Intervista a Beatrice Benet: vi presentiamo “La partigiana. Una storia sulla Repubblica libera della Carnia”
“Si era persa, tutta presa a cancellare le sue tracce, aveva dimenticato completamente di cercare i riferimenti che le erano stati dati e così adesso veramente vagava alla cieca su una montagna della Carnia che non conosceva assolutamente. Tutta la zona le era sconosciuta, l’aveva solo studiata sulla cartina geografica insieme al Toni, quando era stato deciso che doveva raggiungere lei Vento e gli altri della brigata perché le sarebbe stato più facile passare attraverso i controlli.” ‒ tratto da “La partigiana”

“La partigiana. Una storia sulla Repubblica libera della Carnia” di Beatrice Benet, sin dall’incipit, rapisce il lettore con quel “Il fiato le si gelava in gola mentre con passo svelto continuava a salire lungo un sentiero che neppure vedeva, un po’ perché coperto di neve, un po’ perché soltanto tracciato, più adatto alle capre che a qualcuno in fuga.”.
Si scoprono sin da subito le carte, c’è un sentiero sconosciuto che si sta percorrendo, è inverno e la protagonista è in fuga. In fuga da cosa? Da chi?
Il titolo non lascia dubbi, il periodo storico è quello della Seconda guerra mondiale e la donna che sale sulla montagna è una partigiana, ma perché è sola, ci si chiede? Le domande scorrono veloci nella mente ma gli occhi hanno già letto la seconda pagina e sono in procinto di iniziare la terza.
In una recente recensione del libro, Carolina Colombi ha scritto: “Sviluppato con un registro di scrittura sciolto e accattivante, La partigiana è romanzo che affonda le sue radici in storie di vita vera.” Poche parole che descrivono in modo preciso il volume, una scrittura accattivante che presenta in modo crudo e vivo gli eventi lasciando spazio anche alla tenerezza.
Senza nulla togliere alle precedenti pubblicazioni dell’autrice che ho potuto leggere durante gli anni, con “La partigiana” c’è stato un salto evolutivo nella capacità di narrazione, così come ci si aspetta da una scrittrice umile e schietta, che sa dosare gli istanti così da renderli memorabili, come si può notare dall’incipit sopracitato: “Il fiato le si gelava in gola…”
Per scoprire qualche tessera del puzzle vi lascio alla lettura della seguente intervista.
A.M.: Cara Beatrice, finalmente ci incontriamo per presentare ai lettori la tua pubblicazione “La partigiana”. Quando hai iniziato a scrivere il primo dei racconti presenti nel volume?
Beatrice Benet: Alessia è sempre un piacere parlare con te e non solo dei miei libri! Questo libro ho cominciato a scriverlo qualche anno fa perché volevo raccontare una storia che parlasse di ideali e passioni. In un mondo che sta diventando sempre più distopico, dove l’apparire è molto più importante dell’essere, dove avere gli abiti firmati conta più di avere qualcosa di importante da raccontare, volevo fare un salto indietro nel tempo quando amare la propria Terra e volerla libera era un ideale da perseguire anche a costo della vita, quando amare una persona era quasi una magia.
A.M.: Il primo racconto omonimo del titolo del libro vede come protagonista Marta, una giovanissima neo partigiana, che decide di “arruolarsi” nella montagne della Carnia. Riesci a scindere in percentuale ciò che hai inventato come autrice da ciò che si narra nella zona di Udine?
Beatrice Benet: Come spesso fanno gli scrittori ho trovato, fra i miei ricordi, storie di quel periodo storico che volevo trattare, anche se non da storica, volevo creare un romanzo che potesse avere come ambientazione qualunque luogo dove ci fosse stata la Resistenza, ambientandolo però in un posto che amo. Mi sono tornati in mente i racconti sentiti da adolescente quando mi trovavo ogni giorno con i miei amici in viale Duodo, a Udine, nella sede del PCI. Avevamo una stanza dove potevamo riunirci per parlare, ascoltare musica con i mangiadischi di cui tu non puoi avere memoria, era un posto dove nascevano e finivano amori giovanili e dove ci preparavamo ad affrontare la vita. Quando eravamo troppo rumorosi oppure quando gli “anziani” (probabilmente più giovani di me oggi) avevano tempo, venivano da noi a spiegarci molte cose e a raccontarci della Resistenza. Nel mio cuore c’è la Rosina (con l’articolo come si usa in Friuli) nome da partigiana Giulia. Quando ci ha raccontato della sua liberazione dal lager di Buchenwald da parte dell’Armata Rossa ricordo ancora la commozione di tutti noi soprattutto per una storia che la riguardava personalmente e che poi ho trasformato in un racconto.
Ho voluto pertanto parlare della mia terra di origine, il Friuli, alla quale sono sempre molto legata nonostante ci viva lontano da anni, della Carnia in modo particolare perché è lì che si è formata la prima repubblica libera, durata pochi mesi ma molto significativi, raccontando la vita di questa brigata di partigiani anche dal punto di vista umano, dei loro rapporti coi residenti, della voglia di vivere e di amare di questi giovani.
A.M.: Non solo una storia di guerra e morte, ne “La partigiana” troviamo una duplice storia d’amore: quella tra un uomo ed una donna e quella di una parte del popolo verso la Patria. Chi è Vento?
Beatrice Benet: Vento simboleggia quello che per me è il vero eroe e cioè l’uomo comune con un grande mondo interiore. Un mondo dove si intrecciano passioni e timori, dove il bene comune, in determinate situazioni, prevale sul benessere personale. È quella persona che, nonostante le difficoltà e gli orrori, in questo caso della guerra, che deve affrontare riesce a non perdere la sua umanità e la sua capacità di amare. Vento, come nome di battaglia mi è venuto in mente perché il vento ha quella capacità di portare via le nuvole e far tornare il sereno, ma è anche capace di colpire duramente, di piegare gli alberi o scoperchiare i tetti. E il mio Vento, nonostante la giovane età, ha queste capacità con le quali tiene unito il gruppo di compagni che condividono i suoi ideali e i suoi intenti. Forte nel corpo, temprato dagli eventi e nello stesso tempo con un animo colmo di entusiasmi giovanili e forti sentimenti. Questa sua capacità di ascolto, comprensione e sincera compassione lo fa amare ed aiutare anche dagli abitanti del paese rendendo così un po’ meno gravosa la vita di questo gruppo di partigiani.
A.M.: Nel secondo racconto “Ultima fermata, io scendo” ci catapultiamo un’altra storia d’amore completamente diversa dalla prima non solo per l’ambientazione storica ma per le modalità di incontro. Devo farti una domanda privata: è una tua esperienza personale quella di cui hai narrato oppure racconti la storia di una tua amica?
Beatrice Benet: Hai ragione, nel secondo racconto cambia periodo storico, ambientazione e anche modo di parlare. Siamo alla fine degli anni 70 più o meno, in un periodo che io amo molto e non solo perché mi ricorda la mia età giovanile, ma perché era un periodo molto ricco sotto tanti punti di vista, culturali, affettivi, di impegno sociale. Un modo di vivere che mi manca molto perché lo ritengo ancora oggi più in sintonia con il mio modo di essere. Era un mondo di grandi passioni in tutti i campi.
Come ben sai in ogni scritto c’è sempre qualcosa dell’autore, ma rimane nel modo di raccontare la storia. Io ho sempre ascoltato e fatto tesoro delle esperienze delle persone con cui ho incrociato la mia vita e da questa raccolta di storie traggo gli spunti per scrivere un racconto. Quindi non è una mia esperienza personale e neppure la storia di un’amica. Forse è l’insieme della storia mia e di tante amiche.
A.M.: Perché hai scelto di pubblicare due racconti lunghi nello stesso libro?
Beatrice Benet: Una domanda difficile perché la scelta l’ho fatta seguendo l’istinto. Mi sembrava che in un qualche modo fossero legati fra loro. Due donne e due storie d’amore, storie vissute in tempi diversi e con esiti diversi. Entrambe molto intense. Adesso mi verrebbe da riprendere in mano il libro per creare un legame fra le due protagoniste perché un filo conduttore fra loro io lo sento, quasi fossero madre e figlia, ma credo che il legame sia solo nella capacità di entrambe di sentire profondamente e vivere fino in fondo i propri sentimenti.
Ma c’è un terzo racconto breve che ho voluto, come sai, in questa raccolta ed è quello scritto da mia nipote Marta Beatrice De Lucia, intitolato “Sui monti per la libertà”, sulle giovani donne curde che hanno difeso Kobane e combattuto l’ISIS con grande coraggio. Un breve lavoro, ma quando lo ha scritto Marta aveva solo 15 anni e io trovo che sia stata molto matura anche nella scelta dell’argomento con il quale ha parlato di libertà e di amore, in questo caso per la propria Terra.
A.M.: C’è in giro una voce secondo la quale un regista italiano si sia mostrato interessato ad una versione cinematografica per una mini serie televisiva del racconto “La partigiana”. Sono solo voci? Puoi confermare oppure non puoi ancora svelare nulla?
Beatrice Benet: Le voci girano, secondo me, con troppa velocità! Ma io sarò impenetrabile, quindi non intendo né smentire né confermare quello che hai sentito. Vedremo in seguito cosa succederà.

A.M.: Visto che ci vuoi lasciare in sospeso, facciamo un gioco di immaginazione: quale attore e quale attrice sarebbero per te adatti ai ruoli di Marta e Vento?
Beatrice Benet: Così tanto per giocare, chiaramente… Mi è capitato di leggere un articolo molto interessante su un giovane attore pescarese, Andrea Arcangeli, e quando ho visto la fotografia ho pensato che lui sarebbe adattissimo al ruolo di Vento per la presenza, i capelli un po’ lunghi, lo sguardo profondo. Insomma risponde all’immagine che io avevo mentre scrivevo. Per Marta invece non saprei dirti, ma tanto stiamo sempre giocando, no?
A.M.: Recentemente è stato pubblicato un altro libro in edizione bilingue “Oltre il muro Gaza ‒ Beyond the Wall Gaza”, con prefazione di Moni Ovadia, nel quale è presente una selezione di fotografie del palestinese Shadi AlQarra accompagnate da tuoi scritti e da citazioni di persone che hanno provato a cambiare il mondo. Chi è Shadi AlQarra?
Beatrice Benet: Shadi AlQarra è un fotografo di Gaza. Una persona speciale dall’anima gentile che emerge proprio dalle sue fotografie. Spesso lui parla attraverso le immagini con le quali esprime quello che non riesce a dire a parole. Ci siamo conosciuti anni fa proprio per una fotografia che avevo visto su un social e sulla quale avevo fatto un commento. Ricordo che rispecchiava proprio lo stato d’animo burrascoso di quel momento. Parafrasando posso dire che “galeotta fu la fotografia” perché si è creata subito una bella sintonia e una grande confidenza che mi ha fatto diventare parte della sua famiglia. Una famiglia veramente molto bella con quattro bambini che ho seguito nelle loro vicende scolastiche e di vita. Una vita sicuramente non facile in quella Terra dove sembra di essere in una grande prigione a cielo aperto che mi ha sempre ricordato il film “Fuga da New York” e dove ci si accontenta anche di poco, ma una vita ricca dal punto di vista affettivo. E sono diventata la zia Bea a cui si può telefonare per raccontare di un successo scolastico o della punizione presa per qualche marachella. Poi è iniziata questa guerra e tutto è cambiato. Della casa col giardino, orgoglio di Shadi per gli alberi da frutto e l’orto che coltivavano, è rimasta in piedi una stanza dove sono tornati perché, come dice lui “se devo morire lo voglio fare a casa mia e non in una tendopoli”, la mancanza di cibo e acqua potabile ha fatto ammalare più volte i bambini, i continui bombardamenti hanno chiaramente creato uno stato di stress che porta i bambini a parlare nel sonno, a piangere più spesso e a farmi chiedere, ogni volta che riusciamo a collegarci, quando li andrò a prendere.
Questo libro abbiamo deciso di scriverlo l’anno scorso, con l’intento di parlare di Gaza raccontando senza animosità la vita in questa Striscia, facendo vedere quanto è bella, quanto bella e operosa è la gente che ci vive. Adesso oltre che a tenere alta l’attenzione su questa tragedia il libro servirà anche a raccogliere fondi per Shadi e per la sua famiglia. Ma, sai Alessia, dopo che ha visto le pagine che gli ho inviato, Shadi si è rianimato. Mi ha detto di aver passato le notti insonni felice e orgoglioso del nostro lavoro ma anche animato dal desiderio di ricomprare in qualche modo la sua attrezzatura andata distrutta per ricominciare a raccontare a modo suo quello che vede intorno a sé. Un ritorno alla vita.
A.M.: Ci saranno presentazioni dei due libri nei restanti mesi del 2024?
Beatrice Benet: Sì, alcune sono già in calendario, per altre le date sono ancora da definire. Ma sul mio profilo Facebook sarà mia cura rendere note le date e i luoghi in cui avverranno. A Roma ho già fatto due presentazioni de “La Partigiana” e a breve dovrebbe essercene un’altra. Poi andrò a Tarvisio anche perché il libro è ambientato proprio nella mia terra di origine, il Friuli, come tributo a questi luoghi che sono stati così significativi durante la guerra di liberazione. Per “Oltre il muro Gaza” sto prendendo accordi.
A.M.: Ed invece per il 2025? Puoi anticiparci qualcosa?
Beatrice Benet: Dunque, io ho iniziato un nuovo romanzo, ma prima vorrei occuparmi della riedizione del mio primo libro pubblicato nel 2006 dove racconto quattro storie di donne di età diverse, storie ambientate in epoche e luoghi diversi. Avrà nuovo editing, nuova copertina, nuovo inserto quindi sarà una edizione aggiornatissima e non una semplice ristampa. Una novità editoriale che sarà disponibile a breve sarà una mia raccolta di racconti pubblicata nell’antologia al femminile “Poetesse e scrittrici d’Italia” (Tomarchio editore).
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Beatrice Benet: Abbiamo parlato di ideali e libertà e mi è venuta in mente una definizione di Sepulveda contenuta in “L’ombra di quel che eravamo” che dice questo: “La libertà è uno stato di grazia e si è liberi solo mentre si lotta per conquistarla.”
A.M.: Beatrice, ti ringrazio per la tua disponibilità e per la tua lotta continua per la libertà che manifesti attraverso i tuoi libri ma non solo. Invito i lettori a cercarti su Facebook per prenotare una copia di entrambi i libri, “La Partigiana” e “Oltre il muro Gaza” e ti saluto con le parole di Virginia Woolf: “Non c’è cancello, nessuna serratura, nessun bullone che potete regolare sulla libertà della mia mente.”
Written by Alessia Mocci
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Leggi la recensione di Carolina Colombi
Leggi la prefazione di Moni Ovadia del libro “Oltre il muro Gaza”