“La ritrattista” di Chiara Montani: l’elixir di immortalità, la conoscenza assoluta

Dopo Il mistero della pittrice ribelle, Chiara Montani torna ad affascinarci con un superbo giallo storico. Abbiamo lasciato Lavinia e Piero ad Arezzo; si sono salutati, le loro strade si sono divise.

La ritrattista libro di Chiara Montani
La ritrattista libro di Chiara Montani

La ritrattista (Garzanti, 2022, pp. 351) è il secondo capitolo della vicenda iniziata a Firenze nel 1458. Sono trascorsi pochi mesi; l’incubo del fuoco ha smesso di tormentare le notti di Lavinia; ma il fuoco è inizio dell’incubo di Piero. I turchi stanno per sferrare la zampata letale alla Cristianità orientale; la Chiesa di Roma prepara una crociata per soccorrere la sorella morente. Lavinia e Piero affrontano un nuovo enigma nel segno dell’Arte; un mistero celato nelle rosse pennellate degli affreschi romani di Masolino da Panicale.

Roma 1459. Lavinia non avrebbe mai immaginato che qualcuno potesse commissionarle un ritratto. Vive a Roma, in una locanda dove altre giovani donne inseguono la propria indipendenza. Solo una cosa non è cambiata: accanto a lei c’è Piero della Francesca. E Piero è in pericolo. Dopo essere stato testimone di un incendio in cui ha perso la vita una vecchia amica, riceve una serie di messaggi cifrati che scatenano una gara d’astuzia in cui sembra che l’avversario sia sempre in vantaggio.

Piero e Lavinia si mettono sulle tracce di un antico manoscritto greco che potrebbe avere a che fare con il tentativo di salvare il Despotato di Morea, ultimo baluardo della cristianità contro l’invasione turca. Solo quando qualcuno attenta alla sua vita, Lavinia capisce che, lontano da pennelli e colori, il mondo può essere oscuro e pericoloso per una donna sagace e intelligente come lei. Che a volte bisogna andare oltre i propri limiti: solo così si può essere liberi davvero.

Piero è in visita a palazzo della Valle. Accusa un oscuro malessere; è ancora più turbato perché non riesce a dargli un nome. Eppure capita raramente che egli non comprenda le proprie sensazioni. Nel salone un odore altrettanto indecifrabile. Lucrezia e Antonio lo strappano ai suoi cupi pensieri; sono entrambi suoi amici. La donna è cresciuta con lui a Borgo San Sepolcro; lì hanno condiviso la gioventù. Della Valle è legato a Piero da un’affinità spirituale; la comune appartenenza alla cerchia del cardinale Bessarione ha suggellato la fratellanza di anime.

La cornucopia di Antonio non è mai stata così opulenta; la ricchezza conseguita nell’ultimo anno lo ha persuaso a intraprendere i lavori di ammodernamento del palazzo. L’artefice della fortuna di della Valle è Gregorio Caloianni; abilissimo contabile e lavoratore indefesso, egli è ormai radicato nel tessuto della casata per i preziosi servigi. La stima di cui gode gli è valsa l’incarico di coordinare il cantiere; sarà Caloianni a dispensare direttive a geni quali Leon Battista Alberti e Piero. Uno scricchiolio; dalla loggia un colpo attutito. Il malessere di Piero si risveglia come una bestia dal torpore. E graffia e morde quando si consuma il dramma. Una scia luminosa attraversa la sala; una palla di fuoco ghermisce Caloianni.

Le fiamme lo inghiottono; poi, voraci, si propagano nella stanza. Lucrezia cade; cade Antonio e grida, invoca aiuto. Piero sente una mano stringergli la gola; una presa sempre più vigorosa mentre egli precipita nelle profondità dell’incoscienza. Il maestro riaffiora da quel buio nulla; giace disteso in un angolo della loggia. L’aria fresca riempie i polmoni; il ricordo dell’incendio invade la mente, divampa l’angoscia. Piero si trascina fino al salone; i corpi di Lucrezia e Caloianni sono tizzoni ormai estinti. Antonio è salvo; vivo ma distrutto dal dolore per la morte della moglie.

Lavinia è a Borgo San Sepolcro, ospite del fratello di Piero. Marco della Francesca, è un mercante; dal capostipite Bernardo, tutta la famiglia ha ereditato la vocazione mercantile. La giovane deve decidere quale corso dare alla propria vita; intanto aiuta in casa e coltiva la passione per la pittura. In segreto studia, in segreto dipinge. Come già nella bottega dello zio, anche nella stanza di Piero non resiste all’impulso di impugnare stilo e pennello.

La Confraternita della Misericordia aveva commissionato un polittico al maestro; le tavole giacciono abbandonate. Il pio istituto protesta per l’inadempienza e sollecita la conclusione del lavoro. Lavinia è rapita dalle figure già realizzate; la sua immaginazione si accende, la mano dà forma alle idee.

Nel pieno del furor creativo, viene sorpresa da Aram. Egli è il servitore di Piero; aveva scortato la ragazza da Arezzo. Il giovane si dice preoccupato per il maestro; avrebbe dovuto fare ritorno a Borgo San Sepolcro qualche giorno prima. Avevano concordato un incontro per quella stessa sera. Ma Piero non è arrivato; e non è solito mancare agli appuntamenti. Aram intende scoprire cosa ne è stato di lui; partirà per Roma.

Lavinia teme per l’uomo che le ha salvato la vita. Se fosse in pericolo? Piero si è sacrificato per lei, per lei ha tradito i propri principi; come potrebbe la ragazza restargli lontano, senza notizie, lacerata dall’angoscia? Aram non vuole sfidare la collera del padrone; non porterà con sé Lavinia. Ma ella non si arrende; si unisce a un gruppo di pellegrini diretti nella Città Eterna.

La ritrattista di Chiara Montani - Photo by Tiziana Topa
La ritrattista di Chiara Montani – Photo by Tiziana Topa

Il cammino è lungo, faticoso; quasi mortale. L’intervento provvidenziale di Aram salva la giovane dalla lama di un brigante; non gli resta che disobbedire al padrone e permetterle di seguirlo. I due arrivano a Roma il 22 aprile al suono dei Vespri. Il maestro non è in casa; le parole di una fantesca rincuorano Lavinia. Piero è uscito con suo cugino Francesco; dunque non gli è accaduto nulla, quantomeno nulla di grave. Ma al ritorno, il suo sguardo torvo tradisce pensieri molesti. Il maestro racconta ad Aram dell’incendio; ha le mani fasciate, il malumore esacerbato dalla presenza di Lavinia.

La ragazza si ritrova a vagare per le vie di Roma; è smarrita e confusa ma non ha paura. Prova un senso di leggerezza; per la prima volta assapora la libertà. Ma conosce anche le insidie della città; per poco un ladruncolo non le sfila il borsello. Una donna mette in fuga il ragazzino; è Rita, schietta e sfrontata popolana, giunonica come una matrona. Gli occhi di Lavinia, il suo tono di voce chiedono ciò che ella non osa chiedere; Rita coglie il non detto e le offre aiuto.

La conduce alla locanda gestita da monna Florina; un microcosmo femminile, ordinato e laborioso, guidato con lungimiranza e assennatezza. Monna Florina è una donna di mondo; la solitudine di Lavinia non la scandalizza. Non la scandalizza la sua attività artistica clandestina; anzi sembra solleticarla. La ruvida accoglienza di Piero non ne lascia presagire la visita alla locanda; ancora meno la richiesta che rivolge a Lavinia. Egli deve, vuole continuare a indossare la maschera di burbero; le parole fluiscono stentate ma sincere: la prega di restare.

Voleva tenerla lontana per non coinvolgerla nella situazione che egli si trova ad affrontare; una matassa di pericoli. In seguito all’incendio, Piero ha trovato nella propria tasca un cartiglio; di sicuro ve lo ha infilato il suo salvatore.

Lavinia legge quelle poche parole; le appaiono prive di senso. Sono scritte con inchiostro azzurrognolo e sottolineate da una pennellata rossa. È evidente che lo sconosciuto cerca un dialogo con Piero; in quelle righe, il maestro ha colto un riferimento all’alchimia.

La vergine rossa è il cinabro. Un minerale usato dagli artisti come pigmento; esso è anche legato alla pratica alchemica. Piero è deciso a indagare; Lavinia sarà al suo fianco. Monna Florina commissiona alla ragazza il proprio ritratto; una donna dà colore alla speranza in cui ella non aveva mai osato sperare in quanto donna. Piero e Lavinia setacciano la casa di Caloianni; una pergamena vergata in caratteri greci si rivela un messaggio cifrato. L’intuito permette al maestro di svelare l’enigma: è un appuntamento.

L’indagine spinge Piero fino a Ripa; egli apprende da un portuale che poche settimane prima a Trastevere è scoppiato un incendio. La vittima è il greco Filodemo; la sua casa è bruciata con lui. Si era gridato al soprannaturale; l’acqua non estingueva le fiamme, anzi le alimentava.

Filodemo stava traducendo un codice; la vedova non ne conosce il contenuto ma ha avuto modo di sbirciare. Vi ha letto una dedica datata gennaio 1428, firmata dal vescovo di Selimbria. Egli scriveva che quel codice prezioso e segreto era un dono volto ad accrescere la saggezza di Teodoro II. Piero riceve un nuovo messaggio; il cartiglio indica tracce della vergine rossa in Santa Maria Maggiore, San Clemente e Monte Giordano.

Chi era l’artista che lavorò in quei tre cantieri? Era Masolino da Panicale. È probabile che egli si servisse di un cinabro estratto da un giacimento particolare. Carlo da Narni, detto il Grifo, faceva parte della maestranza che lavorò in San Clemente. Egli ricorda bene Masolino sui ponteggi della cappella di santa Caterina d’Alessandria; e ricorda bene anche Masaccio, accanto al suo maestro, amico e nemico.

Masolino non faceva che vantare il cinabro di cui si serviva. Era tanto tronfio quanto ermetico circa la provenienza; un segreto, questo, condiviso solo con Masaccio e un certo cardinale. E forse proprio tale segreto costò la vita a Masaccio; quella lingua lunga aveva annunciato una rivelazione scottante.

Niccolò Fioravanti, segretario di Bessarione, sfida i dolori della podagra; sono lancinanti, ma ancora di più lo è l’angoscia che lo opprime. Ha bisogno di conferire con Piero; ma Piero non è in casa. È Lavinia a ricevere il religioso; una visita rapida e concitata, giusto il tempo di affidarle un messaggio per il maestro. Fioravanti è già lontano quando la ragazza si accorge di una missiva; scivolata forse dalla manica del religioso, forse la causa del suo accoramento.

Un moto di pietà le suggerisce di recarsi ai Santi Apostoli per restituire il foglio al proprietario. Lungo le scale dello scriptorium Lavinia è urtata da un uomo; incappucciato, avvolto in un mantello nero, egli scende come una furia. Fioravanti è in fin di vita; con voce flebile, ridotta a un sussurro, invoca il perdono da Bessarione. Anche Piero è accanto a lui; abbraccia la stanza con lo sguardo, infila il locale adiacente lo scrittoio, scosta un pesante tendaggio. Apre lo stipo celato dal velluto, estrae due plichi.

Il primo è intitolato In calumniatorem Platonis; il secondo è protetto da una copertina in pelle rossa: vi è incisa una scritta in greco. Ubertino Posculo traduce quelle carte; contengono un poema funebre, destinato alla tomba della dèspina Kleofe Paleologina. Nata Malatesta, cugina di papa Martino V, ella fu data in sposa al despota di Morea Teodoro. Il matrimonio rispondeva a un fine strategico; esso siglava un legame dinastico tra il papato di Roma e il titolo imperiale.

La cattolica cugina del pontefice acquisì un’abitudine sconveniente; finì con il prendere parte ai sacri misteri, prima e unica donna ammessa. Lavinia visita palazzo Orsini; il cardinale Latino le illustra gli affreschi realizzati da Masolino. L’incontro volge al termine; nessun lume a rischiarare il buio dell’enigma. Allora con un guizzo di astuzia Lavinia ottiene una informazione; una chiave che schiude una porta serrata. Masolino aveva ottenuto dal cardinale Giordano Orsini lo sfruttamento esclusivo di un giacimento di cinabro; la miniera era ubicata in un feudo della famiglia. Lavinia è in pericolo; è diventata scomoda.

Il Caso la salva da un tentato omicidio; il Caso risparmia la sua vita ma pretende in cambio un’altra vita. Pur spaventata, divorata dal senso di colpa, ella non si ritrae; insieme a Piero si introduce nell’archivio papale. E scopre il nome innominabile che stava per essere nominato da Masaccio. Il mosaico comincia a ricomporsi; si ricompone una storia che parte da Morea e arriva a Roma.

Una vicenda di ricatti, di sangue; di segreti scritti sulla carta e nella vita dei protagonisti. Nella corte di Mistrà, nella Curia papale; sui ponteggi dei palazzi e delle chiese; ai tavoli di un’osteria; nelle tombe di Masolino e di Masaccio. Un serpente lungo trent’anni; dalle fauci alla coda, esso si snoda intorno alla forsennata ricerca dell’oro alchemico.

L’Elixir di immortalità, la conoscenza assoluta; sirene che da secoli hanno incantato l’uomo. Ma la trasmutazione della materia non è altro che una metafora. Essa indica l’evoluzione dello spirito; senza la quale non esiste elisir, né pietra, né conoscenza.

Ne Il mistero della pittrice ribelle abbiamo visto Lavinia patire un giogo pesante; in quanto donna, il pennello non le è concesso. La sua storia trasfigura le storie di tutte le donne che nutrono quella stessa passione. Ne La ritrattista il laccio che cinge la vita femminile si fa più stretto. Lavinia soffre obblighi e divieti imposti a una donna oltre le mura domestiche; in seno alla città, alla società, al mondo. La donna si qualifica giuridicamente come moglie, figlia, sorella di un uomo. La volontà di acquisire uno statuto proprio, non solo tollerato ma anche riconosciuto, non è sempre destinata a naufragare.

Chiara Montani - autrice
Chiara Montani – autrice

Donne benestanti e intraprendenti possono gestire un’attività; altre esercitare il mestiere appreso dal defunto marito; altre ancora dirigere un manipolo di lavandaie e scegliere tra esse la propria erede. La legittima aspirazione al sapere, soffocata dalle norme sociali, trova comunque una crepa da cui traboccare. Brucia il senso di disuguaglianza rispetto all’uomo.

“In quel momento, tuttavia, mi colpì come uno schiaffo il pensiero che, non molto diversamente da qualunque altro uomo, neppure lui mi avrebbe considerata una sua pari.”

Morde l’irragionevolezza della ragione; la sua voce maligna sibila all’orecchio muliebre che il sentimento va ignorato. Quando una donna è sola, senza esperienza, senza protezione, esso è vanitas.

 

Written by Tiziana Topa

 

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