“Dentro di me sta già nascendo Dio” poesia di Vasyl’ Stus: un inno per la glorificazione

La poesia “Dentro di me sta già nascendo Dio” di Vasyl’ Stus ‒ qui proposta in esclusiva nella traduzione/riscrittura in lingua italiana del poeta friulano Federico Ielusich ‒ è stata pubblicata nel 2022 all’interno del volume di poesia edito dall’editore modenese Mucchi nella collana “10×1” dedicata alla traduzione poetica – a cura di Antonio Lavieri ‒ dal titolo 10 poeti per Vasyl’ Stus e Marina Cvetaeva ‒ Dentro di me sta già nascendo Dio. Inimitabile mente la vita introduzione di Alessandro Achilli (slavista).

Vasyl's Stus - poesia - Dentro di me sta già nascendo Dio
Vasyl’s Stus – poesia – Dentro di me sta già nascendo Dio

Il volume propone due poesie, prima tradotte da A. Achilli, e poi variamente riscritte da 10 poeti contemporanei italiani: Annelisa Alleva (slavista, traduzione dagli originali), Fabrizio Bajec, Massimo Bocchiola, Roberto Deidier, Paolo Fabbraro, Rosaria Lo Russo, Paola Loreto, Valerio Magrelli, Annalisa Manstretta, Edoardo Zuccato. In fondo al volume, inoltre, all’interno della nota di A. Lavieri a pagina 70, si trova la riscrittura della poesia di M. Cvetaeva da parte di Franco Buffoni.

Il volume in esame propone due poesie dei poeti Vasyl’ Stus e Marina Cvetaeva. Essi sono stati in vita oggetto dei più generali e determinati ostracismi vigenti in Urss contro ogni “diverso”, tanto più un “poeta”, un artista, un intelligent, se non peggio, un dissidente. Gli intellettuali erano lì considerati gente fatua e inutile se non erano “al servizio del popolo” e supini ai suoi gusti, questi ultimi, però, interpretati dal regime via via in modo diverso secondo la contingenza politica.

Come dice Pietro A. Zveteremich:Accomunati dal medesimo destino/vocazione alla verità e non alla sopravvivenza, che per i poeti come per gli scienziati e gli uomini tutti che abbiano dignità, significa negazione di sé e dei facili vantaggi.” (P.A. Zveteremich – nota introduttiva al volume Marina Cvetaeva – Poesie – Feltrinelli-2021).

Stus e Cvetaeva erano accomunati dalle medesime affinità elettive per Rilke, Goethe, la lirica dell’Espressionismo tedesco, gli Esistenzialisti tedeschi (Camus, Heidegger, Sartre, Ortega y Gasset, Jasper in aggiunta per Stus) e Pasternak, (Taras Shevčenko in aggiunta per Stus), autori con cui essi si sono liberamente misurati e che tanto hanno contribuito all’evoluzione del loro stile poetico inimitabile e unico. Entrambi sono stati personalità geniali, sublimi poeti, colti intellettuali, traduttori, mistici laici di formazione cristiana – e su di questo non vi è dubbio- accomunati dall’anelito al Divino e dalla capacità di scorgere qualcosa nel sovrasensibile, tesi all’ascolto degli echi dai Regni delle Sublimità. Come diceva T.S. Eliot: “La differenza fra arte e fatto è l’assoluto”, ovvero nel caso di questi poeti la capacità di andare oltre la contingenza dei loro accadimenti personali verso una profonda focalizzazione sulla propria interiorità e sul loro Sé-Transpersonale nella concezione della poesia come sublimazione, come tensione comune al superamento dei vincoli della corporeità verso la Realtà Sovrasensibile e il Mondo Poetico.

“Dentro di me sta già nascendo Dio” di Vasyl’ Stus

Si dischiude il Divino
‒ già in me,
e seminoto, semiobliato,
come fossi in me e non in me,
lungo l’orizzonte della morte,
dove vive ‒ mio nipote e l’avo ‒
egli attende, finché varcherò la soglia.
Io con Lui vivo in due. In due esisto,
quando non c’è nessuno. E rimbomba la sciagura
come connonata. Lui è la Salvezza,
e io con labbra esangui lo invoco: Salvami,
Mio Signore! Salvami per un attimo,
che poi, in stato di quiete, salverò
me stesso. Me – medesimo.
Lui vuole uscire da me. Desidera,
salvando, il mio olocausto.
Affinché nel turbine della tribolazione, atro Buran,
sfoderi dal fodero fatale, l’acciaio
acuminato dell’anima mia. Vuole abbandonarmi,
perché si spenga la candela dolente. Perché la densa notte
della sottomissione mi salvi,
con un altro stato d’esistenza. Una vita nuova. Come un nome
che ormai non mi appartiene: eccola quella massa,
che è governata da quel dio folle,
che in me ama dischiudersi.
(e io anche quella candela santificherò,
perché per me non cali la tenebra anzitempo.
Di rischiarato aspro sentiero – candela nera –
come vittoria nell’ombra).

“Dentro di me sta già nascendo Dio” ‒ nota critica

Nel primo verso di questa celebre poesia stusiana sono evidenti l’estetica modernista, i riferimenti alla poetica di Rilke e in particolare alla sua ultima produzione poetica (di cui lo stesso Stus era stato lettore e traduttore), in cui emerge con prepotenza il misticismo cristiano scevro dal panenteismo tipicamente rilkiano nonché riferimenti ad una lirica di Bohdan-Ihor Antonyč. Nell’adattamento del testo ucraino della poesia alla lingua italiana, tenendo conto dei testi di altre poesie di mistici cristiani (S. Giovanni della Croce, S. Teresa d’Avila), della mistica eckhartiana, nonché basandosi sulle dottrine del misticismo rabbinico, delle filosofie dell’estremo oriente (filosofia vedanta, buddismo) e dei principi della filosofia neoplatonica (Plotino) ripresa da Marsilio Ficino in epoca rinascimentale, si riterrebbe più opportuno esprimere il processo della ierofania/teofania del Divino nell’interiorità del poeta utilizzando la forma verbale “si dischiude” al posto di “sta nascendo”, la quale implica un processo graduale e progressivo simile al rischiararsi del cielo nella sequenza notte, aurora, alba, giorno fatto, preferibile al verbo “nascere” che evoca collateralmente un evento comunque violento e drammaticamente doloroso ‒ oppure allo schiudersi dell’uovo cosmico/filosofico della tradizione orfica/alchemica. Inoltre si riterrebbe più appropriato associare il “già in me” al Divino e non al processo di rivelazione dello stesso, questo in armonia a quanto da sempre sostenuto dalle dottrine mistiche di vari credi religiosi e filosofie in ambito ontologico secondo cui esisterebbe in ogni individuo in nuce una scintilla divina (es. atman) che, attraverso un lungo e doloroso processo (notte oscura dell’anima sensitiva e spirituale), porterebbe alla sostituzione dell’io microcosmico con l’Io Macrocosmico (Divino) accompagnato da una progressiva ed irreversibile dissoluzione dell’io personale visto per sua stessa natura come puramente illusorio (come nell’archetipo junghiano dell’immagine della “sciabola sfoderata” proposta nella poesia stusiana).

Si ripropongono trasposte, ad integrazione del testo del recensore, qui di seguito alcune valutazioni critiche proposte da Liudmyla Kukharyk nella sua tesi Vasyl’ Stus ‒ Prof. B. Sawicki – Pontificium Athenaeum S. Anselmi De Urbe (11035) 2021. La teofania è per l’io poetico causa di angoscia mentale: egli sperimenta uno stato ontologico di morte-esistenza, e per la propria autorealizzazione, non fugge ma sopporta ad ogni costo proprio per essere se stesso e in completa armonia con sé. Le immagini proposte da Stus possono essere interpretate anche come metafora del poeta che teme di essere abbandonato dall’ispirazione a mezza riga. Nella poesia la relazione col Divino si articola in modo a tratti franco e a tratti multi-interpretabile. La forma poetica è adatta a esprimere l’ambiguità del rapporto con Dio. L’esperienza personale del Mistero di Stus si manifesta sia a livello di contenuto che di fonetica ritmica ed energia, raggiungendo a volte la glossolalia.

Il linguaggio poetico utilizzato dal poeta comprende termini del linguaggio ordinario, della antica Chiesa Slava Ortodossa (veteroslavo bulgaro) e termini aulici e dialettali galiziani d’elite. Si riscontra, inoltre, un altro tratto caratteristico dello stile stusiano, ovvero la presenza di neologismi o di termini composti contenenti il suffisso samo-, che significa “auto-“ o “da sè” – una forma di gusto sostanzialmente esistenzialistico di autoanalisi, tratto caratteristico come l’uso straniante del genitivo moltiplicato. Per descrivere le sue esperienze trascendentali il poeta trasforma il significato di parole di uso comune per adattarle al significato emotivo soggettivo, che ha compreso sperimentandolo. Il linguaggio e lo stile poetico stusiano fa sì che in generale non si possono trovare testi che possano considerarsi canonici.

Lo Sherek sostiene che: “In Stus la complessità del linguaggio, che va ben oltre la complessità e anche oltre il linguaggio, deriva dall’atteggiamento di preghiera nei confronti della poesia”. Secondo A. Achilli (La lirica di Vasyl’Stus: Modernismo ed intertestualità poetica nell’Ucraina del secondo Novecento, Firenze University Press, 2018): “L’opera stusiana mostra un utilizzo delle possibilità del linguaggio poetico molto insolito. L’accostamento di neologismi basati sulla stessa radice, la riduzione della componente verbale e alla generale rivalutazione del valore iconico della singola parola al di là della costruzione sintattica”.

Come tanti altri testi stusiani la sua essenza è la Sacra Scrittura e altri testi di carattere religioso. Per Stus l’esperienza narrata nella poesia non sarebbe una mistificazione letteraria e quindi la separazione fra io personale e io lirico sarebbe da ritenersi evanescente. Stus crea un inno per la glorificazione di Dio (in cui pone il fine ultimo della sua missione), strutturato come atto di confessione, intesa come livello più alto di apertura e introspezione, spostando la dimensione intima/personale a quella sacra e trascendente. Per l’autore la confessione è strumento di purificazione e avvicinamento a Dio, e quindi, strumento di profonda conoscenza di sé.

L’io lirico si esprime con una profonda sincerità che i critici definiscono “onestà patologica” e che lo rende quasi prigioniero della sua coscienza, un tratto che lo accomuna alla corrente mistica dei “folli di dio”. Si rileva il tema della “perdita completa di se stesso” come apocalisse individuale. Il poeta, calato nel profondo dell’ego trascendente, percorrendo un sentiero interiore e esteriore di passione e agonia, scopre di essere sulla vera via, la via per placare lo spirito e la carne.

Compaiono anche i temi del dolore e della sofferenza, un leitmotiv in Stus, attraverso cui in modo paradossale l’autore scopre, sia di poter raggiungere l’equilibrio mentale per evitare di frantumarsi sotto la pressione delle circostanze, sia, nell’apogeo del dolore/agonia (come scelta deliberata e consapevole), di poter conseguire la Luce e la vittoria definitiva contro l’ombra, i vincoli della materia e i suoi persecutori (“vittoria di soppiatto”).

Colto in un istante di dubbio, vessato dalla prova dell’anima e del corpo e dalle tribolazioni esterne durante uno dei momenti più duri della notte oscura dell’anima, il poeta chiede a Dio di allontanare da sé “l’amaro calice” quel tanto che basta a riprendere l’equilibro mentale per procedere e completare il processo di purificazione del suo essere per diventare uno col Divino in una dimensione di santificazione e vittoria permanente, riflesso della resurrezione cristica.

Vittoria non violenta anche contro i persecutori di Stus e del popolo ucraino, nella realtà relativa, ovvero superamento dell’odio e della logica dell’“l’occhio per occhio”. Si rilevano nel testo archetipi mitico-biblici ed archetipi collettivi legati alla luce divina e al processo della fusione dell’anima col divino ‒ che fanno parte del tipico repertorio figurativo dei mistici: (fuoco, luce, candela, fodero-spada) e contrappunti biblici (amore del signore, sacrificio). Affascinante l’immagine del limine mortis, apparente paradosso ontologico ‒ dove l’io poetico percepisce in vita sia il nipote che l’avo (passato e futuro dell’io familiare) ‒ prima della definitiva morte fisica. Si rileva, inoltre,  la somiglianza fra il limine mortis stusiano e l’immagine proposta dall’astrofisica e dalla fisica quantistica dell’”orizzonte degli eventi” attorno ad un buco nero, una sorprendente metafora di un divino/singolarità astrofisica ‒ per sua natura di “ente ineffabile/massa infinita” ‒ che con la sua teofania è in grado di curvare asintoticamente il tempo lineare della storia umana verso il tempo circolare dell’eterno determinando effetti paradossali sulla trama percettiva spazio-temporale dell’io lirico.

Si sottolinea che nella poetica stusiana si rilevano frequentemente riferimenti astronomico-cosmologici di bellezza gloriosa (nero dietro le stelle, spirali di galassie, ecc.). Si riscontrano qua e là nella poesia alcuni riferimenti autobiografici. Le labbra pallide/esangui richiamano la grave anemia di cui soffriva Stus a causa delle ulcere gastriche/gastrectomia e della denutrizione. Il vento tempestoso di Buràn, oltre ad essere metafora della prova e dell’inverno della vita terrena, potrebbe essere un riferimento alla sua detenzione in un campo di lavoro in Mordovia. Tipicamente stusiano lo sconfinamento nel grottesco/surreale e nella satira verso i suoi persecutori rappresentato dal “Dio che governa/manipola la massa” riferimento alla dottrina marxista che definisce le religioni “oppio dei popoli”. Da segnalare nello stesso verso, in antitesi, il Dio definito “folle” che “nasce” nell’intimo del poeta, “folle” perché l’ironica e paradossale condicio sine qua non della sua teofania e delle completa fusione Anima/Divino è il libero, auto-determinato auto-annichilimento dell’io del poeta (ma anche dell’Io collettivo/Popolo ucraino del poeta), un io forte, tenace, adamantino nella lotta per la difesa dei propri ideali, della propria identità culturale e nazionale dai suoi persecutori sovietici. Il tema della luce della candela nera riprende un passaggio dell’Antico Testamento in cui si dice: “YHWH consuma lo spirito dell’uomo come fiamma la candela”. Si riscontra, inoltre, una interessante corrispondenza fra il testo cinquecentesco de La notte oscura dell’anima e alcuni passaggi del suo commentario esegetico di S. Giovanni della Croce e la simbologia stusiana “luce/candela nera/via”, “luogo dove non c’è nessuno”. Nello specifico si riportano i seguenti passaggi:

“In una notte oscura,/ con ansie […]/ uscii, né fui notata,/ […] nella gioiosa notte,/ […] né altra luce o guida avea/ fuor quella che in cuor mi ardea./ […] e questa mi guidava,/ più sicura del sole a mezzogiorno,/ la dove mi aspettava/ chi ben io conoscea,/ in un luogo ove nessuno si vedea./ […] notte che riunisti,/ l’Amato con l’amata/ trasformata l’amata nell’Amato./ […] la giacqui, mi obliai […]/ lasciando ogni pensier/ […] perdersi obliato./” – “La luce divina purifica l’anima e la predispone alla perfetta fusione col Divino come fa il fuoco con il legno […] lo rende nero […] e alla fine lo rende brillante come è esso stesso. […] il fuoco divino dell’amore contemplativo che, prima di unirsi all’anima la trasforma in Sé (…) la purifica da tutti i suoi elementi contrari […] la rende nera […]. Questa purificazione divina rimuove gradualmente tutti gli umori viziosi radicati profondamente in lei che non riusciva a vedere. […] Perché li possa distruggere […] illuminata dalla contemplazione della luce divina […] l’anima ha la sensazione chiara di essere guardata da Dio […] ma anche l’impressione di essere da Lui aborrita. […] Le sofferenze dell’anima provengono dalla contemplazione delle debolezze e imperfezioni residue dell’anima, che senza questa purificazione è incapace di ricevere completamente la luce divina. […] L’anima man mano che si purifica […] si infiamma sempre di più della luce dell’amore divino.”

Dieci poeti per Vasyl’ Stus e Marina Cvetaeva
Dieci poeti per Vasyl’ Stus e Marina Cvetaeva

Si consideri, inoltre, che Stus condivideva il pensiero del filosofo Nikoli Berdiaev’s (A. Achilli – Ivi) (Filosofia della Libertà -1911) per il quale è centrale l’idea della libertà spirituale. Egli postula un principio divino spirituale (Conoscenza/Sofia/Logos/Ragione/Verità) della realtà e dell’uomo. Ritiene che sia fondante il recupero dell’essenza divina umana, che si manifesta nella creatività umana. Come meta ultima pone il raggiungimento di uno stato di affrancamento completo dal peccato originale ovvero lo stato esistenziale di Uomo-Dio (V. Solov’ëv’s). Secondo il filosofo questo risultato può essere ottenuto solo abbracciando in modo attivo, consapevole, libero, e, con un ossimoro, gioioso, il dolore. Una apertura verso il Trascendente, il misticismo come sentiero che conduce alla completa comunione col divino, via per conseguire la ierofania del divino velato nel profondo di ogni essere umano. Personalmente si rileva in Stus anche una corrispondenza con le dottrine antroposofiche enunciate nei primi del Novecento da R. Steiner (La filosofia della Libertà) – pensatore che influenzò tangenzialmente anche la visione filosofica di Rilke ‒ e con i principi delle dottrine esoteriche rosacrociane. Sarebbe opportuno indagare se Stus avesse letto i testi di S. Giovanni della Croce o di R. Steiner (alla formazione del cui pensiero contribuirono anche Goethe e gli Esistenzialisti tedeschi) o se, invece, si tratti di una corrispondenza data da un vissuto personale del poeta, avvalorando così la tesi del misticismo di Stus e del suo contatto con realtà metafisiche.

Entrando concisamente nel merito della traduzione/trasposizione in italiano del testo del poeta, in base a quanto chiarito sommariamente sopra, il lettore potrà rendersi conto che la traduzione di quest’opera possa essere solo un esangue simulacro dell’originale anche considerando le eccezionali difficoltà rappresentate già in primo luogo dalla radicale diversità fra lingua italiana e l’ucraino e da tutta la tipologia del discorso poetico dell’autore in esame. È indubbio che nella traduzione è prioritario il principio semantico, in base a cui la fedeltà al significato di per sé è garanzia della possibilità di trasferire l’essenza di un originale da un sistema semantico all’altro.

“Ogni traduzione/trasposizione è un approssimativo equivalente dell’originale, ma molto dipende dal grado di avvicinamento, dalla corretta comprensione della specificità del dato organismo poetico e del messaggio contenuto in esso.” ‒ P.A. Zveteremich – M. Cvetaeva Poesie, Feltrinelli, 2021

Stus che apparentemente presenta un verso con una poetica e una struttura più “classica”, in linea di massima, si presenta più “insidioso” e si presta a una traduzione e a una trasposizione su cui sono applicabili maggiori licenze poetiche. In conclusione: ”Anche in traduzione, rimane –a mio parere ‒ la presenza di questa personalità eccezionalmente forte, si trasmettono almeno gli indizi delle sua azione nel linguaggio poetico moderno, di quanto seppe offrire per una poesia capace di rinnovarsi dal suo interno, l’eco di una lirica nativa ed intellettuale, una poesia capace di allargare la propria visione e a calarsi nel fondo, negli abissi; che apre e trasfigura i temi strettamente soggettivi in una visione totale del reale, una lezione di rottura e di riconquista…” ‒ P.A. Zveteremich – M. Cvetaeva Poesie, Feltrinelli, 2021

 

Vasyl’ Stus è stato una personalità affascinante del XX secolo, poeta straordinario di rara cultura, talento e coraggio, nonché traduttore, scrittore, libero pensatore, mentore delle giovani generazioni dei poeti ucraini, dissidente, attivista per i diritti umani, sostenitore dell’ahimsa, patriota e “prigioniero politico”. Un impegno verticale in larga parte dedicato alla difesa dell’identità culturale del popolo ucraino. Egli nacque la Vigilia del Natale ortodosso del 1938, coincidenza che consolidò in seguito il rafforzamento del suo culto martiriologico. Trascorse la sua infanzia in Donbas a Donec’k (esperienza che contribuì alla costituzione della sua identità). Fu membro di spicco del gruppo di intellettuali detti shistdesiatnyky (attivi nella promozione di una rinascita della cultura e della vita civile ucraina), ma a causa delle sue pubblicazioni in lingua ucraina, della discrepanza all’ideologia e della sua adesione alla protesta contro gli arresti di intellettuali ucraini, venne dapprima espulso dall’Università di Letteratura di Kiev, successivamente (gennaio 1972) fu arrestato. Venne condannato a cinque anni di prigione e a tre anni di esilio a Magadan con l’accusa di “agitazione e propaganda antisovietica”. Nonostante le condizioni intollerabili di prigionia, Stus continuò comunque la sua attività di prolifico poeta e traduttore, ma tutto ciò che scrisse venne confiscato. Dalla prigione rinunciò alla cittadinanza e scontata la pena ritornò a Kiev. Contribuì alla formazione del “Gruppo Helsinki”. A maggio 1980 fu nuovamente arrestato, riconosciuto recidivo e particolarmente pericoloso, venne di conseguenza condannato a 10 anni ai lavori forzati e 5 anni di esilio. Morì il 4 settembre 1985 a soli 47 anni nel terribile GuLag Perm-36, “ufficialmente” per un attacco cardiaco nel corso di uno sciopero della fame. In tutto trascorse 15 anni in esilio e in detenzione come prigioniero politico in condizioni disumane subendo ogni genere di vessazione, violenza psicologica e, in base alle testimonianze delle persone a lui più vicine, torture fisiche. Venne candidato da un comitato internazionale di studiosi e letterati al Premio Nobel per la Letteratura nel 1986, ma la candidatura non andò a buon fine per la morte prematura del poeta.

Lo stile stusiano nella sua globalità appare molto variegato nel corso di tutta la sua produzione letteraria ed è caratterizzato da una poetica matura, moderna e complessa. Contraddistinta da uno stile ermetico, centrato sul principio soggettivo, l’opera stusiana rappresenta una ripresa del ricco impulso modernista ucraino degli anni 30’ del Secolo Breve (interrotto bruscamente e tragicamente dall’annichilimento fisico di svariati intelligents ucraini o dalla loro forzata conversione all’ideologia del realismo socialista), nonché la manifestazione del desiderio del poeta di divenire l’elemento di punta del rinnovamento della cultura ucraina. Alla luce degli argomenti succitati si intende valutare la poesia Dentro di me sta già nascendo Dio sia sulla base del vissuto umano di questa personalità geniale (il maggiore intellettuale del 900’ ucraino) sia come icona di gigante dello spirito/martire. Si considereranno solo alcuni aspetti della sua figura postuma di icona pop e in particolare il suo ruolo di Coscienza del popolo ucraino, lasciando all’ambito sociologico gli altri aspetti non pertinenti che, sovente, hanno velato e sopravanzato l’opera letteraria stusiana ovvero: il mito dell’indipendenza ucraina e l’incarnazione del suo impegno politico. La Chiesa considera Stus un mistico al di fuori della Chiesa istituzionale. Dall’analisi degli scritti dell’autore traspare una sua maggiore attrazione per la forma occidentale del Cristianesimo.

 

Written by Federico Ielusich

 

Bibliografia

10 poeti per Vasyl’ Stus e Marina Cvetaeva – Dentro di me sta già nascendo Dio – Inimitabile mente la vita
Introduzione di A. Achilli con nota di A. Lavieri – Collana 10×1 – Mucchi Editore – Modena – 2022
Vasyl’ Stus – I grandi mistici moderni: un panorama di varie configurazioni tra spiritualità, cultura e vita (55132) – Stud: Liudmyla Kukharyk (11035) Prof: B. Sawicki – 2021 – Pontificium Athenaeum S. Anselmi De Urbe – Istituto Monastico
Vasyl’ Stus and Russian Culture: A Complex Issue – A. Achilli – University of Milan, Italy – Copyright @2013
Australian and New Zeland Journal of European Studies Vol.2013 5(2) – ISSN 1837-2147 (Print)
Vasyl’ Stus: una vita tra poesia e dissidenza nell’Ucraina tardo-sovietica di M. Napolitano – Sito
La lirica di Vasyl’ Stus: Modernismo e intertestualità poetica nell’Ucraina del secondo Novecento di A. Achilli – FUP – Firenze 2018
The death of Vasyl Stus di N. Svitlychna traduzione di M.D. Olynyk – Index on Censorship 2/86

 

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