“La lista di Schindler” di Thomas Keneally: la vera storia di Oskar Schindler
“Nel 1980 sono andato in una valigeria a Beverly Hills, in California. Il negozio apparteneva a Leopold Pfefferberg, sopravvissuto grazie a Schindler. Ed è stato proprio accanto a quegli scaffali di articoli di cuoio che ho sentito parlare per la prima volta di Oskar Schindler, il bon vivant tedesco, speculatore, tombeur de femmes, personaggio contraddittorio, e del salvataggio che quest’uomo ha operato a favore di una razza condannata.” ‒ Thomas Keneally
Molto è stato scritto sui fatti che hanno portato alla Shoah, uno dei più grandi genocidi del Novecento.
E il romanzo storico La lista di Schindler, realizzato dallo scrittore australiano Thomas Keneally ne è un esempio. Romanzo che va ad aggiungersi ad altre pubblicazioni, nonché a pellicole, tutte di valenza testimoniale importante.
Pubblicato da Sperling & Kupfer nel 1982, la narrazione di La lista di Schindler riporta i funesti accadimenti avvenuti all’indomani dell’invasione della Polonia da parte dell’esercito tedesco.
Il libro è dunque focalizzato sull’Olocausto, per celebrare il 27 gennaio, Giorno della Memoria.
Storia vera, quella raccontata dall’autore, vissuta in prima persona dall’industriale tedesco Oskar Schindler che si è speso oltre misura per salvare da morte certa un gran numero di ebrei.
Imprenditore e proprietario di una fabbrica di oggetti smaltati e stoviglie situata in Cracovia, Herr Schindler è interessato soprattutto a trarre profitto dalla sua attività, e a fare la bella vita in compagnia di donne affascinanti.
Approfittando, almeno in un primo momento, delle circostanze che hanno portato gli ebrei ad essere segregati presso il ghetto di Plaszow dove, schedati e depredati di tutti i loro averi sono perciò impossibilitati a dedicarsi ad alcun tipo di attività. E a vivere, di conseguenza, in una condizione al limite della sopravvivenza.
In pieno accordo con i nazisti, anch’egli membro del Partito Nazista, dopo aver stabilito ottimi rapporti con le SS, nel frattempo Schindler converte la propria fabbrica da produzione civile a produzione militare. Che lo spinge a dare inizio a una massiccia produzione di materiale bellico per rifornire l’esercito tedesco. Attività in cui vengono impiegati ben 1000 ebrei, altrimenti destinati a sicura deportazione. Come destinata al fallimento sarebbe la fabbrica di Schindler senza la manodopera dei deportati.
Fra cui tale Itzhak Stern, contabile ebreo che viene affiancato all’imprenditore e figura di rilievo di una narrazione dal valore etico importante.
Inizialmente le intenzioni di Oskar Schindler non sono nobili, semmai tese a sfruttare i lavoranti per arricchirsi. Fino al giorno in cui dall’alto di una collina assiste all’uccisione ingiustificata di un gruppo di ebrei, vittime della follia nazista. Circostanza quella da cui, impietrito e impotente, osserva il fenomeno da una diversa prospettiva rispetto a quella iniziale.
Momento in cui avverte i primi sintomi del risveglio della sua coscienza. Che lo portano a un’evoluzione che gli suggerisce di fare qualcosa, una qualsiasi cosa per sottrarre quanti più ebrei dal cosiddetto “trattamento speciale”.
Acquistata cognizione dei fatti, con l’aiuto del contabile ebreo, Schindler mette in atto un coraggioso piano strategico: realizza in prossimità della sua fabbrica un campo di lavoro per gli operai. Un luogo nel quale i soldati tedeschi non possono accedere senza la sua approvazione.
Ma in seguito all’opera criminale dei nazisti, che vede molti ebrei soccombere causate da atrocità che è difficile commentare, a Schindler viene a mancare parte della manodopera.
Fatto che lo spinge a convincere il comandante tedesco, tale Amon Goth, affinché gli assegni un ulteriore numero di uomini da impiegare presso la sua fabbrica.
Sollecitato dalla sua coscienza, il vero obiettivo di Schindler, a questo punto, non è più la produzione per rimpinguare le risorse dell’esercito tedesco, ma mettere in difficoltà l’apparato nazista con mezzi anche poco ortodossi, quali produrre granate difettose. E ciò, pur continuando a mostrarsi compiacente nei confronti delle SS.
Sempre affiancato dal contabile, Schindler recluta altri ebrei, apparentemente indispensabili per la conduzione della fabbrica, evitando loro una morte certa.
Nel frattempo, dopo aver acquisito completa consapevolezza in lui si aprono riflessioni profonde, domande a cui non può dare risposte logiche o di carattere morale. A suggerirgli una soluzione è l’approssimarsi del termine della guerra che vede il declino della sua attività. Che lo porta a compiere una scelta quanto mai coraggiosa.
Compilando una lista di 1100 ebrei impiegati presso di lui in qualità di operai, che “compra” grazie al suo patrimonio, sottraendoli in quel modo alla cosiddetta “soluzione finale”.
“Potete ucciderli o tornare alla vostre famiglie da assassini…”
Sarà questo l’ultimo appello rivolto da Schindler ai soldati, al fine di evitare la morte dei 1100 ebrei.
Arrivato il momento in cui la guerra volge al termine e le truppe sovietiche si fanno sempre più ravvicinate, con l’intento di nascondere la ignominia di cui si è macchiato, Amon Goth incenerisce ciò che rimane dei corpi degli ebrei morti ed elimina il campo di Plaszow. Mentre le persone per cui Schindler ha pagato vengono malauguratamente trasferite ad Auschwitz. Ma per evitare il loro trasferimento, e la loro morte, anche questa volta Schindler sarà esempio di raro altruismo.
In cambio di una quantità di diamanti, accumulati durante la sua attività, riscatta i poveretti che vengono trasferiti in Moravia, loro destinazione iniziale. A quel punto, il contabile, che ha contezza della grande umanità di cui è permeato l’animo di Schindler, non può fare altro che ammirarne il coraggio.
Terminata la sua “missione”, per non cadere in mano alle truppe sovietiche ormai prossime, Schindler si allontana.
Al momento di congedarsi dai suoi operai, questi ultimi gli consegnano una lettera con le loro firme, da poter esibire se mai fosse stato catturato, a dimostrazione di quanto sia stato animato da un sentimento di grande umanità.
Infine, prima di allontanarsi, Schindler confida a Stern il suo rammarico: se fosse stato più oculato avrebbe avuto maggior quantità di denaro per salvare un più ampio numero di vite.
A seguire, il nuovo giorno porta con sé il lieto annuncio della fine della guerra e della liberazione dal giogo degli oppressori.
“Chi salva un uomo, salva il mondo intero.”
Dall’intenso romanzo di Thomas Keneally, nel 1993 è stato tratto un film a opera del regista Steven Spielberg, con lo stesso titolo e la cui trama è pressoché uguale. Con il finale che si presenta rispettando la tradizione ebraica. Ovvero, mostrando un corteo composto e silenzioso formato dalle persone salvate da Oskar Schindler (Liam Neeson) accompagnate dagli interpreti della struggente pellicola, deporre un sasso sulla sua tomba presso il cimitero di Gerusalemme in cui il grande uomo riposa per sempre.
Così, in modo commovente ed esemplare si conclude uno dei film più significativi degli ultimi decenni, il cui gesto esprime un messaggio di speranza.
“Hanno un maleficio gli Ebrei… Hanno questo potere. È come un virus. Andrebbero compatiti, non andrebbero puniti. Andrebbero curati, invece, perché è come se avessero il tifo.”
Realizzato in bianco e nero, come può esserlo un documentario d’epoca, al fine di rievocare fedelmente e sottolineare con forza gli accadimenti, Schindler’s list racconta attraverso ogni fotogramma un capitolo di Storia di cui l’uomo si dovrebbe vergognare.
Con una sapiente ricostruzione scenica, Steven Spielberg ha saputo ricreare con verosimiglianza la squallida ambientazione in cui gli ebrei erano costretti a vivere. Oltre ai soprusi cui erano sottoposti.
Seppur nella crudezza dell’argomento e delle immagini, Schindler’s list lo si può definire il film, come il romanzo La lista di Schindler, di grande spessore umano, entrambi capaci di suscitare nel lettore un sentimento di grande empatia per le persone giustiziate senza alcun valido motivo. Perché lì, nei campi di concentramento, nonostante il tempo trascorso, la presenza delle vittime sembra alitare ancora sui loro aguzzini.
E di ciò dovrebbero averne consapevolezza i negazionisti, coloro i quali negano che la Shoah sia realmente esistita.
“Che Dio la benedica, lei è un brav’uomo, Herr Direktor…”
Written by Carolina Colombi