“Lasciate che vi parli di foglie” di Stefano Sturloni: andare al di là dell’apparenza

Lasciate che vi parli di foglie di Stefano Sturloni, lo ammetto senza falsi timori o vergogne, m’ha sverginato e reso consapevole della mia crassa e belluina ignoranza.

Lasciate che vi parli di foglie di Stefano Sturloni
Lasciate che vi parli di foglie di Stefano Sturloni

Della mia infanzia ricordo il detto lubrico Foja foja ch am vîn vòja – foglia foglia che mi vien voglia – e l’espressione andêr ai vèird, andare ai verdi, isolandosi, sogghignando, in compagnia di una persona appassionata (almeno in quel breve istante). Allorché, insieme a un amico che in genere latitava nella collaborazione, coltivavo l’orticello di casa, a me toccava falciare l’erba l’alta e poi zappare e vangare. Nello stroncare le meste gramigne, mi dicevo (dicevo loro, anzi): mi dispiace, ragazze, ma sappiate che voi ci sarete ancora quando non ci sarò più io!

La foglia, quest’anonima sconosciuta, così celebrata dall’arte! Si pensi a Le foglie morte di Jacques Prévert, che sento che dovrei finalmente leggere. Ma anche a Foglie d’erba di Walt Whitman, che sento che dovrei finalmente rileggere.

Scrive l’autore, a pagina 18 de Lasciate che vi parli di foglie: “Il problema è che ci vuole occhio per andare al di là dell’apparenza, del presunto, di un…” – no, qui tronco (termine ad hoc), ché non è affatto facile seguire Stefano Sturloni nei suoi chilometrici peregrinaggi…

“… all’esplorazione dei nostri ambienti quotidiani, i più comuni, un viaggio di foglia in foglia, alla scoperta di una ricchezza troppo spesso…” – va bene, m’hai convinto. Via ch’andòm!

“E naturalmente ci lasceremo tentare dal racconto e dalle divagazioni, capaci di speziare lo sguardo di richiami.” – d’accordo, tu spezi e io poi spazio

“… le strategie singolari che questi vegetali devono mettere in campo per conquistare spazi, per sopravvivere…” – a quella sorta di turpe Attila che ero io, armato di una funebre falce.

“Esercitiamoci a connettere bellezza e funzione…” – se vuoi io collaboro più nella seconda che hai detto.

“Espansione e contrazione” – il tema centrale (e periferico) di ‘sto controverso Kósmos, così ordinatamente entropico: “È così che la materia genera le parti di un insieme, conferendo a una comunanza d’organi lo statuto di organismo.” – ok, così non mi dispiace…

Ogni tanto, Stefano, ti scappa la metafora: “… e dove? In una specie di bar vegetale definito ‘nettario extrafiorale’…” – dove nulla difetta eccetto che nella ricevuta fiscale.

“… stiamo osservando non soltanto un assetto dato, ma un movimento, un’itineranza morfologica che richiama un prima e conferisce significato a quella tensione direzionale che correla…” sì, sei complesso ma chiaro; e immaginifico: “… le tuniche scariose e carnose che costituiscono il bulbo stratificato della cipolla…” – e ti vedo in linea con chi ha creato quelle tuniche.

Quando a pagina 58 parli de Lasciate che vi parli di foglie di “piante carnivore” – mi fai venire in mente quell’atroce fine che fece un avversario di Kolosso al termine di una sua avventura: divorato in più bocconi da un’avvolgente pianta simile a una piovra …

Quel che combina quella “Venere acchiappamosche” sconfina nel penale, ma è così naturale che quasi mi scioglie una mezza lacrima.

Che dire delle “foglie composte della Mimosa pudica”, se non che il tuo racconto mi stimola la voglia di scoprire quanto realmente è “sensitiva”? Sì… sniff… la sento…

“L’inibizione della crescita da contatto pare sia molto diffusa nelle piante e prende il nome di ‘tigmomorgofenesi’.”: Noli me tangere, sennò qui mi taccio!

“Ogni foglia, un colore. Ogni foglia un rumore! Chi non ricorda di aver camminato sulle polverose foglie dei platani nelle infanzie cittadini?” – ti potrei accludere un mio breve scritto, ma te lo risparmio, se non per quel magico suono: Crac crac crac.

“… La Natura è proprio questo: non un’entità personalizzata, bensì qualcosa di molto più informale: un insieme di tensioni, di equilibri irrequieti; un lavorio continuo di addizioni e limature…” – di contrasti generali che collaborano in ambito quantistico, come assicurano i cosmologi, nella locale singolarità e nella mai conchiusa dispersione cosmica.

“Avere individui impazienti e altri ritardatari è un’assicurazione contro l’estinzione.” – come una coppietta in cui uno dei due è ansioso di giungere, stremato, alla meta, mentre l’altro gioisce di quel tenero cincischiare.

“… ci si può sguazzare o affogare, fondamentale resta trovarsi a tu per tu con le piante, comprese le più infime…” – che preferisco alle più somme… Sì, hai reso l’idea.

Le foglie mutano le dimensioni a seconda dell’altezza, i tuoi bimbi capiscono perché: “più sono in alto e meno hanno necessità di espandersi per accaparrarsi luce; allo stesso tempo essere più piccole in alto permette a quelle più basse di non rimanere in ombra.”: l’esatto contrario di quello che avviene nelle incivili società umane.

“Detto questo, avrete modo di smentirmi, perché le foglie non amano le regole ferree e trovano sempre occasioni per darsi aspetti diversificati.”: se mia figlia Anna, a cui hai dedicato il dono del libro, legge questo commento mi disereda: proprio come le donne!

“… le foglie” – ‘ste amene donzelle – “… non disegnano soltanto il paesaggio vegetale: disegnano il vegetale stesso.” – sono loro la fabrae familiae, non l’ossuto tronco, non l’homo! Chissà se questa invece l’accetta, la mia Annina?! O se userà l’accetta?!

“… nel suo evolvere interattivo ha dimostrato una grandiosa capacità nel combinare genio e inavvedutezza, dando vita alla complessa sincronia della biosfera, un super-organismo efficacissimo nel conseguire perfezione a partire dall’imperfezione.”: troppo semplice per non essere vero?

“… altre specie che non citiamo per non appesantire la lettura.” – ma no, che dici, dai… non sei il tipo che ogni volta ex-agera… macché!

Ovvio che intuisci cosa adoro del tuo libro. Un esempio è il confronto fra pagina 132 de Lasciate che vi parli di foglie, dove sono inserite 9 foto di foglie; e pagina 133, dove sono riportati 7 disegni di altrettanti cinquenni e due citazioni a caso, una di Platone e l’altra di Lucrezio… A volte (spesso) i disegni dei bimbi sono inseriti a fianco delle foto, senza soluzione di continuità. Bello e illuminante, davvero!

A pagina 145 m’imbatto nel termine “eterofillia” – da una citazione di “C. Casali, 1892” – so che sarà mio per sempre. Lo definisco come posso: è la differenza che si manifesta nella stessa specie, anche nella stessa zona, ma anche nella stessa pianta, anche nello stesso ramo, anche nella stessa foglia, ma anche nella stessa… Più tardi parli di “omofillia” – che è l’esatto e salvifico contrario: “l’assenza di differenze significative nella forma delle foglie in una stessa pianta.”

Questa è la natura: un convergere di opposti… diversamente chi si sposerebbe più! Anche tu eccedi abbastanza nei punti esclamativi! Ho notato!

Tutto rientra in quel “lusus naturae– a cui accenni a pagina 161 de Lasciate che vi parli di foglie.

Citi un passo scritto dal fisiologo Frederik Buytendijk (1887-1974), secondo il quale “l’essenza primaria dell’organico rimane sempre la pura esibizione del valore d’essere, ossia l’ostentazione della propria ‘ricchezza’ e del ‘proprio lusso.”verde deriva da virĭdis, da virere, e (ormai ignoro se sia solo una mia intuizione) da vis, forza: Io sono colui che sono, gridò il primo essere verdeggiante!

A pagina 201 de Lasciate che vi parli di foglie il disegno di “Asia, cinque anni” deborda nella foto di “Peli stellati sulla superficie fogliare del Verbasco polline”. Bene: “Ci siamo persi. Inevitabile quando si parla di flora.”: io che mi son perso perfino in Spipola – leggo nel tuo Ipoesie, che sto inspirando al contempo.

“Un consiglio: osservate con una lente la superficie della foglia di una normale Salvia domestica e capiremo cosa significa lasciarsi alle spalle l’ovvio.” – consiglio accettato!

A pagina 221, grazie a te scopro da dove “deriva l’espressione ‘infinocchiare’.”: un fatto assai aulente, grazie!

“… un genere di Brassicacee definito Diplotaxis: in ossequio ai doveri di famiglia (Apiacee oggi, Crucifere fino all’atro ieri), orientano a croce i quattro petali, e sia attraverso il profumo sia il sapore acidulo, parlano il linguaggio della rucola.” – che andava raccogliendo, insieme ai risòun, le cicorie selvatiche, mia mamma e quella di Franchino, nostro solidale, in zona campovolo, dove ora c’è l’Arena.

Accenno soltanto, per timidezza, all’“erba pesciolina” – il cui odore taluni autori accostano a quello “viroso della vulga saniosa di una prostituta, onde il suo nome di vulvaria.” – declino ogni responsabilità, che attribuisco in pieno a “Cassone, 1850, p. 169”.

Toccante è la stramba esclusione sociale, che riguarda l’“Albero del paradiso, altrimenti detto Toccacielo, e più correttamente Ailanto”: “Gli erbivori lo evitano, le api ne ricavano un miele che si dice che sappia di piscio felino, le altre piante ne soffrono la vicinanza per i colpi bassi inferti dalla sua natura allelopatica.” – ma che vo’ di’? ah, distanziamento floreale! – “… che gli consente di rilasciare nel terreno…” delle maledizioni che inibiscono la crescita di altri soggetti. Capito!

“Le foglie, è risaputo, si trovano alla base della piramide trofica.”: che non sto a definire tanto tutti sanno cos’è. Un eventuale chiarimento è sito nell’imo di pagina 229.

Le foglie riprodotte a pagina 232-233-234-235 etc mi danno l’impressione di pezzi d’arte concettuale, tipo i quadri di Lucio Fontana, per intenderci. Quello che interessa maggiormente è il taglio, non il corpo esterno.

“Insomma, chiedo scusa, ma non sono certo che in queste pagine tutte le immagini di foglia siano nel posto giusto.” – ma io ti comprendo e giustifico, non potendo al momento correggerti.

A pagina 253 de Lasciate che vi parli di foglie parli di “nursery” dell’“apide” – come pure svariati eoni di pagine fa. Tempo altre 16 e dedicherai all’argomento un intero capitolo… Accenno soltanto alle 5 foglie poste in basso, di cui una, la quinta, è di “Melissa, cinque anni”. Salutamela, se ti capita.

“La ripugnanza che suscitano gli afidi è comprensibile.” – per me no, dato che lessi una volta che erano le mucche delle formiche… Mamma, da ragazza, nella stalla ci ballava anche (essendo il luogo più termoregolato della fattoria)…

“Una vera schifezza!” – ma dai… leggendo Guardate meglio di Tali Sharot e Cass R. Sunstein ho imparato che l’orrore è soltanto un’impressione temporanea.

“… dopo qualche strofinamento d’intesa, l’imenottero si aspetta ciò che tra formiche della stessa colonia è norma: uno scambio di cibo tra chi ne ha in corpo in abbondanza e chi ne è carente.” – non come capita in genere all’homo zoticus

Ogni tanto citi l’etologo-scrittore “Giorgio Celli” – sapessi come mi manca il suo visetto arguto e la sua barbetta!

“L’autunno è un evento espositivo…” – e questo l’ho scoperto quando ha smesso di calare quella tanta nebbia in Val Padana, almeno nella zona in cui abito io. Prima non riuscivo a rimirarne i tenui e svariati colori. Stai parlando, guarda caso, di “una foglia che non sia solo gialla o rossa, bensì percorsa da screziature, bande traversali, o che so, da macchie di differenti tonalità, colpi di luce, andamenti cromatici particolari…; nonostante le spiegazioni ricevute ci accorgeremo subito di avere tra le dita un punto interrogativo.” – io pure uno esclamativo, non subito, ma non appena mi desto…

Mi sta venendo una sindrome di Sturloni, che è l’evoluzione floreale di quella di Stendhal…

“… ogni bellezza è un tutt’uno proprio con l’unicità dell’istante.”a thing of beauty is a joy for ever (Keats, che quando ce vo’ ce vo’!).

“Il suo evento, il suo venire alla luce, qui, costituisce sempre un istante unico; è il suo stesso modo d’essere.” – lo ammetto, sto citando te che stai citando “il saggista Francois Cheng” – “(2007, p. 17).”

Stefano Sturloni citazioni
Stefano Sturloni citazioni

A pagina 314 de Lasciate che vi parli di foglie mi vien in mente una reazione che ho scritto su una mostra di dipinti di Enrico Manicardi, che son quasi certo che non ti è sconosciuto. Sarebbe un bell’attimo di realismo magico se un giorno ci trovassimo seduti tutti e tre in un tavolino di un baretto o di una pasticceria… Ma ora “… siamo arrivati alla conclusione del viaggio, chissà quanti lettori si sono persi per strada.” – io per esempio, anche se, giuro, non ti ho mollato di vista nemmeno per un istante, ma davvero di tanti dati m’hai colmato che ora non so se sono sommerso più da ignoranze o da fraintendimenti!

Riporto ora alcuni de I nomi scientifici delle piante citate:

“Cimiciotta comune” è “Ballotta nigra” – …sum, sed formosa

“Cipresso calvo” è “Taxodium distichum” – da quando s’è messo il parrucchino?

“Clematide vitalba” è “Clematis vitalba” – quando l’evoluzione è ridotta all’osso…

“Erba cipollina” è “Allium schoenophrasum” – ideale per un pinzimonio…

“Mimosa pudica, Sensitiva” è “Mimosa pudica” – la mia preferita!

“Ninfea nessicana” è “Nymphaea mexicana” – que viva Mexico!

“Pero comune” è “Pyrus communis” – mi sai dire come sta u piru malatu, che a Pixuntum offre all’utente un succoso frutto con una stramba macchietta nel cuoricino?

“Rosa canina” è “Rosa canina” – e davvero non me l’aspettavo!

Degli autori citati, estrapolo quella Mariangela Gualtieri di cui hai citato dei versi davvero belli… Prima o poi, giuro, la leggerò. Citi pure tre opere di un certo Sturloni S. Chi è?

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Stefano Sturloni, Lasciate che vi parli di foglie, Edizioni Junior, 2022

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *