La Shoah e la soluzione finale: perché tanto odio ed intolleranza?

“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.” ‒ Primo Levi

Shoah citazioni Giornata della Memoria
Shoah citazioni Giornata della Memoria

La Shoah, uno dei periodi più oscuri e tragici della storia moderna, è una delle ombre che a tutt’oggi avvolge l’intera umanità. Testimone della bassezza che l’uomo può raggiungere per fini abbietti, al contempo, rimane un faro di luce grazie alla memoria dei sopravvissuti. I quali, con il loro coraggio, hanno continuato a credere nell’uomo nonostante le sue terribili gesta.

“Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo.” ‒ Primo Levi

La Shoah, o Olocausto, che in ebraico significa distruzione, è un terribile momento storico che vede il regime nazista, tra il 1939 e il 1945, perseguitare, deportare e infine annientare sei milioni di ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. A cui si devono aggiungere Rom, disabili, omosessuali, oppositori politici e altri ‘indesiderabili’. Vittime inconsapevoli di un preciso progetto di sterminio, architettato grazie a una pianificazione meticolosa realizzata su vasta scala, trasformando l’Europa in un campo di morte.

Ma perché tanto odio e intolleranza?

Dove affondano le radici del fenomeno per mettere in atto un genocidio di così enorme portata?

La risposta è piuttosto semplice, non così complessa come si potrebbe pensare. L’origine di tanto odio sta in secoli di pregiudizi antisemiti, che l’ascesa del nazismo in Germania con la sua ideologia razzista ha risvegliato, trasformandolo in una politica di sterminio.

Uno dei motivi che trova nello sterminio degli ebrei una sua “ragione” di esistere, anche se non si può parlare di alcuna motivazione per il male compiuto, è il fondamento della dottrina nazista sulla supposta idea della superiorità della “razza ariana”, in relazione all’inferiorità delle altre etnie. Focalizzando in particolare l’istinto malevolo sugli ebrei, considerati dal nazismo una minaccia.

“L’Olocausto è una pagina del libro dell’umanità da cui non dovremmo mai togliere il segnalibro della memoria.” ‒ Primo Levi

Salito al potere nel 1933, Adolf Hitler dà inizio a una serie di misure discriminatorie contro gli ebrei con leggi promulgate per escluderli dalla vita pubblica, professionale e culturale. Si tratta delle cosiddette ‘leggi razziali’ che privano gli ebrei di alcuni dei fondamentali diritti civili, isolandoli dal resto dalla società.

A sancire ulteriormente la loro segregazione, privandoli della cittadinanza tedesca, sono le leggi di Norimberga del 1935; tuttavia, sarà con l’inizio della guerra e l’occupazione di nuovi territori in Europa, che la politica antisemita si trasforma in un genocidio organizzato.

Durante la Conferenza di Wannsee, 1942, i gerarchi nazisti perfezionano il loro piano strategico al fine di mettere in atto il sistematico massacro degli ebrei, che vedrà la sua conclusione nella cosiddetta Soluzione Finale che trova il suo apice nei campi di concentramento.

Auschwitz, Treblinka, Dachau: nomi che non appartengono soltanto a luoghi, ma rappresentano a tutt’oggi il grido silenzioso di chi non ha potuto parlare per rivendicare le proprie ragioni.

Luoghi lugubri, per usare un eufemismo, dove le vittime venivano deportate con treni merci, per essere poi sottoposte a lavori forzati e torture; private di ogni dignità umana, morivano infine di stenti o peggio ancora soppresse nelle camere a gas.

Ma in mezzo a quell’abisso di dolore sono sopravvissute storie di resistenza, di umanità spezzata ma mai distrutta, di memoria per non dimenticare. Si tratta dei pochi scampati alla barbarie nazista, molti dei quali hanno assistito alla morte nei lager della loro intera famiglia di appartenenza, rimanendo segnati per il resto della vita, sia fisicamente che psicologicamente.

Ma, che fare per non dimenticare tali atrocità e cercare di fare in modo che non si ripetano crimini di così ampia malvagità?

Il ruolo assunto dalla Giornata della Memoria, data in cui nel 1945 le forze Alleate liberano il campo di concentramento di Auschwitz, è fondamentale. È il giorno in cui organizzazioni internazionali, musei e istituzioni educative raccontano le storie dei sopravvissuti.

Custodi della memoria dei tragici fatti, alcuni di loro sono rimasti nascosti a lungo nei ghetti; aiutati poi da uomini e donne di buona volontà che hanno messo a rischio la propria vita per salvare le vittime dai loro carnefici.

Chi può dimenticare figure come Primo Levi, che trasformò l’orrore vissuto in prima persona in testimonianza immortale?

O Anna Frank, che con il suo commovente diario ha lasciato un documento di valore morale, raccontando in prima persona l’orrore e la sofferenza vissuta.

O testimoni come Elie Wiesel, che ha fatto della caccia ai nazisti sopravvissuti, i quali non hanno pagato alcun prezzo per il male commesso, lo scopo della sua vita.

Testimonianze fondamentali, le loro, indispensabili per educare le nuove generazioni sui pericoli dell’odio, dell’intolleranza e dell’indifferenza, oltre che del silenzio.

Rimaste coperte per troppo tempo dal silenzio, dall’inerzia delle nazioni e dalla complicità di chi guardava altrove, le loro voci sono state un grido di dolore per rammentare al mondo che tali eventi non dovrebbero ripetersi.

La Shoah, una delle pagine più dolorose della nostra storia, stesa come un’ombra cupa sul popolo      ebraico, non è solo una tragedia del popolo ebraico, ma è una ferita ancora aperta nell’intera umanità, un urlo che risuona alto attraversando il tempo e lo spazio.

Oggi, può la Shoah impartire una lezione che non è ancora stata scritta, seppur viva nella memoria di coloro che hanno assistito a tali aberrazioni?

Può insegnare che l’indifferenza e il silenzio nei confronti delle ingiustizie possono avere conseguenze devastanti?

In un mondo che ancora oggi affronta conflitti e divisioni, il Giorno della Memoria è dedicato a ricordare a tutti l’importanza di promuovere il rispetto dei diritti umani, la dignità e la tolleranza.

E che non ha motivo di esistere la paura dell’altro, la discriminazione e il razzismo che si manifestano purtroppo ancora, seppur in modalità diverse.

Dovrebbe essere perciò un monito potente per il futuro, affinché la lotta contro l’antisemitismo, il razzismo e ogni forma di prevaricazione diventino una delle sfide più urgenti della nostra epoca.

È dunque il 27 gennaio di ogni anno che il Giorno della Memoria, baluardo contro l’oblio, attraverso la conoscenza e la memoria può essere motore per costruire un mondo meno disumanizzante.

Perché ricordare la Shoah significa fare i conti con le responsabilità collettive, significa guardare in faccia la storia con umiltà e determinazione.

La Shoah è sì una ferita aperta, come si diceva poc’anzi, ma è anche un insegnamento che indica all’uomo di non abbassare la guardia, di vigilare costantemente, di resistere all’odio e di difendere la dignità umana in ogni circostanza.

Attraverso l’educazione, il dialogo e il confronto, si può fare in modo che le nuove generazioni comprendano le conseguenze delle discriminazioni e si impegnino per costruire un mondo più giusto e inclusivo.

La Shoah ci insegna inoltre che libertà e la giustizia non possono mai essere date per scontate. Devono essere custodite, protette e alimentate da ogni generazione.

Oggi, mentre il mondo si raccoglie nel ricordo delle vittime non si commemora solo il passato, ma si riafferma la umanità perduta nei molti conflitti in giro per il mondo. Ogni vita spezzata, ogni nome cancellato dal tempo, ogni bambino strappato al futuro è un richiamo a costruire un mondo dove il male non trovi più dimora.

Ricordare non è solo un atto di rispetto verso il passato, ma dovrebbe rappresentare una promessa per il futuro, un impegno a combattere ogni forma di violenza serpeggiante in molti luoghi.

Perché in fondo, quello che la Shoah ha lasciato è una lezione immortale: Mai più.

Mai più genocidi, mai più indifferenza, mai più un’umanità divisa.

Un grido che non dovrebbe essere fatto solo di parole, ma diventare azione, solidarietà, comprensione.

“Prima vennero per gli ebrei e io non dissi nulla perché non ero ebreo.
Poi vennero per i comunisti e io non dissi nulla perché non ero comunista.
Poi vennero per i sindacalisti e io non dissi nulla perché non ero sindacalista.
Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa.”Martin Niemöller

 

Written by Carolina Colombi

 

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