Le métier de la critique: San Basilio il Benedetto e la Santa Follia

“Perciò, ecco, io continuerò a fare inverso questo popolo maraviglie grandi, e stupende; e la sapienza de’ suoi savi perirà, e l’intendimento de’ suoi intendenti si nasconderà. […] Gli umili avranno abbondanza di gioia nell’Eterno, e i più poveri tra gli uomini esulteranno nel Santo d’Israele.” – Isaia, 29

San Basilio il Benedetto
San Basilio il Benedetto

Lo jurodivyj – in italiano noto come “folle in Cristo” o “santo idiota” – è una figura del mondo ortodosso russo, le cui origini risalgono all’antica tradizione ascetica bizantina.

Inizialmente assimilabile agli asceti del deserto o ai profeti mendicanti, il “santo stolto” si mascherava tra i buffoni di corte e delle piazze, fingendo, recitando e suscitando “scandalo” (una prerogativa cristologica) con gesti folli, ma ad un occhio attento carichi di forza liberatrice, e compassione verso l’essere umano.

Fra i più noti folli in Cristo della storia russa troviamo Basilio il Benedetto. Questo personaggio nacque in un villaggio di contadini, appena fuori dalle mura del Cremlino, nel dicembre del 1468.

Le numerose tradizioni sul suo conto, quali, ad esempio, quelle contenute nel Sinassario[1] dei santi ortodossi, ci raccontano molti episodi riguardo alla sua vita e ai miracoli a lui attribuiti: fin da bambino, Basilio amava la preghiera solitaria e la vita ascetica.

Fu affidato come apprendista ad un calzolaio, sino all’età di sedici anni, quando, mentre era al lavoro nella bottega, si mise a ridere alla richiesta di un cliente che intendeva commissionare un paio di scarpe che dovevano durare svariati anni. Interrogato dal maestro sul perché ridesse del cliente, rispose:

“Mi sembra strano che quel signore ordini delle scarpe per alcuni anni, dato che morirà domani”.

La predizione di Basilio si avverò e a quel punto il giovane non volle più lavorare nella bottega del calzolaio, sentendosi chiamato alla vita di “folle in Cristo”, adottando uno stile di vita eccentrico che lo spingeva a rubare nei banchi del mercato per donare poi la refurtiva ai poveri di Mosca.

In tutte le stagioni camminava per le strade nudo e legato a delle catene, passando la notte in preghiera sotto i portici delle chiese seminudo e scalzo, fingendo di essere muto con chi lo interpellava, ma senza alcuna esitazione nel rimproverare ad alta voce gli ingiusti quando lo riteneva opportuno; affermava di continuo: “Se l’inverno è atroce, il paradiso è dolce”.

Condusse questo genere di vita fino alla morte, rimproverando i viziosi, ed esortando tutti a praticare la verità e il bene.

Basilio sentiva propria la missione di aiutare i poveri e ricondurli alla fede: per questo motivo cercava la compagnia dei mendicanti e degli esclusi, arrivando a visitare periodicamente i carcerati nelle prigioni di Mosca per parlare con loro.

Fingendosi pazzo, rovesciò un giorno le bancarelle del mercato del pane e le brocche del ‘kvas’ (una bevanda alcolica), suscitando le ire dei venditori che lo picchiarono selvaggiamente mentre lui accettava tutto con gioia ringraziando Dio.

San Basilio il Benedetto
San Basilio il Benedetto

Un’altra volta si scagliò contro l’immagine della Madonna portata in processione presso la porta di Santa Barbara, scrostandola e scoprendo sotto di essa la raffigurazione di un demonio.

Era noto anche per l’attitudine di lanciare i sassi contro le case dei cittadini timorati di Dio e baciava i muri delle case in cui abitavano persone notoriamente dedite al peccato.

Questo perché nel primo caso sosteneva di vedere i demoni che premevano all’esterno contro i muri, impossibilitati a entrare nella dimora dei giusti e nel secondo caso, sosteneva di vedere gli angeli che, abbracciati ai muri, piangevano le anime perdute dei peccatori.

L’ammirazione popolare per Basilio crebbe di giorno in giorno sia come uomo di Dio che come castigatore di costumi perversi, tanto da essere considerato il degno successore di Massimo, un altro “folle in Cristo” vissuto mezzo secolo prima e venerato in tutta Mosca.

La sua fama di santità raggiunse anche la corte dello Zar Ivan IV “il Terribile”, che volle provare se Basilio si lasciasse corrompere dall’oro; convocato a corte, lo Zar rivestì Basilio di splendidi abiti e gli donò dell’oro, poi lo fece seguire per osservare il suo comportamento.

Lasciato il palazzo reale, Basilio si recò sulla odierna Piazza Rossa, che all’epoca ospitava il mercato, e donò l’oro ad un mercante straniero. Meravigliato di ciò lo Zar chiese spiegazioni del perché avesse dato l’oro ad un ricco invece che ai poveri e Basilio rispose:

“Quel commerciante era molto ricco, ma la sua flotta affondò lasciandogli come sola ricchezza il lussuoso vestito che portava addosso, da tre giorni non mangiava e vestito così si vergognava di chiedere l’elemosina, mentre i poveri non arrossiscono e riescono a procurarsi il necessario”.

Il racconto serviva per dimostrare che i folli in Cristo non avevano timore di dire la verità anche davanti ai potenti. La biografia di Ivan IV attribuisce a Basilio anche altri aneddoti: durante una funzione religiosa rimproverò Ivan IV di non prestare la dovuta attenzione, essendo egli troppo impegnato a pensare al nuovo palazzo che aveva intenzione di far erigere fuori Mosca: si narra che da quell’episodio lo Zar iniziò a temere Basilio, che era stato capace di leggergli nella mente, e a manifestare verso di lui un rispetto ancora più grande.

Nel 1570 lo Zar, avendo saputo che i capi della “rivolta dei boiardi” erano alcuni nobili di Novgorod, inviò i suoi opričniki[2] con l’ordine di saccheggiare la città e di uccidere tutti i suoi abitanti.

Durante le terribili rappresaglie alle quali Ivan il Terribile sottopose la città di Novgorod, il folle Basilio incontrò lo Zar e gli porse della carne cruda, offrendogli da bere del sangue fresco. Al rifiuto dello Zar, Basilio gli mostrò le anime degli innocenti assassinati che salivano in Cielo. Lo Zar, atterrito, ordinò di sospendere i massacri.

Lo zar Ivan il Terribile nella cella dello jurodivyj Nikolaj Salos a Pskov - I. Pelevin, 1877
Lo zar Ivan il Terribile nella cella dello jurodivyj Nikolaj Salos a Pskov – I. Pelevin, 1877

Una storia analoga ebbe come protagonista lo Zar e il folle in Cristo Nikola, e si svolse a Pskov, una città che rischiava di subire la stessa sorte di Novgorod. Nikola pose della carne cruda davanti allo Zar. Questi rifiutò sostenendo che da buon cristiano non gli era consentito mangiare la carne durante la Quaresima. Allora Nikola rispose:

“Ah, però il sangue dei cristiani lo bevi!”

Basilio morì il 2 agosto 1552, attorniato dalla famiglia reale che in vita gli aveva manifestato una devozione talmente profonda che, come narrano le biografie di Ivan il Terribile, il giorno del suo funerale lo Zar volle trasportare di persona la bara del santo, nonostante quest’ultimo lo avesse sempre rimproverato apertamente in vita per la sua politica sanguinaria.

Basilio fu sepolto nella cattedrale di San Basilio a Mosca per volontà dello stesso Zar, a testimonianza della venerazione della famiglia reale che in passato, il 2 agosto, aveva come usanza quella di partecipare alla messa in sua commemorazione.

L’etimologia della parola jurodivyj è stata interpretata da Toma Gudelyte, secondo il quale questo termine rivela alcune contraddizioni che sono caratteristiche di questi personaggi: la parola jurodivyj, compare nei testi scritti solo a partire dal 1300, e lo studioso la fa derivare dalla forma paleoslava “Urod”, termine che identifica un qualcosa di contrario alla natura e alla civiltà, e che nella lingua russa moderna, indica il “mostro”, la “persona con difetti fisici o psichici”, il “demente”. Il significato del termine dipende dall’ambivalenza e dalla sovrapposizione di due concetti: una nozione di devianza, di “de-gener-azione”, di scarto rispetto alla norma che viene affiancata all’idea di mistero e di sacralità. Tale diversità può essere interpretata in due modi: come segno di sovra- o sub-umanità, così come di trascendenza o bestialità. La figura dello jurodivyj si trova al confine tra follia e santità fin dalle sue origini storiche, segnando quel confine tra sacro e profano che appartiene sia alla cultura religiosa canonizzata dalla Chiesa Ortodossa sia alla cultura popolare.

Vi è anche un altro termine diffuso nella lingua Russa, che ulteriormente definisce questa categoria di persone: blažennyj, che traduce il greco makarios, ovvero santo, benedetto.

Scrive Ivanov che per la Chiesa ortodossa si trattava di una sorta di categoria aperta nella quale erano compresi i santi le cui gesta non erano univocamente inquadrabili; lo studioso Živov precisa che dal XIX secolo il termine è entrato in uso nel mondo ortodosso russo per riferirsi ai santi di altre confessioni cristiane vissuti nei secoli precedenti allo scisma d’oriente, ma il cui culto è tuttavia riconosciuto dalla chiesa russa, per esempio Agostino d’Ippona. Sulla vera ragione per cui questo termine sia stato adoperato per i folli in Cristo, viene proposta come spiegazione che si tratti di un riferimento al Sermone della Montagna, in particolare nel versetto:

“Beati i poveri in spirito, perché loro è il Regno dei Cieli” – Matteo

Gli studiosi Gudelyte, Ivanov e Kovalevskij concordano invece nell’analisi sulla genesi dello jurodivyj, la quale dovrebbe essere ricercata nella tradizione dei profeti del mondo ebraico di cui parla l’Antico Testamento, e nel mondo greco, dove l’idea della sacra follia profetica (sotto forma di invasamento, di enthousiasmós e di ékstasis) è ispiratrice dell’oracolo e del poeta, come testimoniato nei Dialoghi di Platone.

Nel Fedro, Platone rappresenta la manía, la passione, come uno dei modi per oltrepassare la dóxa, l’opinione comune che ciascuno possiede intorno alle cose, l’apparenza analizzare l’opposizione tra l’opinione e la verità ricercata dal filosofo.

“Se infatti l’essere in preda a mania fosse un male puro e semplice, sarebbe ben detto; ora però i beni più grandi ci vengono dalla mania, appunto in virtù di un dono divino. Infatti la profetessa di Delfi e le sacerdotesse di Dodona, quando erano prese da mania, procurarono alla Grecia molti e grandi vantaggi pubblici e privati, mentre quando erano assennate giovarono poco o nulla. E se parlassimo della Sibilla e di tutti gli altri che, avvalendosi dell’arte mantica ispirata da un dio, con le loro predizioni in molti casi indirizzarono bene molte persone verso il futuro, ci dilungheremmo dicendo cose note a tutti. […] Perciò, secondo la testimonianza degli antichi, [l’arte mantica] è la mania che viene da un dio rispetto all’assennatezza che viene dagli uomini. Ma la mania, sorgendo e profetando in coloro in cui doveva manifestarsi, trovò una via di scampo anche dalle malattie e dalle pene più gravi, che da qualche parte si abbattono su alcune stirpi a causa di antiche colpe, ricorrendo alle preghiere e al culto degli dèi; quindi, attraverso purificazioni e iniziazioni, rese immune chi la possedeva per il tempo presente e futuro, avendo trovato una liberazione dai mali presenti per chi era in preda a mania e invasamento divino nel modo giusto.” – Platone, Fedro

Platone
Platone

Platone individua poi quattro tipi di “divina follia”, attraverso i quali si instaurerebbe il rapporto tra l’uomo e la divinità (furore profetico, rituale, poetico ed erotico). La follia è dunque indicata come il mezzo della rivelazione che trascende il reale, al fine di ottenere la vista superiore che i Greci chiamavano epopteía: “contemplazione”.

“Tale mania è concessa dagli dèi per la nostra più grande felicità; e la dimostrazione non sarà persuasiva per i valent’uomini, ma lo sarà per i sapienti. Prima di tutto dunque bisogna intendere la verità riguardo alla natura dell’anima divina e umana, considerando le sue condizioni e le sue opere. […] Questo dunque è il punto d’arrivo di tutto il discorso sulla quarta forma di mania, quella per cui uno, al vedere la bellezza di quaggiù, ricordandosi della vera bellezza mette nuove ali e desidera levarsi in volo, ma non essendone capace guarda in alto come un uccello, senza curarsi di ciò che sta in basso, e così subisce l’accusa di trovarsi in istato di mania […]. Distinguendo quattro parti di quella divina in relazione a quattro dèi, abbiamo attribuito l’ispirazione mantica ad Apollo, quella iniziatica a Dioniso, quella poetica alle Muse, la quarta ad Afrodite ed Eros, e abbiamo detto che la mania amorosa è la migliore” – Platone, Fedro

Nella teosofia cristiana la fede (pistis), che era considerata da Platone come una forma dell’opinione, assume invece il valore di somma verità:

“Il solo bene che non è fallace e saldo è la fede in Dio.” – Filone di Alessandria

Già nella Bibbia abbiamo esempi di personaggi che si fanno notare per il loro comportamento eccentrico: i profeti vi sono descritti come individui dall’atteggiamento aggressivo o provocatorio anche se dotati del dono della preveggenza.

Tuttavia i profeti fanno parte di una casta, sono dei prescelti e per tutta la vita sono riconosciuti come tali, anche se poi restano inascoltati; essi sono costretti da Yahweh a parlare in suo nome e non assumono alcuna responsabilità per questo, non avendo scelto la loro condizione di profeti, e infine in loro non c’è alcuna ascesi che possa trasmutare l’uomo in profeta. Questi tratti accomunano il profeta al santo folle, i quali non essendo riconosciuti come parte di alcun gruppo sono isolati.

In seguito, nel momento dell’incontro del cristianesimo con l’ellenismo, la novità costituita dal personaggio del saggio filosofo greco contribuisce al maturare dell’idea che la vera sapienza può apparire stoltezza all’uomo comune (Platone, Fedro).

Sono queste le radici di uno dei comportamenti classici del folle in Cristo, che portano alla mente il filosofo cinico Diogene, o gli stoici: l’aspetto esteriore trascurato, la noncuranza delle scomodità e dei fastidi materiali, la vita precaria, l’accettazione della morte.

Un punto di contatto con il pensiero filosofico greco è evidente in San Paolo, che, ispirandosi ai profeti biblici (in particolare Isaia) e ai filosofi greci, propose la pazzia come condizione essenziale per la conoscenza del Cristo e per l’apprendimento del messaggio evangelico:

“Perciò, ecco, io continuerò a fare inverso questo popolo maraviglie grandi, e stupende; e la sapienza de’ suoi savi perirà, e l’intendimento de’ suoi intendenti si nasconderà. […] Gli umili avranno abbondanza di gioia nell’Eterno, e i più poveri tra gli uomini esulteranno nel Santo d’Israele.” – Isaia, 29

A questo passo fa riferimento San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi:

“La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: “distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti.” […] Noi siamo gli Stolti per la causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti. […] Perché la follia di Dio è più sapiente degli uomini.” – San Paolo, Prima lettera ai Corinzi

Su questo passo biblico, che attraverso la contraddizione spiega il senso della passione di Cristo e denuncia i limiti dell’intelletto umano, si basa la tradizione russa ortodossa dello jurodstvo (“stoltezza in nome di Cristo”, la forma ortodossa dell’Imitatio Christi).

Come attestazione storica invece, la figura del “santo idiota” si è formata nelle specifiche condizioni storico-sociali russe ed è entrato a far parte dell’immaginario collettivo attorno al XIV sec., quando sostituì al culto della santità dei nobili principi la nuova espressione della santità laica, ma la sua origine vera e propria va ricercata nel kenotismo del monachesimo primitivo, ossia quel processo interiore che porta l’uomo a svuotarsi della propria volontà verso il peccato e il male, del proprio egocentrismo, per diventare interamente recettivo alla volontà della Divinità e potersi quindi abbandonare ad essa senza provare sentimenti di ribellione o di paura o di privazione della libertà.

Lo spogliarsi (kenosis) è la condizione indispensabile e funzionale al rivestimento con Cristo ad opera della Grazia e dello Spirito divino. Il kenotismo nasce nei deserti d’Egitto e Palestina attorno al secolo IV d.C.; successivamente si trasferisce nel mondo bizantino dove è noto con il nome di salós, la cui etimologia forse deriva dalla parola siriaca sakla o sela (“respingere, rifiutare, disprezzare”). La parola è attestata a partire dal V secolo d.C. ed era frequentemente utilizzata come sinonimo di mōrós “stolto, sciocco, folle” per caratterizzare gli asceti che simulavano la follia in nome di Cristo. La troviamo in espressioni come salòn hupokrinómenos “colui che recita la follia”; salòn prospoioúmenos “colui che finge la follia”.

Zar Ivan il Terribile e Salos, San Basilio e Cattedrale di San Basilio
Zar Ivan il Terribile e Salos, San Basilio e Cattedrale di San Basilio

Questa corrente spirituale giunse infine in terra slava nel secolo XI. La derivazione bizantina del “santo idiota” russo è attestata innanzitutto dai glossari in cui si riscontra la corrispondenza tra il greco salόs e il russo jurodivyj Christa radi (“folle in Cristo”), ma anche dalla tradizione agiografica che riprende e rielabora alcuni momenti delle biografie dei santi stolti bizantini Simeone di Edessa (VI sec.) e Andrea di Costantinopoli (IX sec.).

Nel corso del XVI secolo si assiste al periodo d’oro dello jurodstvo nella Mosca rinascimentale: il fenomeno si eleva ad un modello di santità ormai consolidato, noto ed accettato in tutto il paese, arrivando a un livello in cui tutti gli atteggiamenti non standardizzati diventano santa follia:

“Quello che alla fine del XV secolo era interpretato come inspiegabile, all’inizio del XVI secolo ricevette l’etichetta di jurodstvo.” Serena Capri

Il potere profetico/miracoloso ed il tramite con gli elementi della natura progressivamente acquistano rilievo sugli altri aspetti, finendo per collocare gli jurodivye russi in una posizione di intangibilità da parte dei poteri del mondo.

Anche per questo nel Cinquecento russo lo jurodivyj acquisisce lo status di autorità politica, che lo pone al di sopra delle leggi e delle convenzioni e gli permette di trattare a tu per tu con lo Zar, come facevano Nikola di Pskov e Basilio il Benedetto.

A questo proposito, il folle in Cristo è secondo l’interpretazione di Toma Gudelyte “una presenza sfuggente e mutevole ma ispiratrice, più intensa nei momenti di crisi, quando assorbe e riassume le tensioni e contraddizioni del tempo e della società”, come dimostra l’agiografia di Basilio il Benedetto nei suoi rapporti con Ivan il Terribile. Secondo questa interpretazione, diventa significativo il fatto che la cultura russa abbia rispecchiato nello jurodivyj quel particolare aspetto dell’identità nazionale che è stato definito “anima russa”.

Nikolaj Berdjaev, arriva ad osservare chei russi sono o apocalittici o nichilisti”, senza una possibile via di mezzo, e lo jurodivyj potrebbe essere considerato come l’immagine emblematica di questa paradossalità russa, espressa nelle opere di Dostoevskij (in particolare ne “I fratelli Karamazov” a proposito dello starec Zosima o di altri monaci ortodossi, anche Lizaveta Smerdjaščaja, madre di Smerdjakov, è una jurodivaja) e divenuta nel Novecento un modello rappresentativo della condizione del poeta e dell’artista in generale.

Nell’Ottocento la “santa stoltezza” diventa oggetto d’interesse e di studio delle nuove scienze mediche come la psichiatria, che rivedono questo fenomeno culturale in base a una nuova terminologia del patologico. Tra il 1850 e il 1870 la letteratura medica in Russia presta particolare attenzione all’anomalia comportamentale e all’idiozia, i cui termini nei dizionari psichiatrici sono spesso associati allo jurodstvo. Questo linguaggio scientifico penetra anche nel linguaggio letterario e offre nuove prospettive all’interpretazione della figura del santo idiota.

Fëdor Dostoevskij
Fëdor Dostoevskij

Dostoevskij, da sempre attento alle discussioni sulla psicologia e alla cronaca giudiziaria del suo tempo, trova in questa letteratura medica un modello interpretativo alternativo alle agiografie medievali per la raffigurazione del personaggio che in particolar modo ossessiona la sua immaginazione e ritorna in molte sue opere (ad esempio, nei romanzi I demoni, ne L’idiota e nel già citato I fratelli Karamazov) in cui la maggioranza dei personaggi manifesterebbe varie pulsioni oscure e inclinazioni patologiche.

Come aveva confessato Dostoevskij stesso in una lettera a uno studente anonimo, per lungo tempo egli aveva coltivato l’idea di scrivere un romanzo che si sarebbe intitolato Jurodstvo, ma aveva rinunciato per alcune ragioni: la preoccupazione di cadere in una sacrilega profanazione e in un’offensiva rivelazione del mistero dello jurodivyj, che secondo l’autore, non va privato della sua maschera, né bisogna tentare di comprenderlo fino in fondo.

“Io vago e non so se sono precipitato nel fetore e nella vergogna o nella luce e nella gioia. Ecco dov’è la sventura poiché tutto nel mondo è un mistero! E quando mi avveniva di sprofondare nella più sordida depravazione […] leggevo allora questi versi su Cerere. Riuscivano forse a redimermi? Mai! Perché io sono un Karamàzov. Perché, se precipito in un abisso, è a capofitto, con la testa in giù e i piedi in su, e sono anzi contento di esservi caduto in modo così degradante: lo considero bello. E proprio quando sono al fondo della vergogna, innalzo allora un inno. Che sia pure maledetto, vile, meschino purché possa baciare anch’io l’orlo della tunica in cui si avvolge il mio Dio.” – F. Dostoevskij

  

Note 

[1] È il nome dato dal cristianesimo orientale a una collezione di agiografie, assimilabile al menologio della stessa tradizione e al martirologio della Chiesa latina.

[2] L’istituto dell’Opričnina durò dal 1565 al 1572, sette anni durante i quali Ivan IV si sforzò con tutte le sue forze di annientare gli avversari politici e di trasformare il sistema di governo russo tramutandolo in un’autocrazia assoluta.

 

Bibliografia convegni

Serena Capri – La santa follia: Saloi, jurodivye Christa radi, e san Francesco d’Assisi – PDF

Toma Gudelyte – Lo jurodivyj: da mito popolare a emblema letterario – PDF

 

Info

Articolo La Cattedrale di San Basilio

 

2 pensieri su “Le métier de la critique: San Basilio il Benedetto e la Santa Follia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *