo ordinatore lo è da un Dio Superiore e creatore, e questi da Chissà Chi, è deciso a tutto, pur di catturare l’anima di Stella. Di gestirla, di guarirla, di salvarla, di conquistarla e di metterla in salvo all’interno di una cartella clinica e, questa, in una bacheca.
Max, il marito, di fronte al cataclisma, rimane una specie di Ponzio Pilato coniugale.
Dialogo fra Edgar e Stella: “Torni da Max.” disse, “Torno da Max.”, “Sa di noi?”, “Non vuole saperlo.”
Stella non sa ancora se “voleva o non voleva ridiventare invisibile”.
“Si sarebbe vestita, sarebbe scesa di sotto e avrebbe preparato la cena, […]”
“Dopotutto, lei era la donna invisibile.”
Max “insistette per fare l’amore e lei non poté tirarsi indietro, anzi, dovette fingere entusiasmo, sempre per quella storia dell’invisibilità.”
“Voleva vederlo contento, voleva che sentisse che nel suo matrimonio tutto andava per il meglio, che lui era un buon marito e che lei era una buona moglie.”
Poi lei, alla prima occasione, torna a Londra, da Edgar, il folle.
“Vedermi come?”: Edgar, scultore, la vuole vedere così com’è, non come appare. Ha lo stesso intento di un Krishnamurti, libero pensatore saggissimo, lui che è pazzo. Vedere la realtà nuda, senza intermediari culturali o filosofici. Come se fosse un serpente che ti sta mordendo. La realtà, occorre affrontarla armati, di se stessi solo però. “Questa sarebbe la verità.” disse Nick.
Stella ed Edgar vivono un po’ stentatamente e questa vita pare la vera vita, contrapposta a quella degli agi di quand’era la moglie del vice direttore del manicomio: “quella che ora, fra sé e sé, chiamava la sua identità vecchia e stantia.”
“… appena si sfioravano i loro corpi prendevano fuoco.”
“Né lei né Edgar sembravano di controllare la fame che avevano l’uno dell’altro.”
“… sentiva che ne era valsa la pensa di saltare nel vuoto, perché alla fine avrebbero trovato il posto sicuro dove amarsi senza paura. E fu in quello spirito che fecero l’amore: senza paura, liberamente, mentre i treni rombavano sul viadotto nella notte. E Stella lo fece ridendo, gridando, urlando al magazzino intero tutta la vita che aveva dentro…”
Purtroppo pare che sia davvero così: “… per fare arte bisogna voltare le spalle alla vita…”
“Per lui la relazione fra arte e salute mentale era tanto precisa e tanto delicata: se la prima veniva disturbata, la seconda ne avrebbe risentito, finendo per andare in pezzi.”
Un altro purtroppo: “La vita era uno squallido baratto, soldi contro tempo. coi soldi potevano comprarsi un po’ di tempo…”
“Se solo avessero avuto abbastanza tempo…”
Fugge da Edgar, perché sente che questi sta già pensando a come decapitarla, trovando aiuto e sollievo in Nick, e anche una striminzita e quasi dovuta scopatina, per ringraziarlo dell’aiuto, lui che si vede che ci tiene così tanto a un po’ di sesso.
Scappare, scappare, scappare, ma tutta la vita occorre scappare?! Tu ami errare, nelle due accezioni del termine, eh, amica mia?!
A volte basta farsi acciuffare dalla Polizia e la fuga diventa un rientro all’ovile, dove però manca l’ariete. O, meglio, tuo marito è un becco cornuto e rancoroso, senz’alcuna anima, e allontanato dalla casa di cura, su cui poneva le sue ambizioni di carriera, essendo stato giudicato inaffidabile a causa del tuo comportamento irrazionale.
Ve ne andate nel Galles, e, in quella brughiera lontana da tutto, la mancanza di familiarità fra te, da una parte, tuo marito e Charlie, l’infelice figlio tuo, si acuisce. Stella, tu sei piena di imperfezioni, come persona, moglie, madre ma non come donna di facili costumi, tanto che ti concedi passivamente al tuo padrone di casa, come se tu non avessi altro valore che la tua grande bellezza. E non fai che compiere errori, quasi tutti imperdonabili. Eppure, ed è quello che mi ferisce di più, leggendo delle tue tribolazioni, e dei danni che procuri non solo all’onore, ma anche alla Jaguar di tuo marito, con cui strisci contro un muro, quel che più mi dà fastidio è l’ipocrita onniscienza dell’io narrante, di quel dottore, Peter, che tanto stimi, e che obbedisce agli ordini superiori di Patrick (McGrath), quando descrive nei minimi particolari la tua miserabile vita di donna che fa sbandare tutto quello che incontra (e che, a momenti, col figlio a bordo, rischi di andare a sbattere contro un altro veicolo).
Mai come con questo libro, l’io narrante mi pare passibile di accuse di stalking nei confronti di un personaggio. Anche se non avresti potuto denunciarlo, cara, perché tutti ti avrebbero dato della pazza.
Peter esamina i vari personaggi come si fa con degli animali da laboratorio: “Dio sa se se l’era meritato, e Dio sa Max non avrebbe una vita migliore sotto l’ala protettiva di sua madre piuttosto che sul seno freddo di sua moglie…”
Tu sei giudicata una donna tendente all’isteria: “ragion per cui, in primo luogo, Stella non si poteva considerare del tutto colpevole, e in un secondo luogo più che di un castigo aveva bisogno di affetto e attenzioni.” Dio stava facendo una grazia, un tentativo almeno…
Max invita a cena la sua mamma, che tanto ti disprezza: “Stella aveva deciso cosa avrebbe cucinato: rognone.” La serata diventa assai spiacevole e soprattutto imbarazzante per Max, a causa delle schermaglie fra voi due donne antagoniste.
Tra i vari errorini di questo periodo, in cui tu pensi sempre all’amor tuo folle e perduto, e che ti permette di vivacchiare in una famiglia che più non le appartiene, il più grave è quando lasci annegare tuo figlio Charlie, fissandolo con strana indifferenza, fumacchiando distrattamente e senza battere ciglio. Accusata di omicidio colposo, vieni internata nella struttura retta ora da Peter, che si assume il compito di ridarti la coscienza perduta, di affievolire un senso di colpa quasi invisibile, ma enorme, affinché tu possa accettare quanto combinato ai danni del mondo, del figlio, del marito e di se stessa.
Quando Max ti viene a trovare, ti dice che, grazie al collega, prima o poi riuscirai a superare lo shock e così, finalmente, potrai sentirti in colpa (che sarà “atroce”, ti avverte) e che poi ti dovranno tenere d’occhio perché probabilmente tenterai il suicidio. “L’unica cosa che proverai sarà una tristezza mortale, e quella tristezza non ti abbandonerà più per il resto dei tuoi giorni.”
“Fu in quel momento che Stella gli tirò l’accendino e cercò di arrampicarsi sul tavolo per piantargli le unghie in faccia. Le sue urla fecero accorrere le infermiere. La portarono via, lasciando Max a congratularsi con se stesso per la perfetta riuscita della seduta.” Lo volevi sfigurare!
Cosa succede alla fine? Anche Peter, che forse non ha mai avuto una donna tutta per sé, sospettato da alcuni di essere gay, s’innamora di te e ti offre un soave matrimonio basato sull’amicizia. Non si sa se ci sarà anche del sesso. Tu glielo chiedi e lui rimane sul vago. Sembri quasi accettare. Ma poi il libro termina con una disgrazia e col fatto che alla fine, a disposizione di Peter, rimarrà solo il tuo amato im-paziente Edgar.
“E cosi, vedete, ho ancora la mia Stella qui con me. E naturalmente ho lui.” (Edgar, acciuffato dalla Polizia e di nuovo internato in quella struttura).
L’ormai anziano Peter rinuncerà alla propria libertà e all’agognata pensione di cui ti parlava, purché quell’amabile gioco possa continuare.
Nello scrivere queste righe, ho compreso, come mai prima, che vi sono due poli opposti e apparentemente inconciliabili fra i tipi di scrittura. L’oggettivo e il soggettivo. Peter (Patrick) è del primo; Henry (Miller) del secondo. In entrambi, la massa maggiore è composta da un enorme IO che, nel primo caso, è rivolto verso l’esterno, nel secondo verso l’interno. Da giovane evitavo con attenzione la finzione letteraria, fino a che mio padre mi chiese per l’ennesima volta la cortesia di leggere “L’idiota” di Fedor, l’opera (una delle tante) che cambiò la mia vita.
Divenni un lettore avido e scellerato. Kafka, Borges, Morselli, Camus, Celine, Woolrich e tantissimi altri hanno mutato, ognuno un po’, la traiettoria della mia esistenza. Ma dentro di me, è rimasta la paura fobica dell’occhio del Grande Fratello, capace di penetrare nella mia anima. Leggo ogni sorta di libro, ma continuo a preferire la poesia e le memorie di sé, arti ormai quasi dimenticate.
Quello che più aborrisco del pur notevole libro di Patrick è quest’ignobile commistione dei due generi, un Io solo apparentemente piccolo piccolo, quello di Peter che, tacendo molto di sé, quando esamina e s’inventa, si fabbrica a posteriori e ri-crea brutalmente la tua vita, stupenda e perduta donna, finendo per compiere, e il congedo al lettore che ho citato lo testimonia, una violenza istituzionalizzata. Che è la logica e programmata conseguenza di quello che si chiama un amore criminale.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Patrick McGrath, Follia, Adelphi, 2018