Mosuo: il matrimonio itinerante del popolo matriarcale della Cina
Alle pendici dell’Himalaya, nella zona più rurale della Cina, esiste un popolo millenario, i Mosuo, in cui regna indissoluto il matriarcato.

Le origini dei 40mila Mosuo sono da ricercare nel remoto Tibet da cui, attorno al 1000 d.C., sono partiti diversi gruppi che si sono stanziati attorno al Lago Lugu, sul confine tra Yunnan e Sichuan, a 2685 metri sopra il livello del mare. Giuridicamente fanno parte della Cina che, erroneamente, li inserisce nel gruppo della minoranza Naxi, stanziati nei dintorni di Lijiang, con cui condividono le origini.
Ma i Mosuo si differenziano dai Naxi per la tradizione, la cultura e soprattutto per la società matrilineare. Infatti, in questo luogo remoto, quelle che contano davvero sono le famiglie da parte femminile, mentre non hanno alcun valore quelle maschili. Per cui i figli e le figlie ereditano il nome della matriarca, che solitamente è la donna più anziana della famiglia. Lei ha il compito di guidare la sua discendenza, di prendere decisioni e di gestire i lavori in casa e nei campi.
Le famiglie Mosuo hanno una peculiarità interessante, che poi sarebbe il cuore dell’intero sistema sociale: l’assenza di matrimoni, che permette di fatto la matrilinearità. Infatti l’amore per i Mosuo non ha bisogno di cerimonie o certificazioni, ma trionfa di notte, nei meandri oscuri delle stanze delle ragazze, le quali accolgono coloro che gli son piaciuti durante il giorno. Quindi ogni donna ha la possibilità di avere più partner durante la sua esistenza, che siano solo per una notte o per un periodo più lungo che può coprire l’intero arco della vita.
Ma all’alba, chiunque esso sia, amante occasionale o fisso, deve andare via, levando via il cappello appoggiato sulla maniglia della porta, simbolo dell’amore in corso e del divieto di entrare. Così, alle prime luci del mattino, lei resta nella sua famiglia matriarcale e lui ritorna alla sua.
Questa tradizione è chiamata “matrimonio itinerante”, tisese in cinese, che letteralmente significa “uomo che va avanti e indietro”, proprio per sottolineare l’azione dell’uomo di giacere con la donna ‒ magari ingravidarla ‒ e poi andare via. L’accesso al tisese avviene all’età di tredici anni, sia per le ragazze sia per i ragazzi. Per le prime la cerimonia si chiama “della gonna”, per i secondi si chiama “dei pantaloni”. Per cui accade che le coppie, anche se si amano e stanno insieme, non possono mai vivere nella stessa casa, perché entrambe le parti restano per tutta la vita nelle proprie famiglie d’origine. Tuttavia, è possibile che due amanti possano unirsi in una coppia simbolica, legittimata attraverso una cerimonia, durante la quale lui regala doni ai parenti di lei. Ma resta comunque la proibizione di vivere insieme, in quanto i figli, maschi o femmine che siano, restano fino alla morte nella propria casa natale. Inoltre non è obbligatorio restare sessualmente fedeli all’altro per tutta la vita, nonostante la cerimonia. Infatti il concetto di libertà del matrimonio itinerante è proprio alla base della cultura Mosuo.
In un matriarcato si può erroneamente pensare che le donne vengano trattate da principesse e gli uomini facciano tutto il duro lavoro, e invece qui c’è una situazione capovolta. Le donne hanno grandi responsabilità, infatti si occupano dei lavori più pesanti, come prendersi cura della casa e della prole, arare il terreno, dare da mangiare agli animali, cucinare, cucire e così via. Gli uomini solitamente si occupano della pesca, di guidare le barche sul lago, ma spesso vengono visti giocare a carte o godersi il tempo libero, proprio perché il loro dovere fondamentale è quello di concedere alle partner almeno una figlia femmina. Inoltre gli uomini fanno da padri ai nipoti, ossia ai figli e alle figlie delle sorelle, e non hanno alcun vincolo con i propri figli naturali, di cui si occupa la famiglia materna. Infatti nella lingua Mosuo non c’è differenza fra papà e zio, come non c’è differenza fra mamma e zia ‒ il termine emi viene utilizzato per indicare entrambe.
La prole vive in una famiglia allargata, in una comunità che condivide ogni cosa e deve funzionare in modo quasi totalmente autosufficiente. Difatti le famiglie non comprano quasi nulla, ma producono tutto da zero: cibo, vestiti e persino la costruzione delle loro grandi case, vivendo mediamente con soli 200 dollari all’anno.
La capofamiglia, la dabu, solitamente la più anziana e saggia, decide tutto, anche se spesso può richiedere consigli agli altri membri della comunità. Può capitare talvolta che una parente più giovane possa prendere il controllo dell’assetto familiare se è efficacemente più giudiziosa di sua nonna/bisnonna.
Essere una dabu è un compito particolare, poiché si ha il dovere di mantenere la famiglia unita, di gestirla e di dirigere tutti i lavori, di scegliere, ma soprattutto di avere completa abnegazione nei confronti della comunità. Inoltre la dabu ha il compito di proteggere la tradizione Mosuo e di mantenere in vita il culto degli antenati. Infatti, secondo la cultura del posto, in ogni neonato si incarna un avo. Per cui la famiglia non è solo quella vivente, ma anche quella passata che ciclicamente ritorna, dando vita ad un continuum energetico, in cui vita e morte non hanno confini. Oltre al culto degli avi, i Mosuo venerano una dea madre e, parallelamente, il buddismo tibetano, adottato negli ultimi anni.
La società Mosuo può apparire rigida sotto alcuni aspetti, come il divieto di convivere o l’obbligo di restare nella propria famiglia d’origine, elementi che le nuove generazioni a volte percepiscono come oppressivi. Tuttavia, il forte legame con la tradizione e la lontananza dall’alienazione della modernità favoriscono un’armonia profonda tra i membri della comunità, permettendo loro di vivere con serenità.
I Mosuo sono stati spesso criticati, soprattutto in Cina, per la loro presunta promiscuità o per uno stile di vita considerato troppo erotico e fuori dagli schemi. In realtà, vivono semplicemente l’amore in modo libero, senza la pressione imposta dal matrimonio. Uomini e donne si relazionano senza gelosia o possessività, adottando un modello che riduce conflitti e tensioni, rafforzando il desiderio – soprattutto sessuale – nel pieno rispetto della libertà reciproca. Al tempo stesso, trovano sostegno in un nucleo familiare solido, potente, quasi sacro.
I Mosuo hanno consuetudini particolari, come flirtare durante le serate di danze popolari, durante le quali indossano abiti tradizionali molto colorati e ornati ‒ che non vengono utilizzati durante il giorno perché troppo scomodi per lavorare. Spesso gli amanti si incontrano a metà di un ponte sul lago Lugu, per amoreggiare davanti ad uno degli spettacoli naturali più belli della Cina. Adorano anche bere alcool, soprattutto dopo aver trascorso una serata intera a ballare. Si riuniscono in “pub” locali dove consumano liquori tipici per poi ritirarsi nelle stanze dell’amore.
Oggi la loro società è sempre più esposta al turismo, poiché il remoto villaggio in cui vivono non è più così isolato, grazie alla costruzione dell’aeroporto di Ninglang, situato a soli 25 km di distanza. Hotel, ristoranti, negozi di souvenir e tour guidati sono ormai una presenza comune, offrendo ai visitatori la possibilità di esplorare campi e abitazioni tradizionali. Tra gli abitanti del villaggio spicca Aqi Duzima, una delle artigiane più talentuose della comunità, che lavora anche per il governo e confeziona abiti così raffinati da essere richiesti nei mercati artigianali di tutto il mondo.
Ovviamente questo avvicinamento al capitalismo e alla globalizzazione sta minacciando l’equilibrio interno delle famiglie Mosuo, per cui i giovani hanno l’arduo compito di non lasciarsi ingannare dalle regole ‒ e dai soldi ‒ della società moderna, ma hanno il dovere di proteggere una delle comunità più progressiste del mondo, in cui regna una forma atipica d’amore e di libertà.
Written by Ilenia Sicignano
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