“Gli scrittori inutili” di Ermanno Cavazzoni: l’unico scrittore buono è quello morto?

Ho concluso ieri pomeriggio la lettura de Gli scrittori inutili di Ermanno Cavazzoni e non so se questa mia reazione supererà le 5 o 6 (oppure 7) righe o le 4 o 5 pagine scritte fitte, oppure non so cosa: una via di mezzo? Chi scriverà, vedrà.

Gli scrittori inutili di Ermanno Cavazzoni
Gli scrittori inutili di Ermanno Cavazzoni

La particella quantistica va a finire o là (Liolà direbbe Luigi Pirandello, uno degli scrittori meno essoterici che siano mai esistiti (essendo Uno, nessuno e 100.000 al contempo), e mai nell’esatto mezzo, che non è attestabile, né falsificabile, non esistendo in questa realtà. L’universo è privo di centro e infinito, ma non illimitato, e continuamente s’allarga, Lì e Là, ovunque, puranco sullo schermo del mio computer. Un amico, che ne sa quasi troppe, m’ha tranquillizzato dicendomi di fare quello che mi vien meglio, in tutta libertà. Al che io ho gli ho risposto con la prima gidata che m’è venuta in mente: scrivere è un acte gratuit! Nel frattempo m’ha inviato alcuni messaggi il mio bipolare preferito, nonché mio gemello separato alla nascita, con parole affettuoso e condite da un sacco di TVB.

Premetto che, non essendo esperto di sudoku, non ho capito del tutto la “tabella o indice ragionato” esposto a pagina 10 de Gli scrittori inutili, intuendo forse qualcosa grazie all’indicazione: “dove il numero rimanda al capitolo”. Per non saper né leggere né scrivere (e stavolta la frase mi calza a pennello), per citazioni e riporti, utilizzerò il numero della pagina a loro corrispondente. Speriamo! La lingua ce l’ho, il portafoglio in tasca pure, per cui, infilata ‘na giarèina in bóca, via che inizio a scrivere la mia.

Stavo scrodando l’essenziale: a condurre il gioco sono i sette vizi capitali, che non sto a elencare anche perché mi stressano da una vita. Vizio deriva dal latino vitare, schivare e forse e, più anticamente, dal sanscrito vyath-ate (vacillare) o vit (torcere): un deviare dalla retta via, insomma.

Chissà se anche vivere, vita…?

Lo spazio è curvo, secondo Carl Friedrich Gauss, confermato poi da Albert Einstein e da tutti ormai, per cui il discorso non può fare a meno di girare intorno a se stesso, senza mai ritrovare il bandolo. Anche i borgesiani sentieri che si biforcano non sono che una polverosa matassa, in cui anche i più esperti viaggiatori finiscono per perdersi.

“Il difetto degli scrittori è purtroppo quello di non accontentarsi.” (12) – e “… gli scrittori non sono degli illusi.” (12) – non è che nella frase ci manchi un che?

“Gli scrittori sono vanitosi, da vecchi soprattutto sono vanitosissimi…” (13) – e ora mi tocca rispolverare l’antica metafora tratta dal soccer: il pallone-nucleo è nel cerchietto del calcio d’inizio. Gli elettroni girano intorno agli spalti. Tutto il resto è vuoto, zeppo di nulla. E noi siamo compresi in quel non esistente.

Mi dichiaro uno scribacchino non-esistenzialista. Vuoto, come anche grasso, è bello. Il sogno lo è ancora di più. È un’impresa vana tentare di descrivere quel che (non si sa se e come) accade al di sotto dello spazio di Planck, dove nulla di quel che conosciamo ha ragione d’esistere, e che forse (particella assai dubitativa, connessa tanto al caso che alla necessità) è essenziale per permettere a Totò e a Peppino di andare dove devono andare.

Qua bisogna che deceleri, che scelga il tragitto più corto, sennò non ci arrivo a cò (reggianismo per capo: dalle mie parti è sito Codemondo: Caput Mundi).

“… uno scrittore è una persona odiosa.” – (14): odio deriva dal solito sanscrito: avadhit, allontanare. Chi? Forse chi ha dei problemi ad accettare che, nella suddetta pagina, in quella seguente (15) e in quella ancora successiva (16) sia riportato, se ho contato bene, dieci volte il nome di “Max Weber”. Perché?, uno si chiede. L’unica risposta consentita è Perché sì! E questo indispone non poco.

“Come si vede è una prosa un po’ povera e che va poco lontano.” (18, Gli scrittori inutili) – cito ora un proverbio reggiano: piuttosto che niente è meglio piuttosto; e anche: meglio un osso che nel fosso (c’è pure la variante: meglio un osso che un bastone). Poi tutto s’arrotola in quel centrifugo nonché centripeto spazio/tempo. Si pensi all’ungarettiano M’illumino d’immenso.

“Perché il vizio, la crapula, la sodomia, i concubiti impropri, la bestialità, la lusinga sono molto in uso tra i moderni scrittori aspiranti” (22) – non è sempre così, e faccio un nome e un cognome a caso: Silverio Scognamiglio, lo scrittore più normale che ci sia e che ha una vita intera per peggiorare. (Pensare che in prima battuta avevo letto e trascritto concupiti).

“Uno scrittore morto da dieci anni compariva sul far della sera ad uno scrittore vivente e gli incuteva spavento.” – a me accade in media ogni due letture e mezzo. Paradossalmente, non mi capitò leggendo il romanzo fortunatamente incompiuto del Divino Marchese, ma solo perché m’ero munito di scafandro protettivo e intriso di sostanze ipo-allergiche.

Alcuni di quei mostri effettivamente sono “morti che vagano attaccati al loro punto interrogativo.” (24) – a qualcuno di essi voglio un gran bene, per esempio a Pier Paolo Pasolini, anche se non sono ancora stato buono (nel senso di capace) di trovare il coraggio di aggiungere al mio carnet la lettura dei suoi romanzi (le poesie invece sì).

Mi viene da pensare che il vero scrittore è colui che ormai vede i fiori dalla parte delle radici.

Uno dei falsi e mai sopiti miti è che lo scrittore possa “tornare in patria e insegnare cos’è il genere umano.” (27) – io invece amo chi, come Jiddu Krishnamurti, si limita a proporti di Cominciare a imparare, né sotto né sopra di lui, ma al suo fianco.

Un lungo periodo che non mi va di riportare (30, Gli scrittori inutili) mi convince che scopo di ogni scrittore è di rinvenire quel 98% del DNA che ci assimila agli scimpanzé e quel 2% scarso che ci fa dire: Je est un Autre! Arthur Rimbaud è infatti un ulteriore spettro che mi svolazza accanto quasi ogni notte e che ogni tanto mi prepara il caffè la mattina. Per il resto del dì, va vagabondando Colà.

Sono ora giunto alla Lezione di Lussuria: la prima di sette. Flusso di (in)coscienza che serve a ottenebrare la mente al lettore: una fioca oscurità è salvifica. Parola d’ordine “odorare e godere!” (33): si tenga presente che l’olfatto è il più antico dei sensi, e quello che ne sa di più. Lo si dice sempre, no? Sa di

“… gli scrittori veri si somigliano tutti; c’è chi dice che nascano già sapendo parlare.” (36) – sapessi la fatica che ho fatto a mantenere il segreto per tre anni! Einstein addirittura disse la sua prima parola relativamente tardi: a sette sparò la sua prima formula dialettica. Alcune frasi (40) mi fanno pensare che uno scrittore è etereo, lenonesco, oppure sborsante. Altrimenti non è che un ozioso onanista.

“C’è solo il presente; non mi ricordo di niente, non spero in niente. Fine.” (41) – in ne entem: en nada, mi amigo! Non in ciò che esiste, ma che c’è. Dove? Là! Sei sul Ponte di Rialto e chiedi al primo lagunare che incontri la giusta direzione per Piazza San Marco e la sua risposta sarà sempre la stessa: Segua la folla! Sceso dall’autobus a Napoli, domandi a un passante indicazioni per il Museo Archeologico, e subito si forma attorno a te una specie di chat vivente e variopinta, dove ognuno dice la sua, zittendo al contempo gli altri, Ma che sta’ a di’! Noooo…! Nun ci pensate a chisto! Date retta a me! Ma che ci andate a fa’ a ‘o museo, a vedere ‘e cose antiche? E che… nun so’ antico, io! Virite o no quanto so’ bello!? Insomma, un casino. Uno brama l’essenziale nulla, e si trova circondato da chiassosi esistenti! La quale è la sorte di (quasi) ogni autore.

“Lo scrittore rise contento perché le donne gli erano sempre piaciute, ma lui non era mai piaciuto alle donne.” (46) – l’ingenuità è la conditio sine qua non ci si può dire scribacchini.

Si parla di “codesto scrittore ateo con “i figli agnostici, essendo piccoli.” (48) – io fui dapprima l’uno e poi l’altro ma, per scrivere con un minimo di discernimento (grazie all’assistenza inconsapevole del mio amato maestro, Padre Aldo Bergamaschi), dovetti trasformarmi in ignorante di dio che non sa nemmeno se qualcosa sa.

Quel “becco dritto” (51, Gli scrittori inutili) – la dice lunga sul carattere funereo dei “critici” beccamorti – parola atroce, la prima, il cui etimo è condiviso dalla parola crisi: un quid che prelude alla guarigione o alla morte. Franz Kafka (ei) fu il sommo genio, essendo stato infermo e sofferente per quasi tutta la vita.

Il racconto che si sviluppa nel capitolo 14 (53-54-55) mi dà da pensare: non riesco a capire se e quanto sia antifrastico. Consiglio all’ipotetico mio lettore di leggerlo a sua volta e di inviarmi una risposta. Si parla ora di polpette: “Sì, queste sono fritte meglio, perché lo stiutto è più caldo…” (58) – e qui giova ricordare un ennesimo detto arşân, che l’autore di certo non può non conoscere: còl frét fa d l ûnt! quello fritto fa dello strutto, antifrasi che significa l’esatto contrario: non vale un granché.

Caro il mio Ermanno, pur quando ti mantieni ligio al tuo cammino sempre ex-ageri, uscendo dall’argine e pure dalla golena, poiché le tue metafore sono veramente fuori dal comune (in cui dimori): un patetico scribacchino, finito nella disgrazia che merita, “… si trasferì in un cassonetto della spazzatura, dove trovava cibo oltre che un tetto…” – e dove lui e i suoi condomini “facevano a turno, usando come calorifero un cane.” – così non tranquillizzi chi ti legge, ma in fondo gli fai capire che quello se la sta passando abbastanza bene.

Il capitolo 16 (da 64 a 66) mi informa che la scrittura deve tendere allo zero, che altro non è che la cifra che indica quel vuoto esistenziale di cui si disse, dove c’è posto per ognuno.

“Gli scrittori per principio si odiano, però non riescono a staccarsi l’uno dall’altro.” (67) – hai mai visto uno scribacchino a ispezionare un cantiere? In genere è a casa, seduto sul sofà, che sta visionando la merce della concorrenza.

Ho l’impressione che tu, anche se arşân nell’animo, ti sia un po’ addolcito nella felsinea Felsĭna!

Il capitolo 18 de Gli scrittori inutili (da 70 a 72) mi fa ricordare un esergo che lessi in un paio di libri di Gianni Padoan, scrittore oggi vigliaccamente dimenticato: Un pugno dato non per provocare vomito ma per rinforzare i muscoli addominali. –  nel tuo caso alcuni spunti sono rivolti pure ai rettali e sfinteriali.

Un tale dice: “Io sono l’arcangelo Gabriele.” (73) – un milite di Dio che svolge le mansioni di messaggero. Una banalità: tutti gli scrittori so’ piezzi ‘e core e a volte anche piezzi ‘e m‘e meraviglia. Tutti? Non ho finora letto manco una pagina scritta da Bruno Vespa che, dando retta al cognome, potrebbe essere a suo modo pungente.

Ogni scrittore, come quel felino di Schrödinger:finora non ne ha avuto occasione” (77) di decedere dal suo lettore. Ma prima o poi accadrà! E qui ci vorrebbe l’emoticon con la trombetta! Il mio dubbio è questo: l’unico scrittore buono è quello morto? Toccati, pure… è un tuo diritto.

Ci fu tempo in cui gli scrittori non scrivevano ancora” (78) – già tutti potenzialmente logorroici, soprattutto quelli blesi.

“… no! io non chiacchiero!” – chi è ora greco un dì fu barbaro, balbuziente. Anche il dislessico e l’afarensis hanno il diritto di dire la loro. Anche Piovene, Canetti, Morselli, Montale, e pure D’Annunzio – a quest’ultimo un giorno confesserò che, quando il prof mi costrinse a leggere ad alta voce La Pioggia nel pineto, per errore pronunciai una blasfemia letteraria: caccole aulenti!

Il capitolo 22 (85-86) mi fa pensare sempre di più che ogni scribacchino sia voglioso di descrivere il proprio ombelico, che è il simbolo del locum da cui proviene. E che egli per sempre rimarrà l’infante che sbucò un bel dì da quel Kaos, con la testa o coi piedini.

“Uno scrittore un po’ maniacale aveva il dubbio di non contare abbastanza.” – panta rhei! Si pensi al povero Giovan Battista Marino, così inclìto in vita e che ora può contare solo sulla parziale omonimia col più rinomato Vico, per essere rintracciato in un motore di ricerca on line.

Parli poi di un “diverbio tra i due superstiti…” (92) – e mi vien da dire che è nella diatrìba e soprattutto nella diàtriba (concetti quasi antitetici) che due scrittori danno il meglio e il peggio di sé. Si pensi anche a quel celebre e sciocco duello tra Giuseppe Ungaretti e Massimo Bontempelli.

Il principale attributo del critico è la longevità.” – per forza, con tutti gli accidenti che gli tirano! Intrigante è la teoria del tram (95), che doni ai tuoi lettori: io non la conoscevo, giuro.

Ogni critico in fondo è uno “Zio” (96) per i suoi scrittori. Lo è a anche Pisciotta, dove il giovane chiede all’anziano (che è consanguineo fin dal tempo di Adamo ed Eva): o ziu, m’offri ‘na sigaretta? Per informazione, Zio, con analogo senso parentale/assistenziale, in tibetano è Akou: akou, ekamosasmabaiatusi sìgaret?

“… che fosse uno scrittore era un’aggravante…” (99) – e qui pure urge un detto arşân: al pēş a n gh ē mai fîn, al peggio non c’è mai fine.

“… il cimitero del loro paese, dove si concluse di fatto il giro del mondo. Quest’ultima tappa non ebbero però modo di raccontarla a nessuno.” (102, Gli scrittori inutili) – che è la tragedia che colpisce un po’ tutti, dal primo all’ultimo, e il sommo esempio l’ha dato Vittorio Alfieri, il quale narrava che l’indisposizione fisica lui la amava curarla digiunando fino all’avvenuta guarigione. La terapia funzionò sempre, tranne che per l’ultimo malanno, di cui fece cenno il curatore della sua Vita.

Poi venne la notte e durò sei mesi.” (104) – essendo in questo caso limitrofi al Polo Nord. Uno scrittore ha bisogno, come s’è detto, tanto d’ombra quanto di luce, entrambe frazionate: il troppo in genere storpia.

La Lezione d’Accidia (da 105 a 108) è così fluentemente immota che m’ha messo ko per oltre sei ore. Mi sto quasi riprendendo, ma a fatica.

Quel che leggo in 29 (109-110) mi suggerisce che quel che sento dalla mia prima infanzia è forse vero: il miglior romanzo è quello che s’è evitato di scrivere. Tutto il resto, come cantava Califano, è Noia (moraviana) e Nausea (sartriana).

“Ma le coste del mare sono tutte nazistificate…” (113) – ma non quella di Pisciotta. Un 13 luglio di oltre sessant’anni fa, fu avvistato un barile avvicinarsi alla sua Marina, sopra cui stava a cavalcioni, spingendo con le sue ormai artrosiche mani, un anziano, con sul petto un tatuaggio a forma di Papillon. Arrivato a riva, egli si distese sulle agliaredde (così son dette lì le pietre di mare), manco fosse un fachiro. Dopo circa tre ore di pennichella, egli s’alzò di scatto e, dopo essersi stirato con comodo, s’avvicinò al mare e prese serenamente il largo, in groppa al suo curvaceo vascello.

“… gli analfabeti hanno in genere un cane…” (116) – e poi “Succede pure che alcuni scrittori, arrivati a una certa età, non fondino una rivista e si prendano un cane.” (sempre 116) – un più che fido e cinico amico.

“Uno scrittore aveva fatto un patto col diavolo…” (117) – e mi vien da sparare una… ca… una stoltezza. Un prosatore ha bisogno di un diavolo, mentre un poeta come Dante Alighieri (118) necessita del suo daimon, in qualità di filosofo del Nulla, che va covando nel suo proprio alveo: se non è zuppa è…

“… aveva i dubbio che quella fosse una favola.” (120)  – ogni scrittura lo è: lupus in fabula è quell’attempato critico di cui si ciarlò poc’anzi.

Leggendo in fondo a 34 (123) vo ora pensando, e penando, al veronese Emilio Salgari.

“Come ci si riduce, rifletteva intanto ognuno tra sé, a avere solo l’ispirazione e a non avere la moglie.” (126) – ne sa qualcosa il buon Socrate, che non scrisse manco mezzo rigo!

Boh! (che è un ulteriore romanzo di Moravia): quel che leggo in Lezione d’Invidia (127-128) mi stupisce, eppure… non so come commentare. Il marito usa il “passato remoto”, e la moglie l’hic et nunc: che sia una metafora?

Dopo il capitolo 36 (131-132) mi pongo la questione: è peggio il male psicologico o quello fisico? L’ironia è un patrimonio dell’umanità o una delle tante cause delle guerre che ci propinano? Ignoro per quanti scrittori valga il discorso che si può fare a proposito di colui “a cui non piaceva l’anguria” (133) – e che, al suo apparire, “si guastava alla fine immancabilmente l’allegria generale.

Mi sono fermato un attimo, in quanto sento che potrei fare un elenco così lungo che l’elenco telefonico di New York parrebbe al confronto un mezzo Bignami.

“Le case editrici hanno l’interesse a far restare gli scrittori in depressione.” (136) – non si fa così anche coi polli di allevamento? Che diceva a proposito San Giorgio Gaber?

“… perché il piccolo sole rotante è implacabile.” (140) – può capitare con le donne, stelle nane così acuminate! Ma è per ‘ste strambe lillipuziane che gran parte di noi stolti giganti ambiamo vivere.

Inedito ultimo del Novecento” il cui autore, morto assai giovane, “non ha avuto tempo di dare nulla alle stampe.” (entrambe le citazioni sono a 142, Gli scrittori inutili) – è un vero classico, come lo sono le opere di Piero (pronipote di Alessandro) Manzoni, di John Cage e dell’immaginifica Marina Abramović. Dal tuo racconto si evince che è solo dall’assenza che si finisce per creare la presenza, dal Nulla il Tanto. A volte il Troppo.

“… dimostrò come in definitiva sian scrittori coloro che effettivamente hanno scritto.” – mi oppongo vostro odore, pardon onore! E Socrate? E Gesù? And Andy, my brother in law?

Leggendo 42 (da 148 a 150) mi si rinforza un’estrema certezza: uno scrittore lo puoi odiare o amare, ma prima, volente o nolente, lo devi leggere!

Lezione d’Ira (da 151 a 153) dimostra che solo l’ironia ci può salvare da quel baratro, in cui la disumanità intende condannarci. Grazie, catartico mio docente!

“… battere a macchina…” (156) – da qui si evince che uno scrittore, in genere, è un gigolò che batte. E non conta la lunghezza del suo capolavoro: l’importante è che sia duro e che duri.

La mamma che “non sapeva di trasportare uno scrittore” (157) – e che poi diventò “una vecchietta che non ricordava più niente…” (159) – che è il dono più bello che la vita ci può elargire (ma che a volte ci mancherà per buona parte della vita).

Il padre è quel mero e prensile accessorio che noi tutti si cerca disperatamente d’imitare.

“Dei due partiti non è rimasto più niente, se non un solitario scrittore dispeptico e agnostico cronico…” (162) – in pratica abbiamo tutto ciò che serve per iniziare, tanto mica si finisce in serata.

“… sentiva che ormai non sarebbe più stata riscritta la storia della letteratura per lui, non avendo più soldi da spendere.” (165) – ‘sto fetido sterco di Satana che, almeno dalle mie parti si dice che ce ne sarà quando non ci saremo noi. Eppure, senza fondi non si sfonda ma s’affonda nel Cocito.

Ermanno Cavazzoni citazioni
Ermanno Cavazzoni citazioni

Il capitolo 47 (da 166 a 168) mi consegna l’estrema certezza: senza messaggeri divini, rimane ben poco da dire (e da sperare).

Una metafora (divisa tra 170 e 171) m’illumina su una banalità: senza “uova”, non è dato procreare.

“… tanto che si desidera non sentirne mai più parlare.” (174) – anche il rifiuto indifferenziato serve: il più è saperlo termovalorizzare, diversamente occorre recarsi nella lontana e fatata Prussia.

La Lezione di Superbia (da 175 a 178) – è per me un’importante “rivelazione” (177) – in quanto m’inspira ossigeno e gran parte di questa, chiedo scusa, mia logorroica superfetazione, termine per cui rinuncio a investigare l’etimo che, secondo me, feta non poco.

“Nel paradiso in genere, mi spiace dirlo, ci son pochi libri, anzi sembra che ci sia un grado elevato di analfabetismo.” (179)  – per forza, ormai è tutto online. Sto pensando a quei due testoni calvi e dalla fronte pulsante che vidi in uno dei primi episodi di Startrek, che tutto sapevano e che poco dicevano: solo, e a malapena, l’essenziale. Al che m’immagino che il periodo di dis-affezione che avrà luogo in Purgatorio sarà meno noioso di quel che temevo. E l’Inferno? È probabilmente come quella temperatura dell’estremo nord: mai pervenuto.

L’ennesima piolata: secondo me questa tua silloge di racconti, caro il mio esimio scrittore, è stata semplicemente scopiazzata. No, stai calmo, non t’agitare.

Non intendo dire che hai preso spunto da qualche opera altrui, se non in dosi omeopatiche, com’è naturale. Ma che è necessariamente tale e quale a quella che mai riuscirai a ri-scrivere. Tu tanto bravo (in parte anche nel senso manzoniano) sei!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Ermanno Cavazzoni, Gli scrittori inutili, Feltrinelli, 2002

 

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