Campionato Mondiale di Calcio Femminile: le differenze tra Italia e Usa nel pallone
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» − Articolo 3 della Costituzione italiana
A smentire il luogo comune che negli Stati Uniti d’America il calcio sia uno sport poco sentito ci hanno pensato le donne. Sì perché le Statunitensi, campionesse mondiali in carica, hanno confermato il loro titolo sconfiggendo le olandesi che detengono invece quello di campionesse europee. Questo è accaduto domenica 7 luglio allo Stade de Lyon.
In generale le ragazze d’oltreoceano vantano una grande tradizione calcistica e infatti diverse volte erano già arrivate in finale nella massima competizione mondiale, vincendolo in tre occasioni (1991, 1999, 2015): questa è la quarta.
Che il pallone sia donna al di là dell’Atlantico lo testimoniano anche i recenti fatti di attualità. Infatti anche negli USA esistono delle differenze di retribuzione fra calciatori e calciatrici.
E anche da quelle parti il Mondiale è stato visto come il momento opportuno per rivendicare la pari dignità tra uomini e donne impegnati nel calcio. Ma anche, oserei dire, per rivendicare una coscienza critica che spazia dallo sport alla politica passando per i diritti umani.
Come è noto, l’attuale politica americana non si distingue particolarmente per sensibilità verso temi come l’emancipazione femminile, l’accoglienza dei migranti, l’apertura a gay e lesbiche, e nei riguardi del pensiero laico in generale.
Strumentalizzare la religione per difendere un pensiero conservatore sa di retrogrado, vecchio, stantio. E in Italia ci sono politici che vorrebbero ispirarsi a questo modello! La capitana (in realtà condivide il suo ruolo anche con altre compagne) della Nazionale americana è Megan Rapinoe e negli ultimi giorni è entrata spesso in polemica con Donald Trump che, pur lodando le giocatrici per la vittoria, ha affermato però che la differenza la fanno i numeri nel loro complesso, quasi a voler lasciare intendere che questi, in termini di record raggiunti, sarebbero a vantaggio dei loro colleghi uomini.
Trump, durante il Mondiale, aveva dichiarato di non aver ancora pensato alla possibilità di ricevere alla Casa Bianca le atlete in caso di vittoria, invitando intanto le ragazze a finire il lavoro, ovvero a vincere. E aveva poi aggiunto, comunque (forse per rimediare tardivamente alla gaffe), che le avrebbe convocate sia se avessero vinto sia che non avessero vinto il Campionato.
Le ragazze hanno finito il loro lavoro, ma le polemiche non si sono placate in quanto queste donne hanno ribadito, sempre attraverso la voce della capitana, che non sarebbero andate alla Casa Bianca, anche se invitate. Perché? Si tratta di una questione di principio che nasce prima di Francia 2019: non vogliono diventare lo strumento dell’autocelebrazione di Trump, ovvero proprio di colui che incarna valori opposti a quelli da loro stesse condivisi.
La stessa Rapinoe, ad esempio, è omosessuale e non può andare da chi è omofobo come Trump: significherebbe farsi autogol e non sarebbe il massimo per chi gioca a pallone!
Fatto sta che le girls americane hanno festeggiato pubblicamente e senza pudori il loro successo, ma non vogliono dare soddisfazione a Trump. E questo è condivisibile.
Da noi, invece, le cose sono andate diversamente perché Sergio Mattarella ha invitato le Azzurre al Quirinale al rientro dalla loro avventura oltralpe. Questo è accaduto il 4 luglio.
Il video ormai è virale su tutti i social e sicuramente è stato molto toccante, a prescindere da chi invece ha sentenziato che l’intervento della capitana Sara Gama è stato poco calcistico; il problema penso sia mal posto per diversi motivi.
Innanzitutto perché quando le donne pongono un problema lo impostano sempre da più punti di vista e non soltanto considerando un solo aspetto, invece gli uomini sono abituati a separare i vari ambiti; secondariamente perché è chiaro che il tema del calcio femminile pone altri problemi, e tutti fanno capo alla necessità di riconoscere professionalmente le calciatrici, il che implica tutta un’altra serie di questioni non solo sportive.
E poi di fronte a una Sara Gama che, per ammonire sull’impossibilità ormai di tornare indietro sul calcio femminile, cita l’articolo 3 della Costituzione italiana, non c’è altro da fare che ascoltare in silenzio, annuire e imparare.
Infatti questo articolo afferma che davanti alla legge tutti hanno pari dignità sociale e sono uguali a prescindere dal sesso, dalla razza, dalla religione, dalla lingua, dalle opinioni politiche, e dalla situazione personale e sociale e che è compito della Repubblica rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono la realizzazione della pari dignità.
Nel caso del calcio italiano, in verità, sono state le donne ad aver fatto il lavoro, (per citare Trump, ma in chiave positiva stavolta!), ovvero ad aver rimosso per prime gli ostacoli che le emarginavano nell’esercizio di uno sport tutto al maschile: il frutto più importante del loro lungo lavoro, fatto di anni di sacrifici e di fatica, è stato aver messo le istituzioni di fronte al fatto compiuto cosicché, in Parlamento si è aperto l’iter teso al riconoscimento del professionismo.
La competizione mondiale è stata, allora, la giusta occasione perché questo piccolo grande miracolo potesse risultare in tutta la sua evidenza. Speriamo di non dover rimandare, come troppo spesso accade in Italia, alla Kalendae greche la realizzazione compiuta dei nobili obiettivi sopra richiamati.
Ad Maiora
Written by Filomena Gagliardi
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