“Il buio oltre la siepe” di Harper Lee: l’urgenza di tenere una torcia in mano
Il titolo italiano del romanzo di Harper Lee è Il buio oltre la siepe; quello originale, concepito dall’autrice (suggeritole dall’io narrante) è To Kill a Mockingbird, uccidere un tordo beffardo (mimus polyglottos, Linnaeus, 1758): un estroso passeraceo che imita il verso degli altri animali, non necessariamente piumati, nonché i suoni in genere, facile da cacciare, ahimè, poiché basta celarsi dietro un riparo basta che sia: metafora che indica un tipo estroso e, al contempo, ingenuo.
Tanto per prenderla un po’ comoda, ecco l’esergo del romanzo Il buio oltre la siepe: “scrisse Charles Lamb: Anche gli avvocati sono stati bambini, immagino…” – solo che allora esercitavano gratis.
Il padre di Jean Louise detta Scout e di Jeremy detto Jem è Atticus Finch, avvocato e, nonostante ciò (battuta politicamente scorretta), una delle persone che ho più stimato nella mia vita (l’ho del resto appena sconosciuto). Il mio sogno sarebbe di diventare saggio come lui ma poi mi viene da pensare che tanta saggezza possa essere pericolosa in un mondo falso come quello in cui viviamo, dove basta sorridere e inventare balle e si può dire che si sta facendo la storia e forse anche la geografia, la geometria, la trigonometria etc… Un minimo di cazzimma, di furbizia opportunistica, serve nella vita. Non intendo una sagacia del tipo onesto, dote di cui Atticus è straordinariamente dotato, ma quella perversa. Un minimo, dico, è essenziale, ma non di più, sennò si diventa come chi morde il posteriore e il destino altrui a denti stretti e con le fauci che si spalancano nelle più vili delle risate.
Passo ora, senza alcuna fretta, tanto di luce ce n’è ancora, alla dedica: “al signor Lee e ad Alice in segno di affetto profondo” – non so chi sia Alice; Lee immagino sia il padre Amasa Coleman Lee. La madre, morta giovane, quando l’autrice aveva venticinque anni, si chiamava Frances Finch (Finch è, come dissi poc’anzi, il cognome dei protagonisti). Nella finzione la mamma era morta quando Scout aveva due anni e non la ricorda quasi; mentre il fratellino, che ne aveva sei, ogni tanto s’intristisce se pensa a lei. Un amico dei due ragazzi è Charles Baker Harris, detto Dill, che altri non è che un’ipostasi di Truman Capote, che nel romanzo ha quattro anni più di lei (quindi coetaneo di Jem), nella realtà solo un paio. Lo sguardo di Truman, che colgo nelle foto online, mi fa tenerezza. Come lo avrei voluto come mio solidale!
La faccina di Harper sa essere simpatichina anche quando è a braccetto con quel presidente degli USA che regnava intorno al 2000. Una foto che Truman Capote le scattò nel ‘60 (quand’era trentaquattrenne) mi fa quasi innamorare di lei. Non so perché. Non è bellissima ma è, è ricca! di umanità, intendo. Quando avrò finito di spettegolare, affronterò questo romanzo mitico. Chissà chi era Alice?! Non reggo alla curiosità. Cerco sul web: è la sorellina di Alice, morta a 103 anni nel 2014. Come dicono dalle mie parti, i Lee în ‘d râsa scampadôra! Purtroppo Harper ci lasciò manco novantenne nel 2016. Ergo, provò il dolore della perdita di Alice! Il bello e la fregatura di ‘sto Kósmos è che tutto è relativo! Albert (Einstein) ci lasciò nel ‘55 che era poco più che un ragazzino…
Il capitolo primo della parte prima del primo romanzo di Harper Lee Il buio oltre la siepe inizia quasi dalla fine: “Jem, mio fratello, aveva quasi tredici anni all’epoca in cui si ruppe malamente il gomito sinistro.” – essendoci del gran buio oltre la siepe ed era stato una specie di mostro cattivo a romperglielo, mentre uno abbastanza buono lo aveva salvato!
Scout sta ora parlando degli avi, che erano originari della Cornovaglia.
Il romanzo Il buio oltre la siepe è stato pubblicato all’epoca di quella foto scattata da Truman, quando Harper aveva 34 anni. La scrittura è quella di una donna giovane e dotta, ricca di metafore del tipo: il marito di un’ava era “un uomo taciturno che trascorreva la maggior parte del suo tempo in un’amaca presso il fiume a chiedersi se le trote avevano abboccato agli ami.” – qualcosa di simile alla scommessa di Pascal. Aver fede costa meno fatica che disperarsi, anche perché induce alla sonnolenza.
Gregory Peck, che lesse il romanzo, si appassionò al punto di volerne acquistare i diritti, ma non ci riuscì. Si limitò perciò a recitarlo, nel 1962 (era Atticus).
Il padre di Scout era (come quello di Harper) avvocato (anche Harper ci provò ma poi s’era scocciata di studiare una materia per lei meno intrigante della scrittura): “I suoi primi clienti furono gli ultimi due cui toccò di morire impiccati nel carcere della contea…” – i quali, non dico come e perché, potevano pure scamparla (restando in galera a vita), “ma erano due Haverford, e nella contea di Maycomb era come dire due imbecilli.” – bella e schietta, questa Scout. Non te la manda mai a dire. Non so se poi si penta. A me spesso capita.
“… qualcuno aveva detto, di recente, alla gente di Maycomb, che non doveva temer nulla, tranne il timore…” – contando sempre su quanto ipotizzava quel filosofo giansenista, intuisco.
È ora di scena una donna finemente colorata: Calpurnia – la sapida domestica: “Angolosa, ossuta, era miope, strabica, e aveva le mani larghe come la traversa del letto e dure il doppio.”: due mezze vanghe, insomma. Ideale per fare la domestica di un avvocato con due figli orfani di mamma.
Scout adora il paparino: “… quando mi arrampicavo sulle sue ginocchia” – imparò a leggere. Mi fa specie la scenata che le fa l’insulsa sua maestra quando le dice che non deve imparare male a casa quel che può (e deve) imparare bene a scuola. Ho un po’ tradotto, ma il senso è quello.
Davanti alla casa dei Finch c’è quella (terrificante!, ma poi si vedrà cos’è realmente) dei Radley: una specie di tunnel dell’orrore! In cui è sconsigliato accedere se si vogliono evitare dei guai!
Dice Scout: “Se tutto l’anno scolastico era drammatico come il primo giorno, la cosa poteva anche esser divertente, pensai. Ma la prospettiva di dover stare nove mesi senza leggere e scrivere mi metteva voglia di scappare.” – anche per me era così; non tanto non poter leggere e scrivere, che furono due mali tardivi, quanto non poter rincorrere i propri vascorossiani guai. Libertà libertà, pure il pappagallo la deve provare (e qui traduco dal napoletano uno slogan che sentii in un film di Luciano De Crescenzo).
Cara Scout, allorché parli della volontà della docente di perseguire il “tentativo, lodevole ma vano, di insegnarmi la dinamica di gruppo.” – penso sempre che io e te, anzi: tu e me, siamo gemelli separati alla nascita. Tanto desiderosi di catene amorose quanto di gioiosa solitudine…
In quel periodo, “In una cavità del tronco…” trovi della strana roba: “… un foglio di stagnola che pareva mi ammiccasse…” (con della gomma da masticare) e, qualche tempo dopo, “… un pacchettino luccicante…” – messo in tasca da Jem (il quale è uno che ama distribuire “le parti”, un direttore dei giochi insomma; “… due figurine scolpite nel sapone. Una rappresentava un ragazzo, l’altra una bambina con un vestitino appena abbozzato.” – da un artista minimalista?; “… un pacchetto intero di gomme da masticare…”; “… una medaglia annerita…”; “… un orologio da tasca che non funzionava…”; “… del cemento…”: da cui si arguisce la fine delle trasmissioni!; qui un enorme gattone ci ha dapprima covato e poi ha smesso (inopitatamente) di farlo!
Dice la savia ma non essoterica Miss Maudie: “… Ci sono degli uomini… che si preoccupano tanto dell’altro mondo da non imparare mai a vivere in questo. Guarda quella casa e vedrai i risultati.” – alludendo a quella di quel “B… del signor Arthur…” – che è una specie di orco non si sa se e quanto orrido (o buono). Alla fine qualcosa verrà (nel vero senso della parola) alla luce…
Grazie a un attacco di paranoia, ho deciso d’inserire nel mio commento le frasi che contengono la parola “siepe”, sempre che non me ne sfugga qualcuna: “La siepe della scuola!” – “… ci arrampicammo sulla nostra siepe…” – (entrambi i suddetti casi ricorrono a pagina 85 de Il buio oltre la siepe).
Raccolgo un indizio che sta fra il sublime e l’orrido. Detto con altre parole, è arcano. Mentre i tre scavezzacollo tentano una ricerca intorno alla casa di Boo, cioè di Arthur, Jem perde le braghe, che rimangono impigliati da qualche parte. Quando le va a pigliare, scopre che sono state (malamente) aggiustate e appese: come se “… qualcuno sapesse che saresti tornato a riprenderli.” – le dici tu.
A pagina 115 de Il buio oltre la siepe c’è un dialogo fra te, Scout, e papà tuo, SuperAtticus, mi verrebbe da chiamarlo!) che è esemplare. Fin troppo esemplare: e m’inquieta un po’. Dice, papà tuo: “… se non lo facessi non potrei piú andar in giro a testa alta, non potrei rappresentare la contea nell’assemblea legislativa e non potrei nemmeno dire a te o a Jem: fa’ questo e non far quello.” – egli è un tipo che non ammette trasgressioni che non conducano al bene collettivo. Oh… mica è facile!
“Vieni giù dalla siepe…” – a pagina 117.
Non so perché riporto il dettaglio: “L’approdo dei Finch consisteva in trecentosessantasei scalini, giú per una roccia a picco, che terminavano in un molo.” – un gradino (‘na pèca, si dice in arşân) per ogni giorno di un anno bisesto…
Ma possibile che tutta l’esistenza sia una contrapposizione di forze antagoniste?
La greve e poco gustosa Zia Alexandra ti fa sempre un tot di prediche: “Come potevo sperare di diventare una vera signora se portavo i calzoni. Secondo lei avrei dovuto giocare con pentoline e tazzine da bambole, portare la collana che mi aveva regalato alla mia nascita e ogni anno aggiungerci una parla nuova, e inoltre…” – lascia perdere, Scouttina!, si vede che non sei destinata a seguire l’ottica di una borghesuccia come lei: stai tra’!
Grande Atticus!: “… passarono molti anni prima che mi rendessi conto che quella sera egli aveva voluto che udissi ogni parola che diceva” – sentendo che te ne stavi acquattata dietro il riparo.
Descrivi tuo padre come fisicamente un “debole: aveva quasi cinquant’anni.”
Occhio che: “… c’è la siepe…” – a pagina 141.
“Nulla è più desolante di una strada deserta, in attesa.” – metafisica, direi…
Jem “… gridò: ‘Atticus è un gentiluomo, tale e quale me!”.
Dice papà: “… ma prima di vivere con gli altri, bisogna che viva con me stesso: la coscienza è l’unica cosa che non debba conformarsi al volere della maggioranza.” – ti voterei, caro, se entrassi in politica, anche se non saresti mai eletto (almeno qui in Italia).
A partire da pagina 161 fino a pagina 168 de Il buio oltre la siepe insegni a tua figlia come si dovrebbe vivere, ma glisso su tutto. Odio i manuali! Quello che dici è tanto giusto e banale quanto poco accettato dai più.
L’onestà intellettuale è considerata un sintomo di follia.
Fra poco inizia la parte seconda de Il buio oltre la siepe. Sai che potrebbe dire qualcuno di ‘sti etici insegnamenti? Che trasformano gli uomini in fessi telecomandati. Il mio amico Tonino m’informa che a Tcrapani c’è il detto: tre volte buoni tre volte fessi. Purtroppo anche lui lo è diventato (non so se solo tre volte!). Anch’io…!
“A Maycomb, l’espressione ‘per un po’ di tempo,’ poteva significare da tre giorni a trent’anni.” – ad Amalfi è frequente l’uso (e l’abuso) dell’avverbio: aroppo! A Reggio: dicono: a breve! Tanto lo stesso spazio-tempo è un concetto assolutamente relativo (ossimoro)!
Scout, tu dici: “Era una menzogna, ma bisogna mentire in certe circostante e tutte le volte che non c’è alternativa.” – e c’è pure il principio caritativo (così garantiva Umberto Eco): dar ragione ai matti e ai caratteriali (prendendo le distanze al contempo).
A pagina 201 de Il buio oltre la siepe scrivi: “Le penne mi si arruffarono di nuovo.”
Povero Jem, che sorellina manesca che hai!: “Notai, non senza soddisfazione, che sulla bocca gli si vedeva ancora il segno delle mie nocche.”
C’è ora la cronaca di un processo a un povero negro (espressione razzistica?), che pare ricalchi quello di quei nove ragazzi Scootboro (un caso del 1931, mentre si è qui nell’“anno di grazia 1935”). Non riporto nulla perché mi reca troppa tristezza.
Mia madre, arşâna ‘d campàgna, diceva che I nîgher a gh ân al sângov ròss cme al nôster.
Tuo padre è l’avvocato difensore e i suoi interrogatori sono geniali, ma forse non basteranno. La disonestà intellettuale ha una marcia in più. A te, cara, papà Atticus “dava l’idea di uno che va a pesca di rane senza fanale.” – e il buio di quella società razzistica è tale che lì la luce è considerata assurda e peccaminosa. Mi fai sorridere quando dici che uno stratagemma da leguleio l’avevi “assorbito insieme al latte, nell’infanzia.” – due o tre giorni prima! La tua supponenza è deliziosa!
A pagina 287 Dill dimostra quanto sia un’anima sensibile: “dapprima piangeva in silenzio, poi parecchia gente della balconata lo udí singhiozzare.” – eh! Eh! Diventerai un immenso nano!
“… i negri intorno a noi sedevano o stavano in piedi con biblica pazienza.” – fedeli alla linea, mica come noi. Ho forse ex-agerato? L’atarassico Giobbe era d’etnia semita.
“‘Credo che farò il pagliaccio da grande’ annunciò Dill.” – e io riderò piangendo, mentre ti leggerò! Atticus accetta un vile oltraggio da quel truce! E poi dice: “Quindi, se sputandomi in faccia si è sfogato e Mayella si è risparmiata un altro fracco di botte, meglio cosí.” – e pensare che quei miserrimi sono i responsabili di quel futuro omicidio-suicidio! La legge diventa sopruso quando quel che conta è la tinta di un viso (e il luogo di nascita)! e quando chi ha i dati giusti si può permettere ogni sorta di nefandezza! Questo è l’uomo! Poche balle!
Secondo me, a pagina 325, confondi (o meglio la Scout di quel tempo confonde) il senso della frase “Due sorelle hanno sposato due fratelli.”
A pagina 330, in alto, ci sono quattro macchioline nocciola, forse di caffè. Una piccolissima anche in fondo a pagina 331. Il libro l’ho accattato usato nel 2016.
A pagina 331 de Il buio oltre la siepe Jem dice, tra l’altro: “… sai perché Boo Radley è rimasto chiuso in casa tutto questo tempo? Perché non vuole uscire.” – lo capisco: uscendo si rischia di essere soffocati dal tanfo…
Calpurnia (l’ho un po’ trascurata ma giuro che è una colonna portante del romanzo) dimostra a pagina 341 di essere “pratica di legge” – per forza, con un datore di lavoro come il suo!
A pagina 371 leggo: “… era buio pesto…” – e qualcuno ne approfitta per pestare Jem, spezzandogli quel gomito. A pagina 372 c’è scritto: “Non sapevo che fosse cosí buio” – era notte. E, tre righe sotto: “Qualcuno ci saltò addosso.” A pagina 383 c’è l’agnizione: “Sentii odore di whisky ordinario.” – quello che si beve la gentaglia? Qualcuno vi porta in salvo: “Si fermava ogni tanto, come chi porta un grosso peso. In quell’istante girava l’angolo. Portava Jem, e un braccio di Jem gli ciondolava davanti tutto storto.” – Jem si rimetterà presto, tra’!Ebbi un omero spezzato quando avevo sette anni e andò a posto in pochi mesi.
Paesino piccolino, ‘sto Maycomb, dove “la gente si riconosce dalla voce”. Leggo anche: “Conoscevo il passo del dottor Reynolds quanto quello di mio padre.”
Tralascio di dire chi è il vostro salvatore, che poi rivedete in casa; addirittura tu poi ti avventuri presso gli scalini che recano alla sua. È la fine di un mistero. La vita te ne riserverà altri, a bizzeffe!
Pagina 403: “Be’, sarebbe come uccidere un passero.” – la traduttrice non è voluta scendere nello specifico linneiano: del resto il mockingbird non ha mai svolazzato in Italia.
Chi era quel furfante che capiva meno di niente, e che quel niente lo fraintendeva?
Chi era quel mostro gigantesco che salvò i due ragazzini e poi rientrerò nel suo Limbo?
Chi era quello sventurato nero che fa quella fine che sappiamo (noi che abbiamo letto il romanzo)?
È Atticus troppo buono per fare qualsiasi mestiere umano, pur essendo un vero genio nel suo?
Ai posteri lettori tutte ‘ste ardue sentenze!
A pagina 406, sveli la banalità che avevo già intuito: chi era colui che metteva i doni nell’albero.
Una successiva frase ti intristisce un po’, perché ti fa sentire in colpa.
“Nell’andare a casa, pensai che Jem ed io saremmo cresciuti, ma che non ci erano rimaste molte cose da imparare, salvo forse l’algebra.” – la quale materia spalanca magari la mente, ma uno può campare anche se quella è appena socchiusa. Ognuno poi divarica quello che vuole e nella misura che gli va!
Morale della favola (sancita dal giurista Atticus): “Quasi tutti son simpatici, Scott, quando finalmente riescono a capire.” – questo è poco ma sicuro.
Dietro la siepe c’è talvolta il buio. L’importante è tenere una torcia in mano. E camminare senza correre, se non c’è luce. Non si sa mai chi s’incontra.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Harper Lee, Il buio oltre la siepe, Feltrinelli, 1963
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