“L’inizio della filosofia occidentale” di Martin Heidegger: Anassimandro e Parmenide
“La legge della filosofia. La filosofia ha la sua propria legge. Come noi ci rapportiamo a questo fatto dipende solo da noi. Possiamo aprirci a esso e soffermarci in esso ‒ ma possiamo anche restarne esclusi. Come sempre, del resto.” ‒ Martin Heidegger
La citazione è tratta dalla Conclusione del saggio “L’inizio della filosofia occidentale” (Adelphi, 2022) nella quale Martin Heidegger (26 settembre 1889 ‒ 26 maggio 1976) riassume, in poche righe, la necessità odierna di portare avanti la domanda iniziale perché “essa si erge contro la massa di chiacchiere e scribacchiature che riempiono volumi su volumi di tutti i dotti del nostro tempo” e ha una sua propria legge: quella di escludere chi non sa aprirsi al domandare.
“L’inizio della filosofia occidentale” è un corso universitario tenuto dal filosofo tedesco nel semestre estivo del 1932 sui due σοφοί greci Anassimandro (Mileto, 610 a.C. circa – 546 a.C. circa) e Parmenide (Elea, 515 a.C./544 a.C. a.C. – 450 a.C.). Per entrambi, Heidegger, partendo dai pochi versi rimasti nella tradizione lavora con entusiasmo nel cercare una luce nuova nella traduzione di parole fondamentali alla ricerca del senso che i due sapienti volevano trasmettere ai contemporanei ed a noi “del futuro”.
Il saggio è suddiviso in Avvertenza del curatore dell’edizione italiana che porta la firma di Giovanni Gurisatti; tre parti centrali intitolate Il detto di Anassimandro di Mileto VI-V secolo, Considerazione intermedia e Il poema didascalico di Parmenide di Elea VI-V secolo; la già citata Conclusione; un appendice con Abbozzi e annotazioni relativi al corso; chiude la Nota del Curatore dell’edizione tedesca che porta la firma di Peter Trawny.
L’interesse di Martin Heidegger per i sapienti antichi, non solo Anassimandro e Parmenide ma anche Eraclito, diventa, negli anni successivi al corso universitario tenuto presso la Albert-Ludwigs-Universitat di Friburgo, quasi un rapporto ossessivo. La chiave sta nella supposizione secondo la quale con Platone ci sia stata una trasformazione degenerativa dell’ἀλήθεια, propriamente della disvelatezza, anche se da un lato riconosce la connessione con la nozione di verità.
Ne “Contributi alla filosofia. Sull’evento” (Adelphi, 2007) si legge: “[…] il più grande evento è sempre l’inizio […] Perché l’inizio è ciò che è velato, l’origine ancora inviolata e intatta che sempre sottraendosi precorre con il più ampio anticipo e custodisce così in sé il dominio supremo […] Il pensiero iniziale, in quanto confronto tra il primo inizio ancora riguardare e l’altro inizio da dispiegare, è per questa ragione necessario; e in questa necessarietà esso costringe alla meditazione più ampia e più acuta e più costante, e impedisce ogni fuga dinanzi alle decisioni e ogni scappatoia. Il pensiero iniziale ha la sembianza della totale marginalità e dell’inutile. E tuttavia, se proprio si vuole pensare a un’utilità, che cosa è più utile della salvezza nell’essere?”. Giovanni Gurisatti riportando questa citazione ne definisce il modo “tanto lapidario quanto esoterico” riuscendo a descrivere pienamente l’esperienza della necessità della domanda iniziale che può a prima vista sembrare marginale ma che ha in sé la salvezza. Non è forse dal margine che si arriva al centro? E questo movimento non è forse un processo esoterico?
Non è certamente possibile riassumere, in un articolo, le parti salienti del saggio “L’inizio della filosofia” perché, pur basando il discorso sulla domanda iniziale dell’Essere, Heidegger si muove in pregevoli osservazioni su vari termini e solo operando nella lettura integrale del testo si potrà avere il beneficio di crescita della capacità di “fare domande”.
Su Anassimandro si può anticipare l’interesse verso l’apparire che oscilla in “contrastante cedersi reciprocamente il passo di provenienza e scomparsa” in accordo e disaccordo (δίκη και ἀδικία): “tutto il non-manifesto è o qualcosa che rimane ancora scomparso, oppure qualcosa che è di nuovo scomparso.”
Su Parmenide è interessante la descrizione delle quattro possibili vie (così riepilogate da Giovanni Gurisatti): “la prima via, quella della verità ‒ che è eccellente e corre in disparte dal sentiero percorso dalla folla ‒ è quella che domanda dell’essere, e va senz’altro intrapresa; la seconda via è quella che porta al nulla, è impraticabile, ed è assolutamente da sconsigliarsi; la terza via è quella della opinione comune e della δόξα (della γλῶσσα come chiacchiera), battuta dagli uomini comuni che, non possedendo il λόγος come κρίνειν, sapere critico, autentico, essenziale, vagabondano nell’erranza… sono costantemente nell’errore, senza mai uscirne. […] v’è una quarta via che è quella, si potrebbe dire, della conversione, per cui il sapiente, pur percorrendo la via della δόξα, sa anche abbandonarla con coerente risolutezza per intraprendere la via della ἀλήθεια, ma non per questo la tiene meno presente.”
È basilare leggere “L’inizio della filosofia occidentale” di Heidegger?
Beh, se sei arrivato a leggere sino a qui c’è una sola spiegazione: provi curiosità sull’argomento. Magari non riesci a capirne il motivo, magari ti stai chiedendo: ma quanto è difficile questo libro? Posso risponderti: è una lettura complessa, come qualsiasi libro di Heidegger o di qualsiasi altro filosofo che ha provato a “spiegare” il mondo antico, ma farne esperienza di lettura (malgrado inizialmente sia di oscura comprensione) è l’unico sentiero percorribile.
Per spezzare una lancia nei confronti della complessità di Heidegger: mesi fa non sono riuscita ad andare oltre pagina 55 del volume “Metafisica concreta” (Adelphi, 2023) di Massimo Cacciari e, presa da sconforto, decisi di consolarmi proprio con “L’inizio della filosofia occidentale” che, invece, ho letto con partecipazione ed entusiasmo. Il discorso con “Metafisica concreta” è stato semplicemente posticipato di qualche anno con l’augurio di riuscire nella bramata impresa.
Così sento di consigliare: aprite i libri, non fermatevi alle facili video conferenze (webinar e tutti quei termini che promettono “velocità” di acquisizione di “conoscenza” davanti ad uno schermo). Leggere ed ascoltare sono esperienze completamente diverse: leggere non è ascoltare ed ascoltare non è leggere. Nell’ascolto si è passivi, nella lettura si è attivi. E se ritenete di scarsa importanza questa sostanziale differenza potreste essere non adatti al raffronto con Martin Heidegger. potrebbe esserci in voi un problemino da risolvere.
“È superfluo che dica che non ritengo affatto che le mie interpretazioni siano prive di errori, e che conosco bene i passaggi effettivamente dubbi dei miei tentativi. Per dirla in breve: non prestate anzitutto attenzione ai mezzi e ai metodi della nostra interpretazione, bensì a ciò che per loro tramite vi trovate di fronte.” ‒ Martin Heidegger
Written by Alessia Mocci
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