Franco Garelli: l’arte è ricerca tra materia e spazio
Durante i 63 anni della sua vita, Franco Garelli ha sperimentato con passione e curiosità molte tecniche artistiche: è stato scultore, disegnatore, pittore, ceramista; contemporaneamente, senza concedersi pause, ha portato avanti l’attività di medico, di chirurgo e di docente.
Garelli nasce a Diano d’Alba, apprezzato territorio vinicolo in provincia di Cuneo, nel 1909. Al termine della Prima guerra mondiale, la sua famiglia si trasferisce a Torino. Pur palesando una grande predisposizione per il disegno e la scultura, dopo gli studi classici si iscrive alla Facoltà di Medicina.
Ha 18 anni, quando una sua opera in cera viene esposta alla Società Promotrice delle Belle Arti. Tra le due tendenze più importanti del periodo, il ritorno al passato che ha in Casorati il suo campione, e la nuova onda futurista, Garelli segue con convinzione la seconda, frequentando Luigi Spazzapan, a cui resterà legato anche nei decenni successivi.
Partecipa alla creativa vita goliardica e viene apprezzato come illustratore e caricaturista. Nel 1935 si laurea e inizia il servizio militare a Firenze; nel 1936 è di stanza in Africa Orientale come sottotenente medico.
Il quotidiano La Stampa organizza la sua prima personale dal titolo: “Appunti in A.O.”. Negli anni successivi, Garelli continua la collaborazione con il giornale torinese e con altre importanti testate; dal ’41 al ’43 è al fronte, dove viene decorato con la croce di guerra.
Terminato il conflitto, esercita la libera docenza presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Torino; questo non interrompe la sua attività artistica, anzi, partecipa ad importanti mostre e gallerie. Nel 1948 e nel 1950 è presente alla Biennale d’Arte di Venezia, dove sarà invitato molte volte.
Dal 1951 e per dodici anni insegna anatomia artistica all’Accademia delle Belle Arti di Torino.
A metà degli anni ’50 aderisce al movimento informale.
Utilizza materiali “poveri” che fonde nel bronzo e, successivamente, realizza le sue sculture saldando scarti di materiale ferroso, cercando un equilibrio razionale tra la materia e lo spazio.
Nel 1959 espone a Tokyo, a Kyoto e a Osaka, conquistando i critici giapponesi. Le sue opere sono ormai richieste ovunque, al di qua e al di là dell’oceano.
Nel 1961 esegue sculture di grandi dimensioni, ben 8 metri, per lo stand del Piemonte in occasione del centenario dell’Unità d’Italia e per la mostra Moda Stile Costume.
Nell’anno successivo abbandona la professione medica e realizza per la società telefonica di allora, la Stipel, una cancellata in bronzo.
Sono i suoi anni di maggiore impegno artistico, tra mostre e nuove opere.
Nel 1963 presenta i Plamec, sui quali sta lavorando da molti mesi, mischiando pittura e scultura, ricorrendo all’utilizzo di resine industriali e plastiche, ed esegue un grande mosaico per il lungomare di Albissola, cittadina del savonese a cui è molto legato. Comincia ad insegnare presso il Liceo Artistico di Torino.
Nel 1965 progetta e costruisce a Beinasco il proprio nuovo studio e, l’anno successivo, è per l’ultima volta presente alla biennale di Venezia con “I Tubi”, opera realizzata con lamiera piegata e verniciata.
Nel 1968 espone a New York, a Parigi e a Praga. Gli ultimi anni della sua vita intensissima lo vedono lavorare e presentare le proprie installazioni praticamente ovunque. Un male incurabile lo uccide nel 1973, mentre aveva ancora tanto da inventare e proporre.
Il Museo Ettore Fico, ampia e moderna area espositiva torinese creata con il recupero di un ex stabilimento industriale, ha ospitato dal 23 marzo al 2 luglio 2023 la mostra “Franco Garelli – Antologica”, curata da Andrea Busco, che del museo è Presidente e Direttore.
Le opere esposte erano più di cento e davano una visione ben documentata dell’evoluzione nella ricerca e nella produzione dell’artista durante la sua vita.
Personalmente ho molto ammirato il bronzo del 1948 “Il re e la regina”, dove le forme hanno vigore e armonia; la forza del potere si lega all’amore e alla complicità che lega le due figure, che si cercano e si uniscono.
L’opera ha certo in sé il retaggio del culto del corpo e del fisico dell’epoca fascista, ma esalta la nuova libertà dell’uomo, la sua autonomia fuori da strutture e vincoli. L’uomo e la donna si proclamano re e regina, quindi padroni assoluti, della propria vita e del proprio futuro, il tutto espresso in un linguaggio che suggerisce senza dire, che è statico ma richiama il movimento, che è semplificato al massimo eppure denso di messaggi.
Alcuni soggetti ritornano con frequenza nelle opere dell’artista: il cavallo, simbolo della natura che si assoggetta all’uomo; il toro nella corrida, simbolo parallelo della natura che viene vinta ma non domata, e le mani, le mani alle quali Franco Garelli deve tutto, come artista e come medico.
Nell’opera “La mano del chirurgo”, le dita si aprono, la pelle scompare e resta la tensione dei nervi, mentre l’azione dall’interno dei muscoli sgorga irradiata come un magico fluido.
Non c’è il dottore, non c’è il paziente, solo quella mano che, quasi dotata di poteri magici, cura e risana. Una capacità taumaturgica che trascende i limiti umani.
Written by Marco Salvario