“Vuoti di memoria” di Valerio Varesi: un sempiterno processo indiziario?
Il noir filosofico, questo sconosciuto… forse non lo è più del tutto, ora che un autore come Valerio Varesi ha iniziato a scriverli.

Il romanzo, Vuoti di memoria, lo è quasi certamente, filosofico: forse più di altri. Forse è il più intrigante fra gli avverbi dubitativi, forse perché l’etimo è fors, caso. Quasi (quam se, come se) è la sua intrepida compagna. Insieme non sono felici, ma sanno adeguarsi alla propria esistenza.
Nella prima pagina leggo i nomi di Parmenide ed Eraclito – filosofi che noi moderni definiamo antagonisti. Per l’eleatico conta è l’Arché, l’Essere, immutabile ed eterno, nonché immobile. Sento che sia giunta per me l’ora di leggere l’unica sua opera ancora conosciuta: il Poema sulla Natura. L’efesino, che reca meno ansia, chissà perché, è un convinto assertore del concetto del Panta Rhei, del Tutto che scorre, in quale direzione dello spazio-tempo lo si sa dopo. La conoscenza di un problema è perennemente transitoria. I suoi oracolismi sparsi e frammentati, salvati dall’entropia cosmica, meriterebbero un’attenta lettura. Il più è rintracciare… prima o poi ci riuscirò, se è vero che ogni cosa prima o poi bussa alla porta (lo garantisce il paradosso del tunnel quantistico, su cui urge sorvolare). All’uomo talvolta è concessa la chance d’accelerare eventualmente i tempi.
Il romanzo Vuoti di memoria inizia così: “Niente è mai passato in giudicato…” – per cui ogni giudizio scorre da una sentenza all’altra, al quasi certo appello, all’ipotetica cassazione, al necessario reiterarsi dell’iter giuridico… Prima di tutto, occorre svolgere un’inchiesta. Soneri è l’uomo che è stato destinato dalla penna di Valerio a condurla. Per fortuna (per Caso e necessità, direbbe Jacques Monod) non è solo. Insieme a lui ci sono i suoi collaboratori, nonché il PM, che ogni tanto lo interpella, lo motiva, interagisce con lui, ironizza un po’.
Freddura bollente: gli scrittori si dividono in due categorie, quelli che utilizzano le metafore e quelli che vanno subito al sodo. Varesi è il filosofo che tentenna fra l’immobilità dell’Essere parmenideo e il frenetico agitarsi delle particelle del Kósmos, l’Ordine che deve convivere col Kaos entropico. Esempio di una sua metafora: “Tutto è un mosto in fermento.” – è e si agita.
“A volte la memoria ci inganna…” – dice Soneri al fido Juvara, che riveste il suolo di subordinato, simile al servo (che serve, direbbe Totò) descritto da Georg Wilhelm Friedrick Hegel, altro chilometrico autore citato a pagina 186. Nella pagina precedente era scoccato il turno di un altro mostro sacro e inquieto del sapere umano: Arthur Schopenhauer, del quale ho letto un libretto (quello dei Fantasmi) ma non le opere principali. Egli credeva (religiosamente?) che una donzella di nome Maya despositasse un Velo sulle cose, negandone la percezione assoluta. Un altro pensatore che aleggia nel romanzo, senz’essere mai citato, è Karl Popper, per il quale una teoria scientifica, una volta attestata, è falsificabile, mutabile, in un continuo work in progress. Una teoria religiosa non è mai verificabile. Se si dice che quel tale Dio o Ministro del Medesimo svolazzò in cielo, nessuno può teoricamente rin-negarlo. Gli è solo concesso di non crederci. Al velo che ricopre un dato scientifico, una volta sollevato, ne succede un secondo, poi un terzo e per una presumibile ma non attestabile eternità. Al Velo che cela una Verità religiosa non ci si può manco avvicinare, figuriamoci toglierlo. Non sollevare il velo dipinto, avverte una poesia di Percy Bysshe Shelley. Il velo dipinto può essere solo sognato, come comprovò in un romanzo William Somerset Maugham.
Juvara, uomo positivo, “Batté la mano sullo schermo del computer…” – e poi disse: “Qui è scritto tutto.” – quasi fosse il sacerdote di un Dio digitale.
Accade un delitto. Fra i sospettati c’è un tale che si chiama Luciano Orsi – il quale ora ri-entra in scena, proveniente dal nulla, dopo essere stato a lungo ricercato: “Pare un uomo traumatizzato ma non si capisce da cosa. Sta di fatto che la memoria gli è evaporata…” – in misura maggiore a quello che succede a Soneri, in cui essa talvolta fa cilecca (capita anche a me). Leggendo alcune opere (per esempio: Come funziona il cervello? di Piero Benassi) mi sto convincendo che non è un bene essere scorderelli, ma che si può convivere col problema. Altrove lessi che il nostro Messer Messerino (così amo chiamare Sua Eminenza Grigia) tende a scordare quel che non interessa. Il Baby Booomer che sonnecchia in me ricorre spesso all’aiuto telematico, usando il cellulare o, mentre sta scrivendo, il computer portatile. Lo scrittore Silverio Scognamiglio, che è quasi più smemorato di me, suole ammonirmi che così s’incentiva la tendenza dei neuroni a bighellonare senza scopo qua e là, soffiando per la fatica. Silverio ha ragione, ma a Reggio vale il detto che essa si dà a… no, non si può dire…
Valerio Varesi e il sottoscritto sono quasi coetanei. Che anche lui si sia accorto che sempre meno resta traccia di quel che ci passa accanto?
“Terminò la lettura del fascicolo e si ritrovò in un cul-de-sac.” – il perché riporti questo ora ne sono cosciente, spero tanto di non scordarlo, di non dimenticarlo, di rimembrarlo: cuore, mente e membra, per una volta uniti, saranno in grado di sconfiggere l’oblio?
Sfiziosi sono i dialoghi fra Soneri e i suoi collaboratori, fra cui Nanetti, a cui il commissario dice: “Pensavo di parlare a uno scienziato e invece mi ritrovo un filosofo.” – l’importante è che l’investigatore delle altrui azioni non si comporti da religioso. Non gli è consentito credere, ma attestare. La credenza svolge la funzione di stimolare la ricerca lì e non là: e non è poco!
“La realtà si presentava sempre per ciò che era: un groviglio, un abbaglio, un costante equivoco. Juvara gli appariva l’adepto di una nuova fede ingenuamente depositata nei dati custoditi dentro i magazzini della memoria elettronica.” – riposta in sapide cartelle, un tempo dette directories.
“Soneri mugugnò qualcosa manifestando insofferenza di fronte al potere della tecnica e della lingua inglese che ne era la voce.” – fenomeno che atterrisce un mio conoscente, stimolandone i patemi xenofobi. Il linguaggio sconosciuto è sempre sospetto, quello telematico più di altri.
L’uomo si adatta alle novità, ma ci vuole tempo. L’accettazione del diverso (è più corretto dire: dell’Altro) non è immediata.
“Un mondo che lo escludeva e lo faceva sentire inadeguato e vecchio.” – il Panta Rhei può esser vissuto come una maledizione.
I “fronti di nebbia” non sono di certo una novità nei libri del parmigiano Valerio. In questa storia, più che in altre, assurgono al ruolo di protagonisti.
“‘L’arte è questo: un concentrato di vita a densità altissima come la materia dei buchi neri.’” – dice il collaboratore di Soneri il cui cognome – “Sbarazza” – pare un nomen omen.
Soneri gli risponde: “Il delitto è l’opposto: un concentrato di male irrimediabile che cancella la vita’…” – un vero filosofo etico! Io sono fermamente contrario all’omicidio istituzionalizzato previsto da alcune legislazioni. Si tratta della stessa filosofia che giustifica la guerra, che Marinetti definì sola igiene del mondo. Patisco ancora gli effetti della lettura de Il canto del boia di Norman Mailer. Anche l’arte può esser distruttiva, a volte letale. Nel buco nero tutto si singolarizza, rendendo nulla (per sempre?) la differenza. Secondo Carlo Rovelli e altri scienziati, quel tutto un bel dì sarà finalmente espulso in quasi infiniti Buchi Bianchi. Non ho però capito se tali teorie siano del tutto scientifiche.
Dice il nostro un po’ obliante ma sempre attento commissario: “… Più scaviamo nella memoria e quindi nel passato, meno diventa chiaro…” – …dove andremo a sbattere. Non si fa che inseguire la luce, la quale scorre più veloce di ogni altro ente.
Juvara insiste a difendere le sue scelte operative: “… noi siamo molto più intelligenti di questo aggeggio, ma dove manchiamo è nella memoria…” – non intendendo solo quella di massa (i dati) ma anche quella che è detta Software: la capacità d’analisi, di confronto, che non difetta in quell’Hardware, nei nostri meccanismi sì.
Non chissà se, ma mi chiedo quanto Valerio Varesi, laureato in filosofia, giornalista, studioso della storia, autore di romanzi, confidi nella teoria che “Scrivere è salvare…” – per me è anche, pur onestamente, rubare, raccattando per terra le cose, come si fa coi frutti del bosco, il ginepro, i funghi porcini. Non esiste uno scrittore originale, poiché ciascuno di loro è nato da una quasi infinita sequela di germi ancestrali.
Conosco almeno un autore (o forse due) che si ispirano a te, Valerio. Tu pure hai di certo i tuoi maestri. Ogni arte è figlia di una tecnica madre, anche ogni guerra lo è. Errando non s’impara mai. Si distrugge e poi, cessato l’orrore, si tenta di riedificare. Che genia di pazzi demolitori e di vani ricostruttori siamo!
Un raggio di speranza illumina la coda di pagina 130 de Vuoti di memoria: “‘Potrebbe darsi che tutte le strade si congiungano’ ipotizzò Soneri. ‘E lì è la soluzione’.”
L’uomo ha bisogno di benzina per poter proseguire il cammino: “Avrebbe voluto essere in collera e invece era deluso, il che era molto peggio.” – si sentiva quasi immobile… ma non immemore…
“Nella sua testa è tutto scritto con l’inchiostro simpatico.” – dice la donna di Orsi, la cui memoria è annebbiata, non si sa in che misura né per quanto. La cosa non dev’essere vissuta come una disgrazia, perché non c’è inchiostro che non permetta una lettura, con l’ausilio di una candela.
Non posso sottacere la serie di battibecchi e affettuosità che s’incrociano fra il commissario e “Angela”, la sua amata “avvocatessa”. Una battuta di può darne un’idea: “Che noia! Mi sembrerebbe d’essere un vetrino di laboratorio. Non amo gli uomini appiccicosi, per questo sto con te.” – ergo: cercami pure, talvolta, anzi: spesso!
A pagina 189 de Vuoti di memoria imparo l’espressione “imbesuito dalla televisione”: instupidito. Tale gli pare quel misterico Orsi, sempre incollato al teleschermo, che è più grande di un computer, ma più piccolo di quello cinematografico: tutto è relativo, come bofonchiava Albert Einstein.
A proposito di hardware scaduto: “‘Sono proprio un ferrovecchio’ brontolò sconsolato.” – il nostro eroe, consapevole della sua inadeguatezza tecnologica. Quel che combina il cibernetico ispettore Juvara ha dell’incredibile. Una mia consanguinea, accanita lettrice di Valerio, non sopporta certe ironie di Soneri e i maltrattamenti piscologici a cui sottopone il pur benvoluto aiutante. Anche lei è una baby boomer evoluta.
Dice Soneri, con malcelata invidia: “Hai estratto qualcosa dal tuo vaso di Pandora?” – da cui “in genere” usciva “qualcosa di sgradevole”: siamo messi così, non meglio. Quando il caos esce fuori, significa che era covato nell’alveo di chissà che.
Soneri è un poeta e non lo sa, quando dice: “La storia si muove a ricciolo e ogni generazione azzera il passato.” – qualche cibernetico direbbe: si limita a zipparlo…
A pagina 216 de Vuoti di memoria qualcosa che accenna a dei sopravvissuti induce a pensare alla caducità delle cose (non solo le umane) e a quanto potrebbe esistere altrove, nei multiversi immaginati dall’imaginifico Hugh Everett III, di cui ora il tacer è bello se si vuole proseguire nella storia.
“E mentre nella sua mente si agitava un verminaio di pensieri…” – … anche nelle nostre menti si riproducono quei worms che tanto inquietano i telematici utenti!
“… era ossessionato dall’illogicità…” – … ricoperta da impietosi veli. E, ognuno di noi, ha la facoltà di cogliere i più confacenti. Urge però non disprezzare le scelte altrui. Soneri ammonisce il suo sottoposto: “… noleggiate una parte del vostro cervello e dunque dei vostri ragionamenti. È così che vi fate soggiogare.” – la mia consanguinea non ha tutti i torti!
In Christabel di Samuel Tyler Coleridge colsi un verso: “the gems entangled”. Un fenomeno scientifico inspiegabile è l’entanglement quantistico, la correlazione che segna il destino di due particelle che sono venute a contatto. In tale teoria io credo religiosamente. Appena concluso il tuo romanzo, ho iniziato a leggere ‘N derr la lanze di Roberto Moscardin (laureato come te in filosofia, con indirizzo psicologico informatico), opera quasi indefinibile e indeterminabile. Ne stralcio casualmente un passo: Un computer, non è altro che una matita sofisticata. – forse è stata quella magica virgola posta fra soggetto e predicato a causare l’entanglement fra lui, te, Soneri e me.

“Tutto si mostrava un grigio…” – che paiono non-colori, e che svolgono la funzione di celarli tutti.
Dice Soneri: “… Non vado d’accordo con le certezze.” – la vita t’accontenterà, tranquillo…
“E non ci capiamo ancora niente…” – che Kaos entropico sarebbe, allora?
Sono fiero di me. Sono riuscito a evitare tantissimi riporti. Diversamente non ne sarei forse uscito. Ma non posso, reggianamente, evitare questo: “… spiegò Alceste pacioso come un putto del Correggio.” Per par condicio riporto anche: “Si metta di fronte a un dipinto del Parmigianino e vedrà che nel momento folgorante in cui le appare troverà l’unica certezza che il mondo ci può offrire.”: lo splendore di quel velo? La presunta eternità della bellezza cantata da John Keats?
Un cenno meritano le tigelle, di cui non parli, Valerio, essendo tu un parmigiano. Come per il tuo “tris di tortelli” – occorre ogni volta scegliere il condimento, Enten-Eller, direbbe Søren Kierkegaard. Lo stesso accade con la polenta e coi gnôch, a cà mia, con la torta fritta, a cà tua.
“Erano di nuovo finiti in un cul di sacco e l’unica cosa certa era l’incertezza” – si legge a pagina 316 de Vuoti di memoria.
“Il massimo che si può ottenere è l’approssimazione…” – che è stata la scoperta filosofico-scientifica del XX secolo: la perfetta determinazione è improbabile, ergo non scientificamente attendibile. La qual cosa creò un dissidio semi-eterno fra Albertino e il suo alter ego Niels (Bohr).
Di quasi certo è una tragica teoria: “Il mondo è una storia di massacri” – alcuni dei quali istituzionalizzati e benedetti da una certa opinione pubblica.
“Questo è un giallo o no?” – quesito intelligente ma la risposta dipende dalla copertina del libro del paese in cui è stato pubblicato.
In questa pagina e nella seguente si palesa poco più di una mezza agnizione: un’a-n-z-o-e.
In quella finale, una “colpevolezza” si mischia con un’“innocenza”: ed entrambe scorrono, lungo le rive gestite dall’homo speculativus.
La vita, caro il mio autore, è un Enigma, un aînos, racconto che mai si conclude davvero, pur apparentemente finendo, così pensava quell’elvetico tuo collega, Friedrich Dürrenmatt, il quale amava sospendere il suo dire quando forse sceglieva lui. Detto in termini giuridici: è un sempiterno “processo indiziario”.
L’ultima piccineria: se si scalda con un cero qualsiasi libro, emergono tanti co-autori, il cui nome fu scritto con quell’amabile inchiostro.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Valerio Varesi, Vuoti di memoria, Mondadori, 2024
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