“Critica della tolleranza” di Robert Paul Wolff, Barrington Moore jr., Herbert Marcuse: gli outsider

Negli anni ’60, tre famosi studiosi e accademici americani: Robert Paul Wolff, Barrington Moore jr. e Herbert Marcuse, condivisero un progetto di critica della tolleranza. Ognuno secondo la sua prospettiva, filosofica o sociologica.

Critica della tolleranza di Robert Paul Wolff, Barrington Moore jr., Herbert Marcuse
Critica della tolleranza di Robert Paul Wolff, Barrington Moore jr., Herbert Marcuse

Ne “Critica della tolleranza” dopo attenti e approfonditi esami, i tre, attraverso percorsi analitici diversi, svelarono le pratiche con cui il potere, dietro la maschera della tolleranza, nascondeva in realtà politiche fatte di esclusione, repressione e costrizione sociale, pervenendo infine a conclusioni molto simili e coerenti tra di loro, come ben riportate e motivate nella pubblicazione in argomento che riporta i tre rispettivi saggi.

Forse Voltaire, autore di più di tre secoli fa del famoso Trattato sulla tolleranza, se potesse leggere queste loro osservazioni rimarrebbe assai perplesso.

Nel primo saggio: Al di là della tolleranza, Robert Paul Wolff, filosofo immerso nella tradizione analitica e autorità riconosciuta sul pensiero di Kant, presenta la politica americana come conflitto tra gruppi sociali diversi, con la conseguenza di vedere l’individuo preso in considerazione quasi esclusivamente come membro di questi gruppi e non in quanto individuo.

A questo proposito, Wolff fa rilevare le diverse peculiarità che contraddistinguono l’America rispetto agli altri stati: la presenza di un associazionismo molto sviluppato (come rilevò già a suo tempo Alexis de Tocqueville nel suo famoso De la démocratie en Amérique), la costituzione federale dello stato e l’eterogeneità religiosa ed etnica.

Scrive Wolff: «L’America divenne così una nazione di minoranze nazionali, finché anche i discendenti dei primi coloni per differenziarsi dagli altri si contraddistinsero con una sigla: WASP[1] [p.20]».

Se da un lato la struttura decentralizzata, federale e gerarchica del governo americano si dimostrò adeguata a rappresentare questi gruppi e il loro rapporto reciproco, sia di tipo conflittuale che collaborativo, dall’altro il singolo cittadino poteva entrare in contatto con il governo centrale solamente attraverso la mediazione del gruppo di appartenenza (per libera scelta o per nascita).

È facile intuire come in una democrazia pluralista la tolleranza costituisca non solo una virtù, ma anche una necessità, a tutti i livelli.

Wolff prosegue la sua analisi prendendo in esame il pensiero di John Stuart Mill come espresso nel suo saggio più famoso: On liberty e quello di Emile Durckheim in Suicide, ma anche di altri autori.

La critica di Wolff si rivolge dunque al pluralismo come forma democratica che all’atto pratico favorisce i gruppi già presenti e attivi piuttosto che quelli in formazione. Secondariamente al fatto «per cui gli individui che non rientrano in nessuno dei principali gruppi sociali – quelli non religiosi per esempio – sono trattati come eccezioni e relegati in pratica in una posizione di seconda classe. [p.43]».

Con la conseguenza del formarsi nella società di numerosi outsiders, spesso disprezzati, scherniti o etichettati in vario modo, pertanto vittime di intolleranza e discriminazione.

Sempre secondo Wolff gli americani si trovano contemporaneamente di fronte a una grande tolleranza verso i gruppi già costituiti e rispettati e a un’intolleranza altrettanto grande verso l’individuo che devia dalla norma. Il filosofo conclude la sua disamina manifestando l’esigenza «di una nuova concezione della comunità sociale, al di là del pluralismo e al di là della tolleranza [p.52]».

Nel secondo saggio: Tolleranza e scienza, Barrington Moore jr., sociologo, cerca di dimostrare come la mentalità laica e scientifica sia la più adeguata per indicare quando è necessario essere tolleranti e quando invece la tolleranza si configura come vigliaccheria intellettuale.

Per chi affronta le tante verità soggettivamente sostenute con mentalità scientifica e in modo tollerante è imprescindibile seguire determinati procedimenti, simili a quelli adottati nei casi giudiziari, con lo scopo di verificarne la validità.

Moore conclude il suo breve saggio con le seguenti parole: «La scienza è tollerante verso la ragione, implacabilmente intollerante verso l’irrazionale e il falso, Come ha detto una volta Maurice Cohen, la scienza non è che una luce fioca e tremolante nel buio che ci circonda, ma è la sola che abbiamo: maledetto colui che vorrebbe spengerla [pag.75]».

Nel terzo saggio: La tolleranza repressiva, Herbert Marcuse, il famoso filosofo e sociologo di origine tedesca naturalizzato americano, esamina l’idea di tolleranza nella società industriale avanzata.

Marcuse, che, ricordo, è stato un’autorità indiscussa sul pensiero di Hegel, già dalle prime righe del suo saggio riporta le conclusioni da lui raggiunte, vale a dire che una vera tolleranza nelle nostre società capitaliste e consumiste, come anche in quelle di tipo totalitario, non esiste. Ciò che si pratica in suo nome è quasi sempre al servizio del potere costituito.

Paradossalmente, per Marcuse la realizzazione dell’obiettivo della tolleranza richiederebbe l’intolleranza verso la maggior parte delle politiche messe in atto dai governi. La critica di Marcuse, non solo al sistema americano, è radicale e senza possibilità di appello.

Egli mette sotto accusa tutti i settori della società industriale avanzata, dall’economia all’educazione, dalla pubblicità alle istituzioni dello stato, anche quelle formalmente democratiche. Per il filosofo, la tolleranza in una società in cui non vi sia un’eguaglianza sostanziale non può essere reale.

Le condizioni di applicazione della tolleranza sono determinate e definite dalla struttura di classe della società.

Scrive a tal proposito: «In una simile società, la tolleranza è de facto limitata sul duplice terreno della violenza e della repressione legalizzate (polizia, forze armate, guardie d’ogni tipo) e dalla posizione privilegiata posseduta dagli interessi predominanti e dalle loro connessioni [p.82]».

Per Marcuse, la società attuale, basata sulla disuguaglianza strutturale e sul consumismo, ha smarrito la grande meta del liberalismo economico e politico, alterando anche la funzione della tolleranza.

Il risultato è una contraddizione oggettiva tra la teoria e la pratica. Ciò comporta che la tolleranza viene attuata solo a favore dei gruppi dominanti e di conseguenza a discapito delle minoranze e dei movimenti all’opposizione, verso cui, invece, si scaglia la peggiore repressione.

Alla fine del mio breve excursus tra i tre saggi e le relative riflessioni che si susseguono, auspico che si intravedano maggiormente le tipologie di ragionamento che hanno portato i tre ricercatori alle comuni ed amare conclusioni.

Ciò che a me pare, tuttavia, è che la critica espressa dai tre autori nei loro saggi, sia rivolta non tanto alla tolleranza in quanto tale, ma al fatto che nella società essa sia applicata solo in senso teorico ma non pratico. Per meglio dire: al fatto che la tolleranza costituisca solo una maschera che nasconde in realtà un’intolleranza di fondo.

D’altra parte, già nel 1945 Karl Popper, nel suo saggio La società aperta e i suoi nemici, affermava che una tolleranza illimitata può portare alla scomparsa della tolleranza. Se, infatti, non si è in grado di dare dei limiti agli intolleranti in nome della tolleranza, l’intolleranza facilmente prenderà il sopravvento nella società.

Ad ognuno di noi, infine, resta il compito di operare per favorire l’affermazione nella nostra società della tolleranza, quella vera, a tutti i livelli, se siamo convinti che possa essere ancora un traguardo che le nostre comunità possano darsi con qualche possibilità di successo.

 

Written by Algo Ferrari

 

Bibliografia

Robert Paul Wolff, Barrington Moore jr., Herbert Marcuse, Critica della tolleranza, Einaudi, 1968

 

Note

[1] White anglo-saxon protestant

 

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