“Storia di μ ovvero Lorenzino don Milani” di Alberto Melloni: omaggio al priore di Barbiana
Due parole su Alberto Melloni, autore di Storia di μ ovvero Lorenzino don Milani: so pochissimo.
Talvolta l’ho visto in televisione, in genere su Rai Cultura, e ogni volta m’è parso, sotto il riflettore delle telecamere, più a suo agio dei suoi intervistatori, chissà perché. Il suo parlare era fluente, tranquillo, senza inutili interruzioni/interiezioni, e m’è parso un buon docente. Infatti insegna Storia delle Religioni presso l’Università di Modena e Reggio, che nella mia città ha sede (anche) in viale Timavo, presso l’ex?; no no, c’è ancora, ho appena visto su Zio Google, Seminario: un palazzone lungo, un po’ deserto, mi sa, oggigiorno, con la crisi di vocazioni che c’è. Una volta lo vidi per caso in San Giovanni evangelista, una delle più graziose e ammucciate (in siculo e in cilentano il termine indica quel che è celato dietro a un mucchio, dal celtico muciare) chiesine del centro di Reggio, che è aperta, mi pare, solo per le messe. Entrai, avendola vista miracolosamente accessibile, essendoci una mostra fotografica di Michael Kenna, un fotografo inglese che aveva ritratto numerosi confessionali della provincia. Alberto e io ci guardammo per un paio di istanti e io notai che, anche dal vivo, lui pareva più a suo agio del suo prossimo. Che ci vuoi fare? È carattere!
Il bello di Alberto Melloni è che, essendo egli autorevole com’è giusto che sia un docente, non pare un tipo autoritario. Il che è un mezzo prodigio.
E ora non mi si dica che ‘sta mia logorroica premessa sia off topic, perché se lo è, è normale, ché spesso io lo sono, nella vita, quando penso ai fatti miei. Per il sottoscritto, scrivere è errare su e giù per conto suo, come capita a un devoto intento a completare il cammino di Santiago di Compostela, con la fregatura sottesa, è più giusto dire: la connessa problematica, che non si arriva mai del tutto a destinazione. È sempre una tappa dopo l’altra. Meglio, no? Mia madre, donna devota e (non ma) spiritosa, diceva che per andare in giro occorreva avere il portafoglio, la lingua e ‘na giarlèina in bóca, a farti compagnia. I miei piccoli ricordi autobiografici sono quella ghiauzza.
Se fossi un critico devoto della letteratura (e un po’ lo sono, ma davvero poco), non mancherei di segnalare che il libro è interessante, ricco di informazioni utili, scritto più che bene, con quei quattro o cinque difetti, 1… 2… 3… 4… etc… (il quinto tende a sfuggire mentre si scrivono i primi 4).
Io sono invece e soprattutto un lettore reagente, che s’interfaccia con le parole lette, i pensieri proposti, gli sbandamenti dell’autore, le sue immediate rettifiche. Scrivere e leggere sono due movimenti correlati al medesimo cammino. C’è chi lo chiama Tao. Borges diceva che un libro era un groviglio di sentieri che si biforcano, anche se in realtà intendeva anche qualcos’altro. La vita sociale, che ci vuoi fa’, è un banale fra-intendimento. Banale, secondo l’ottica di un Salvatore Patriarca, autore de L’elogio della banalità, è quel che risuona in piazza, dov’è sopraggiunto un banditore per illuminare le civiche coscienze.
Ho terminato poco fa la lettura del romanzo biografico Storia di μ ovvero Lorenzino don Milani e mi viene da dire una cosa: persino uno scuolofobo come me si sarebbe trovato quasi benino in quella classe gestita da μ, o è meglio dire capitanata (senza alcuna severità) da μ.
Facile dirlo oggi, che sono in quiescenza lavorativa, affrancato da padroni, relativamente sciolto da catene, però, mi chiedo chi mi potrebbe falsificare. Popper? Magari… l’ho sempre ammirato e mi piacerebbe trovarmi un fausto dì insieme a lui in quel ceruleo bistrot dove si mangia, si beve e non si paga una cippa. E questo per sempre, per la più o meno dorata eternità.
In Avviso 1, l’autore… In genere tendo a dêr dal te, a dare del tu, all’autore non prima d’aver scritto almeno mezza reazione; ma tu, Alberto, sei un arşân tésta quêdra cme mé, ergo inizio già da ora. Ma non temere, puta caso che c’incontriamo, puoi far finta di non conoscermi, non m’offendo mica.
Stavo dicendo che tu, Alberto, inizi l’Avviso 1 scrivendo: “Chiamerò così – μ, con la ‘emme’ del greco – il protagonista di questa storia. Non per trovare un’abbreviazione insolita né per vezzo. Ma per lasciare intatti i nomi…” – di chi lo seguiva e amava. E da tale atto generoso è nato lo specimen (non credo sia azzeccato come termine) del libro. Con la conseguenza che il reagente è dovuto andare su Zio Traduttore per trovare ‘sto caratterino, e poi gli è bastato un copia-incolla.
La fotografia che è a pagina 13 indica un giovanissimo μ, che pare sempre così un bravo ragazzo… e in questi casi ci si chiede: chissà cosa in quel momento presagiva del suo futuro!
Angelico è dir poco… e con le braghette corte! Buono come il pane… e da sgranocchiare, così avrà pensato di lui il Destino.
Un “Povero passerotto” – lo chiamò, al termine del suo calvario, il suo guru, ma sbaglio a chiamarlo così, “don Raffaele Bensi”. Il suo tutore, mah… Il suo maestro? Forse sì.
“La scrittura di μ – pur dovendo essere spremuta dallo storico con intelligenza – rivendica sempre il suo essere gesto…” – atto, non azione – e qui non so se sto citando Carmelo Bene o il suo imitatore Crozza. Ignoro quale sia la sostanziale differenza fra atto e azione, come dire: fra córer e scapêr, ché dell’energia se ne spreca in modo analogo, un muoversi da A a B, null’altro essendo.
“La scrittura di μ è quella di un uomo che con la penna e con la carta lotta per tutta la vita.” – e io con la tastiera ora, ma cambia poco. Anch’io ho scritto interminabili e convulsi poemetti con la mia cara Antares, con le prime macchine da scrivere elettriche e financo elettroniche, con la margheritina che profumava di lettere e fonemi, ricordo.
“Pittore da giovane, aveva imparato a bottega che quel che tocca l’artista non è la forma di un fotografismo pedestre né il colore della sua energia chimica: ma la luce che dà forma solo all’essenziale, ed è con la luce che l’artista lotta…” – e si mischia col messaggio che egli stesso va creando, dopo averne ricevute a bizzeffe. Pensa che, pochi secondi fa, grazie a te, ho deciso di non mettere più una virgola prima di un né. Grazie, amico caro… a buon rendere!
“La persona di μ diventa grazie alla scrittura il luogo di un’unificazione necessaria, dolorosa umanissima…” – e qui non so se la metterò, la virgola, prima di un grazie, forse sì. Ci devo pensare. Ci dovrò cogitare ogni volta che mi capita, come se fosse la prima volta. Un misterico Enten-Eller, ché sic vita scripturaque est.
Usi ogni tanto delle latinate che mi sfuggono, tipo: “fides ex auditu”: che “è comunicata dal Verbo…” – per cui “la ‘scuola’ è il luogo per indicare l’esigenza assoluta di una verità celata: il moraviano ‘disgusto opaco’” – che ignoro che sia; e così, per colpa e merito tuoi, sento che presto leggerò la Vita interiore di Alberto Pincherle, che da tempo (un mesetto) è impilato fra i libri cogenti che prima o poi dovrò sorbirmi.
L’immagine a pagina 33 (mamma col figlio μ) rappresenta un bel duo di borghesini carini.
Sei micidiale, questo ho deciso, allorché mi capita di buttar l’occhio al fondo di pagina 36: “… giacché Guido fugge, torna al fronte sotto falso nome e finalmente riesce a crepare l’8 giugno del 1916, sul Monte Fior, con tanto di medaglia d’oro, strada e scuola intestata”.
Non ho colto alcuna pietà in questo tuo commento né simpatia né partecipazione emotiva (aspetta però che tiri il fiato…) quando scrivi che i due genitori di μ si sposano per “Grande amore, verificata equipollanza di ceto, fidanzamento, matrimonio. Nozze civili…” – che, detta così, pare un coacervo di ingiurie istituzionalizzate.
“… e la parola ‘problema’ è riservata all’educazione aritmetica del piccolo Milani, incartati di balocchi e vestiti di serena allegria.” – sei uno scrittore satirico, raramente umoristico. Sei un bel narratore, però. Complimenti!
Nel 1947, “Orfano da quattro mesi, μ diventa prete…” – se fossimo su un social saprei quale emoticon usare (quello col baschetto verde e fischietto).
Ogni foto (di Oliviero Toscani) m’emoziona. Se il groppo alla gola meriterà, ne parlerò.
μ va (è spedito a…) “a San Donato di Calenzano” – a far compagnia a “don Daniele Pugi, prete ultrasettuagenario, ricco di saggezza e di umanità.” – e una specie di naja pare.
“C’è la contiguità fisica, un’affezione politica, con ragazzi vittime di un’ingiustizia sociale che μ non μ, può pensare verrà redenta nel regno dei cieli.” – non può pensare perché non ci riesce, perché ha altre urgenze per la capa.
“… μ non fa il prete, non fa il maestro, non fa lo scrittore…” – μ è uno che non. μ fa quel che sente quando μ lo sente: “È queste tre cose, che si stanno indissolubilmente legando.” – μ È.
Cominciano ad abbondare i riporti delle sue lettere. E gli autori diventano due, tu e μ. Io mi incuneo, sfacciatamente, fra voi, come nu muccuso. M’accettate?
“…. μ continuamente lima e corregge con la pignoleria di un Comparetti…” – che fu un inclìto traduttore, ben più del telematico – “… con l’intuizione che non esiste uno ‘stile’ della scrittura, ma solo una performatività delle parole.” – ecco, questo mi serve, quando dico che a me interessa lo stile dell’autore, più che la trama del romanzo, e mia figlia Anna arriccia il naso. D’ora in poi dirò che m’intriga la performatività!
Tu parli di “del suo perfezionismo sottrattivo” – tipo quello di Michelangelo (mia sproporzionata aggiunta). A me piace togliere ritoccando, come accadeva a Leonardo. Pensa te che modello che mi son preso…
“Se ancora mancava un granello all’astio che circonda μ, ora c’è tutto.”: basta leggere a pagina 76 e si scopre cos’è.
μ, per punizione, viene spedito colà: a “Barbiana” – luogo barbaro. Quei vili ecclesiasti si augurano che egli faccia delle storie e si ribelli: “Invece μ non rifiuta, anzi.”
Appresso a ogni foto, nelle pagine pari, ci piazzi un tocco di canzone di Fabrizio De André: che dire, grazie anche per questo! È uno dei miei miti viventi (anche se il poveretto è già Colà).
M’immaginavo, non so perché, da quell’ignorante conclamato che ero e sono, che μ fosse un bamboccione, nel senso di pretonzolo bonariello, invece no: egli sa essere acido, se serve. E determinato, quando dice: “Chi non crede dirà allora di noi che pretendiamo di saper troppo, avrà orrore dei nostri dogmi e delle nostre certezze.” – e ‘ste diffidenze porteranno acqua al mulino della libertà di pensiero: “Per noi è un onore.” – perché il disonore è non sapere che fare della vita.
Parla dei suoi “figlioli”, a cui manca: “il dominio sulla parola. Sulla parola altrui per afferrarne l’intima essenza e il confine precisi, sulla propria perché esprima senza sforzo e senza tradire le infinite ricchezze che la mente racchiude.” – intende scongiurare lo spreco di risorse umane, così essenziali per l’esistenza della comunità.
Leggo a pagina 94 della possibile “sanzione” che può essergli comminata per la sua libertà espressiva: “(la parola? il sacerdozio?)”, e questo mi fa pensare al mio venerato (bada che sono un ignorante di dio, mica un cristiano) Padre Aldo Bergamaschi, allievo di don Primo Mazzolari (che tu citi a pagina 61), nonché autore di Mazzolari fra storia e vangelo. Come certamente sai, Aldo fu messo a tacere dalle autorità ecclesiastiche per anni, e poi riammesso, per un tardivo buonismo. E poco dopo egli morì, ma io feci in tempo ad andarlo a trovare! Ma lo sai che tanto lo amo?
Scrive μ: “Io seguito il mio linguaggio alto e quindi o loro vengono al mio linguaggio o non ci si parla.” – che può parere una mezza prepotenza, ma è una potenza concessa a chi è umile ma non deve necessariamente continuar a esserlo. Umile e modesto sono due aggettivi dalla doppia faccia: assai utili a chi intende sottrarre diritti al prossimo: necrofile risorse del cristianesimo storico! Quello ridotto al rango di religione, diceva Aldo. Scrivici un libro su di lui, ti prego!
μ scrive ancora: “Bisogna far in modo che si possano difendere con l’istruzione…” – chi? Tutti gli umani! Senza eccezioni!
A pagina 126, riporti μ in modo duplice. Prima scrivi: “lui, vittima designata della guerra per Firenze, non può non vedere il pontificato roncalliano come ‘un lampo di luce passato per sbaglio’ nel buio di un’istruzione ecclesiastica nutrita di calunnie adulatrici e interessate delazioni.” – e poi, ci piazzi la lettera in cui μ scrive: “… è stato soltanto un lampo di luce passato per sbaglio là dove ci deve essere soltanto buio. Il santo buio agghiacciante delle curie…”.
Sei davvero ferace nello scrivere: “… μ non vuole un risarcimento, né si prenota docilmente la riabilitazione postuma che la chiesa concede volentieri alle ossa.” – quelle da adorare: ma lo sai quante tibie ha Sant’Andrea sparse per il mondo!
Ora μ parla del “problema del dialogo” – che è fallito a tutti i livelli ecclesiastici, a quanto vedo.
A pagina 131 μ scrive che “il comportamento della curia verso di me (come anche verso altri preti) è semplicemente criminale” – non riuscendo a rinvenire un termine più corretto e icastico.
Pensa che, nella mia follia di lettore, mi convinco sempre di più che μ stia scrivendo mentre lo sto leggendo! La fede è una gran cosa, ragazzo mio! Bisogna tenerla a bada, però! Che scotta!
A pagina 139, scrivi: “Incipit in discorso diretto, che azzanna” – a cui segue un riporto di μ. Hai preso da lui? Sei sempre così o è μ che ti stimola a essere più franco che Alberto?
μ scrive: “Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.” – non l’ascetica indifferenza.
A pagina 144 usi 4 volte, strategicamente, l’avverbio “perfettamente” – quasi fossi un giocoliere verbale. Alla fine della pagina seguente chiami la di lui mamma: “la yiddishe mame – Alice Weiss.” All’inizio della pagina dopo, scrivi: “Del destino della lettera ai giudici, invece, sono artefici coloro che la comprano come fosse un 45 giri…” – con una canzone vetusta tipo Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar… – l’ultima è una mia piolata…
μ insiste nella sua crociata: “Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio…”. E chiama un collega, si fa per dire, un antagonista: “un deficiente indemoniato” – a cui, immagino, non affiderebbe nemmeno la custodia di una bici forata.
Infine parli de La Lettera che μ scrisse, di cui nulla voglio dire se non che non vedo l’ora di leggerla. Non me la devi imprestare, ché la voglio logare (id est lughêr) nella mia libreria per l’eternità. Questo riporto: “Sì, sarà un libriccino che lavora ‘alla vendetta di Dio e Dio non conosce mezze misure.” – meno male, Alberto, che tu Lo conosci, e Gli dai del té: per me resta l’Enigma.
Di “Giampaolo” dice che “È scemo” – e spiega perché. Le sue sono contumelie, senza dubbio, sempre più meritate che, forse, meditate.
Simpatica e distruttiva è la lettera di μ che tu definisci “come una gag”: da leggere per farsi due acidule risate.
μ sta male, ma è contento di starsene a letto a fare, finalmente, le cosette sue: “Non mi par vero perché ho piacere di star qui questo mese a lavorare alla lettera.” – e “… ormai mi sono abituato a questa vita e mi pare fatica.” – andare a Firenze e poi… Chissà Dove.
Mi piace quel suo: “Cencio a leggerla per trovare parole difficili.” – la maltratto con un cencio?
E poi: “Sto disteso tutto il giorno e ci guadagno anche dal punto di vista della coda che di fatto sta meglio.” – povero passerotto!
Quasi in fin di vita μ “deve mediare. Deve: se deve evitare che la sua ultima professione di fede…” – ma vada a Fiesole! – che, come sai, è un’espressione che si usa dalle nostre parti, non so perché, per non dire di peggio, che qui non è il luogo adatto. Meglio augurare cosmologicamente: che faccia una fine entropica! Ci andiamo a fare un salto a Fiesole, un giorno? Ci stai?
Di non capisco bene che, egli si chiede: “È molto volgare? Se sì mi attira in un modo speciale.” – e in questa pagina scopro che Oliviero Toscani, il fotografo, è cognato di un suo amico, lo Zani.
Della Lettera “L’autore è ‘Scuola di Barbiana’.” – tutti quanti! Poi avvisa: “Mi occorre dunque che un giornale o due diano per scontato che questo è un lavoro dei ragazzi…” – fra cui c’è lui e, misticamente, tu, Alberto, e anch’io, se mi prendete in quel gruppetto ardito di ligére.
“… il lavoro è tutto dei miei ragazzi salvo la mia regia (ma regia di povero vecchio moribondo).” – sarai per sempre, ora, caro sempiterno moribondo, anche se preferisco dire: diversamente vivace.
“… e quando Zani porta la prima copia a μ, ormai gravissimo, si prende un ironico rimprovero: ‘Bravo bischero, le finisci in una settimana.’” – essendo state stampate appena “cinquemila copie”!
Apprezzo e capisco all’86,43% il “demunito” che offri alla platea alla terz’ultima riga di pagina 183.
Ho gustato così tanto la recensione di Franco Fortini che ho deciso di non macchiarla con una mia reazioncella. Idem per il breve testo di PPP (Pier Paolo Pasolini), di cui colgo il misterico afflato per μ, e forse anche per me e per te, Alberto. Come se PPP volesse a tutti noi davvero bene!
Poi mi sorge un dubbio: il testo è di PPP, o di μ? Il fatto che non sia così evidente, è soltanto bello.
Ti scappa detto (!) a pagina 191: “La lettera è pronta per uscire in libreria quando μ è quasi pronto a uscire dalla vita.” – e poiché il momento è topico, ti chiedo: lo sai che anch’io scrivo (quasi) sempre a uscire, senza la d?
La vispa Teresina di Lisieux un bel dì scriveva: “Io sono la Pallina di Gesù Bambino; se vuole rompere il suo giocattolo, è libero di farlo; sì, io voglio davvero tutto ciò che Egli vuole.”
Tu, prezioso μ, sei un vero rompiballe, di quelli tosti! Ma è per gente come te che va avanti il mondo: tu spacchi la massa, producendo energia, in ossequio all’equazione einsteniana: E = mc2. Sei un guastafeste, ma per quelli come te, mirabile μ, il nostro pur minuscolo mondo potrà continuare a pazziare con quelle biglie…
Io non credo ai prodigi mistici, che se accadono sono fatti loro, però… ti giuro, non ti dico su cosa… che, voltando pagina 195, per un eterno attimo m’è parso di scorgere la foto di Arthur Rimbaud. Poi ho guardato bene ed era la tua immagine di bimbetto, μ, ché manco ci assomigli (se non nel mingere), a l’Epoix infernal, però qualcosa di analogo c’è fra voi due. Ex-agero? Certo! Perché, non m’è consentito farlo?
In Avviso 2 si parla di “parola” usata “come oggetto sacro” – e qui giunge a pisello o a fagiuolo, che dir si voglia, il dato che ne Il cappello scemo di Haim Baharier si dice che, in ebraico, davar significa cosa ma anche parola, parole-cose, non un mero parlare, ma un oggetto che, agendo, reca Altrove.
“La scrittura collettiva si palesa presto nell’esperienza di μ: già a San Donato si manifesta come uno strumento partecipativo che ha molte analogie con la produzione scritta politica e sindacale” – dove quel che conta è il collettivo, non tanto (nel senso di non solo) il dirigente, la cui regia è priva di autoritarismo.
E questo, a uno come me, che sempre prova un’incerta e quantistica diffidenza (a volte quasi terrore) per l’organizzazione umana, finisce, assurdamente, per piacermi, Alberto. Questo è il motivo per cui ringrazio sia μ che te. E per cui sono disposto a perdonarti perfino per quegli “apoftegmi” che, un po’ urticanti, ho sfiorato con sorprendente rispetto, manco fossero ciclamini, alla penultima riga di pagina 193.
Un’ultima gioiosa risata: ma dove l’hai pescato quel [scil…]? Mai sentito prima!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Alberto Melloni, Storia di μ ovvero Lorenzino don Milani, Marietti1820, 2023