“Abbracciarsi sul ponte di Brooklyn” di Ezzedine C. Fishere: quando il dramma della malattia innesca la nostalgia delle origini
Un invito a cena per festeggiare il ventunesimo compleanno di Salma. Il professor Darwish ha voluto raccogliere intorno a sé tutte le persone che conoscono Salma, la sua dolce nipotina.

Sarà l’ultima festa che si celebrerà nella sua casa di Brooklyn, presto il professore si trasferirà in montagna, in un villino ai piedi di un lago, al confine con il Vermont. Andrà lì a compiere i suoi giorni, dedicandosi alla stesura di un libro sul futuro degli arabi che non ha mai avuto il tempo di scrivere.
In realtà quello che il vecchio professore vuole è allontanarsi da tutti per affrontare in solitudine il calvario della malattia che ha appena scoperto di avere e che non gli lascerà ancora molto tempo da vivere.
Ma questo lui non lo ha detto ai suoi figli, ai suoi amici, ai colleghi di università. Non lo ha detto a nessuno perché non vuole drammi e non vuole essere trattato da vittima.
E allora organizza questa cena di commiato: arriveranno amici e parenti, vicini e lontani, suo figlio dal Canada, un suo amico da Miami, sua nipote dal Cairo, e anche amici che vivono lì a New York.
È questo l’incipit che muove questo avvincente romanzo dell’egiziano Ezzedine C. Fishere, pubblicato nel 2011 e oggi edito in Italia da Francesco Brioschi Editore.
Per quanto si tratti di una storia intima, che prende spunto dalle vicende umane del professor Darwish, in realtà si tratta di un romanzo corale, nel quale i numerosi personaggi, che sono poi tutti gli invitati alla cena, ripercorrono le loro esistenze, i drammi personali, le circostanze più o meno fortuite o casuali che si trovano a vivere anche in procinto di avvicinarsi al momento della riunione dal professore.
Le ore immediatamente precedenti la cena diventano per Darwish momento di ricordi, ripercorrendo le tappe fondamentali della sua esistenza, gli amori, le vicende professionali, la nostalgia del suo paese, quell’Egitto così lontano e diverso dal luogo dove lui ha scelto di restare a vivere. Quella New York che invece è risultata estranea a sua figlia Leila, tornata in patria.
“Qualche tempo dopo è venuto a sapere che Leila aveva deciso di indossare il velo e di vivere una vita più austera. Lui si è rassegnato. Yussef (l’altro figlio, ndr) invece aveva trovato lavoro alle Nazioni Unite, un impiego che l’ha portato all’epicentro dei conflitti africani uno via l’altro, e ancora non si è sposato. Darwish non ha provato a farlo desistere. Chi era lui per impicciarsi di queste cose? Non è che non gli importi di loro, è solo che non cerca più di indirizzare le loro vite. Non ha provato a fermare Leila o a far ragionare Yussef, non ha tentato di rimettere insieme la sua famiglia o di sciogliere i vecchi rancori. Si è arreso. Nessuno cambia nessuno”.
In un ultimo tentativo di autoassoluzione il vecchio genitore ripercorre il suo rapporto con i figli, i rancori e i dissapori che dopo la morte della moglie hanno caratterizzato il rapporto dei ragazzi con le donne alle quali lui si legava.

I sentimenti non detti, le emozioni taciute, le rabbie inespresse diventano anelli di una catena di incomprensione e distacco, che fino all’ultimo affoga nel silenzio.
A fare da contorno all’esistenza dell’anziano professore incontriamo gli invitati che si avviano per arrivare puntuali all’appuntamento della cena ma che fatalmente, chi per un motivo chi per un altro, non riusciranno ad arrivare in tempo.
Una serie di coincidenze, i casi della vita, il destino, la fatalità, saranno ingredienti che come cellule impazzite impediranno a Yussef, Rabab, Adnan, Luqman e alla stessa Salma di partecipare a quella festa. E tutti, nel raccontare le proprie vicende, dimostrano la comunanza di radici, quella appartenenza alla medesima terra, a quell’Egitto a volte rinnegato ma che rimane ancorato nel cuore come un inestricabile rampicante di nostalgia.
Tutti i personaggi vivono su un crinale in cui si contrappongono l’Oriente e l’Occidente, la cultura americana e quella araba. Due mondi lontani, che si attraggono e respingono e che subiscono le sollecitazioni di una progressiva e reciproca diffidenza.
Il libro di Ezzedine C. Fishere, “Abbracciarsi sul ponte di Brooklyn“, ci mette di fronte alla necessità umana di fare i conti con sé stessi, una esigenza che ad un certo punto della vita diventa inevitabile e irrimandabile. I protagonisti di questo romanzo decidono, o sono costretti a farlo tutti nello stesso momento: sulla loro strada verso Brooklyn e verso quella cena che non avrà mai luogo.
Written by Beatrice Tauro