“Il continente misterioso” di Emilio Salgari: un romanzo ambientato in Australia
Il continente misterioso di Emilio Salgari è stato da me abbordato e abbandonato immediatamente quando ero un ragazzino delle scuole medie. Il mondo della letteratura era quel continente dove sia mio padre che mia sorella trascorrevano le loro migliori vacanze. Dal canto mio, preferivo i fumetti di Capitan Miki e le partite di pallone con gli amici.

Per incentivare in me l’amore per la lettura, papà mi promise una bici nuova, qualora avessi letto tutti i 30 libri della serie Avventure di terra e di mare, scritti da questo eccelso scrittore, che non è che lo disprezzassi ma, semplicemente, non riusciva a prendermi più del desiderio di fare i fatti mie: appunto, giocare e leggere giornalini. Mio padre ci soffriva, ne ero certo. Decisi un bel dì d’accettare l’offerta, rendendolo momentaneamente felice. Arrivato al quindicesimo tomino, che è poi questo che ho appena concluso di leggere, mi recai da papà col libro in mano per dirgli che avevo pensato bene di andare a piedi tutta la vita, anche perché la bici che avevo allora era effettivamente troppo bassa per me. Papà fece un viso spiaciuto e non disse una parola. Qualche giorno dopo venne a casa con una bicicletta nuova fiammante. Felice come una Pasquetta, per nulla oppresso da sensi di colpa, la usai per tutto quel fine settimana, anche la domenica, per andare a messa con papà e con mia sorella da don Gaetano, in via Ramazzini, chiesa chiusa da millenni ormai. Quando uscii, papà e sorella montarono sulle loro bici, io no. Me l’avevano rubata. Una signora disse che effettivamente le era parso strano che quel signore anziano uscisse dal cortile interno della chiesetta tenendo a mano una bici da ragazzo. Quel lestofante cambiò la mia vita… Dentro di me forse qualche piccolo rimorso stava covando dentro di me, non so. Fatto è che due o tre anni dopo cominciai a leggere alcuni libri. Mi ricordo questo titolo: I fiumi scendevano a oriente di Leonard Clark, ambientato nelle foreste del Perù, che tanto m’appassionò. L’ho citato recentemente in una mia reazione al saggio Massa e potere di Elias Canetti.
Chissà chi era quell’anziano ladruncolo?! In fondo gli devo tanto e dovrei volergli bene. Ma non riesco… Probabilmente sarà anche morto. In tal caso, riposi in pace! Papà mi comprò poi una bici di seconda mano, un po’ alta per me, ma riuscivo a usarla lo stesso. Non ricordo che fine abbia fatto.
Non sono certo del motivo per cui, dopo tanti anni, ho deciso di leggere Il continente misterioso di Emilio Salgari, ‘sto romanzo di avventure ambientato in Australia. Lo ripeto: la lettura e la scrittura sono dei continenti misteriosi.
È stato per me un piacere incontrare dopo tanti anni il duo non di Piadena ma di Asunción, i marinai Diego e Cardozo, già protagonisti de Il tesoro del presidente del Paraguay… È una balla, non me li ricordavo affatto, il titolo sì, ma poco altro… Mi pare non mi fosse dispiaciuto, senza però esaltarmi (si fa per dire) come avevano fatto le avventure di Tremal Naik (non so perché, era il mio eroe preferito), Kammamuri, Tigri e Corsari vari, che erano diventati dei personaggi a me familiari.
Mi pare che quei due avventurosi usassero viaggiare su un pallone aerostatico. Il fatto mi viene confermato dalla copertina del libro (che da anni giace, lievemente assopito, su quello che in famiglia tutti conoscono come il mobile di Onorio, il regalo di nozze del mio amico. Anche una ricerca online conferma il dato: sto parlando della mongolfiera. Non mi si chiedano ulteriori dettagli, ché non li ricordo. Passiamo ora a questo romanzo Il continente misterioso di Emilio Salgari.
Mi butto ora sul libro. A pagina 5 scopro che gli aborigeni imparano le varie lingue “con la maggiore facilità.” – chissà come l’hai scoperto, Emilio, standotene tutto quel tempo a Torino e a Verona…? Te lo sei inventato?
Questo “Coco” – che dice a uno dei due: “Eccovi, sir…” – tu lo definisci “Un negro orribile…”, e poi scendi nei particolari, accennando ai suoi “capelli lunghi, arricciati, unti di uno strato di grasso, la fronte depressa, gli occhi neri e brillanti, una bocca da coccodrillo, il ventre sporgente, le estremità delle membra di una gracilità spaventosa e le gambe mancanti dei polpacci.” – poi, per il resto, non gli mancava niente… Di certo non pecchi nelle descrizioni, amico mio ritrovato per caso, grazie anche a Onorio e al suo mobiletto.
A pagina 6 de Il continente misterioso descrivi i due paraguaiani, non mancando di far riferimento al precedente tuo romanzo. Non riporto la loro descrizione non perché non sia interessante, ma… boh… non so perché. Forse perché mi è bastata quella di Coco. Che poi scopro che si chiama in realtà “Niro-Warranga” – Coco è quello che in arşan chiamiamo scutmâi, scangia-nome in napoletano, nickname in inglese, apodo in spagnolo… in aborigeno il termine mi manca…
Una frase deprecabile: “Mentre il brutto selvaggio dalla testa di scimpanzé portava la bottiglia e le tazze, il dottore e i due marinai sedevano dietro il tronco dell’albero, unico posto dove si poteva godere un po’ d’ombra.” – e questo è un dato essenziale per la mia avventurosa figliola: difficilmente ti beccherai il raffreddore in quelle torride lande. Per par condicio non riporto nulla della descrizione di questo dottore, che una certa importanza riveste nel romanzo. Per tali evenienze, meglio di Emilio ci sei solo tu, Salgari. Mi sa che ogni tanto m’avvicinerò al mobiletto del mio amico getunêr (e perché chiami così Onorio è ancora tutt’un’altra storia, che un giorno forse narrerò) e staccherò un ulteriore petalo della tua corolla, Emilio, all’interno del calice pancaniano (termine che fa riferimento al cognome del mio caro solidale).
A parte il fatto che non sono favorevole alla caccia, pur giudicandola un’attività legittima in questo losco pianeta, ammiro il modo con cui Niro-Warranga (il quale, da ora, per me e per i miei ipotetici lettori, sarà Niro) sa usare il boomerang. Grazie a esso, Niro “fracassò le gambe anteriori del kanguro e ritornò nuovamente al suo proprietario” – help! Kangaroo! Non capisco! I don’t understand! No comprendo! (e ancora non conosco la variante aborigenese): ma com’ha fatto a tornare ai piedi di Niro se ha colpito il bersaglio? È forse telecomandato, tipo drone? Mo mah! Secondo me, talvolta, Emilio eccedi in ottimismo!
“L’Australia è, si può dire, la vera terra del brigantaggio.” – forse perché è stata invasa da forzati spediti in quelle lande per traferire colà il fardello dell’uomo bianco, di cui cianciava Rudyard Kipling? Non conosco dati storici a riguardo, caro professor Luigi Iroso, mi dispiace. Tu del resto sei esperto di brigantaggio d’etnia borbone.
Qualche pagine dopo qualcosa si chiarisce: “All’epoca della scoperta dell’oro, i briganti divennero così numerosi da costituire un vero pericolo: si radunavano in grandi bande sulle strade maestre e attendevano il ritorno dei minatori per derubarli dei loro panieri di arance, espressione questa che significa la loro provvista di pepite, ossia di pezzi d’oro.” – grazie Emilio, sia per la metafora, sia perché mi hai chiarito un fatto banale: è l’oro che scopre l’uomo di tutte le sue parvenze d’umanità, più che il contrario. La sua essenza bestiale, da animale predatore, si ridesta ogni volta che gli sembra opportuno: homo homini picae!
Alle pagine 41 e 42 de Il continente misterioso è narrata la storia più mortalmente esilarante dell’intero romanzo! La si legga!
Colgo a pagina 45 un complimento non necessariamente a sfondo razzista: “… Gli australiani sono abili arrampicatori, tali da dare dei punti alle scimmie.” – anch’io, da ragazzino, con un certo Carlo, amavo salire sui ciliegi e sui fichi (nel secondo caso sfruttando un po’ il tetto di un garage). Quando lessi Il barone rampante di Italo Calvino, mi sentii in dovere di dire a me stesso: Cosimo Piovasco c’est moi! Ed ecco un’altra similitudine fra il sottoscritto e quei bravi (si fa per dire) selvaggi: siamo dei grandissimi ingordi! Con la differenza che io sono mirato ad alcuni dolci e pietanze, mentre loro non se lo possono permettere: “… Nascono affamati e muoiono affamati…” – quando mangiano, un occhio non vede quell’altro, come dicono ad Amalfi.
A pagina 56 de Il continente misterioso, Emilio caro, ti produci nella tua solita esibizione di etnologia comparata: fra “Indiani dell’America boreale”, “Polinesiani”, “Indostani”, “Giapponesi”, “isolani di Tonga o delle isole della Società”, “abitanti dell’isola di S. Lorenzo, nel Grande Oceano”, “isolani delle Filippine”, “Africani” tout court, “Fuegiani della Terra del Fuoco”, “quelli di Socotra, nel golfo Arabico”, “Cinesi”, “indiani della Luisiana”, e poi passi improvvisamente al singolare, allorché tratti de “l’Europeo” e de “l’Orientale” – perché?
L’argomento è per tutti lo stesso: il saluto di cortesia fra le comunità umane.
“– Chi sono quelle scimmie? – chiese il mastro.
– Le bellezze australiane – rispose il dottore ridendo.
– Ohibò, come son brutte!…
– Lo diventano a causa delle fatiche che sopportano, della fame che soffrono e dei maltrattamenti che subiscono. Sono le creature più disgraziate che vivono sulla superficie del globo…”
Okay, ma questo non lo puoi dire (e qualche dubbio ti verrà in mente quel tragico 25 aprile 1911, quando decollasti verso Dove Sai Tu, avendo assunto una decisione non dissimile da quella che piglierà Yukio Mishima il 25 novembre 1970. Il tuo orribile gesto esige il mio rispetto!
Tornando ai due marinai, a pagina 70, essi cominciano a diffidare di Niro. Per svariate decine di pagine, m’auguravo che si sbagliassero. A me quel cane da tartufi (chiedo scusa per la metafora) era parso civilizzato: probabilmente fu questo il vero problema.
D’ora in poi la tua narrazione inizia a dolermi. Una domanda, caro, cos’è un “buftalmio” – un animale boschivo, a quanto mi pare di capire leggendo pagina 110 de Il continente misterioso, ma non capisco di che classe, famiglia, ordine…
A pagina 119 ti produci nelle tue consuete descrizioni delle bruttezze fisiche di ‘sti ometti che per millenni solcarono indisturbati ‘ste aride terre. Eppure sia tu che io non siamo degli Alain Delon! Cerco la tua immagine nel web. Sì, sei come ti ricordavo. Mi fai tanta tenerezza.
A pagina 121 “Il discorso s’impegnò fra i due marinai e il selvaggio, che pareva di buon umore e in fondo un buon diavolo, ma che faticosa conversazione in principio! Fortunatamente l’australiano conosceva alcune parole inglesi, avendo avuto dei frequenti rapporti con i coloni stabiliti sulle coste orientali e poterono comprendersi con minor difficoltà.” – riescono a comunicare solo grazie alla scienza di quello scimmione brutto. Poi i due marinai fecero quasi “scoppiare” di cibo lui e la sua tenera famigliola!
Si parla ora dell’uomo, dei suoi immondi conflitti, e io in questi casi tento ogni volta di astenermi dal commento. Né con lo stato né con le Brigate Rosse!, diceva uno slogan che fu attribuito a Leonardo Sciascia (ma ci sono dei fondati dubbi che sia suo).

Io dico Né con i paraguayani né con gli australoidi: sono gli uni peggio degli altri, tante bestie bramose di uccidere il prossimo per difendere i propri interessi, offendendo gli altrui.
Dice Niro (che io reputavo innocente come un agnellino e ingiustamente sospettato): “… Gli uomini bianchi mi hanno risvegliato l’ambizione: voglio diventare un grande capo, sottoporre al mio dominio tutte le tribù dell’interno e forse un giorno, scendere verso sud e saccheggiare le città della costa o delle frontiere. Io odio la vostra razza: questa è la terra dei negri e ai negri ritornerà.” – L’Italia agli italiani!, suole ancora tuonare qualche demagogo…
“… anzi, Cardozo, raddoppiò la colazione unendovi una nidiata di piccoli struzzi, che aveva scoperti dentro il tronco di un albero.” – graziando l’angosciata madre solo per non “allarmare i selvaggi del campo e farli accorrere sul luogo.” – ¡Qué hombre tan cruel!
A pagina 147, l’amico dice a Cardozo: “– Guarda quell’impiccato!…”.
Per punire l’omicidio l’uomo usa una medicina omeopatica: ammazza l’uccisore. Chi farà fuori lui? Prima o poi qualcuno o qualcosa si occuperà della fatale sentenza. Allegria!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Emilio Salgari, Il continente misterioso, Le edizioni del Gabbiano, 1966