“Vite brevi di idioti” di Ermanno Cavazzoni: una non troppo stupita agnizione
Leggo nell’avvertenza Al lettore del libro Vite brevi di idioti di Ermanno Cavazzoni: “Poi il nostro mese finisce, perché a questo mondo tutto deve finire, anche le nostre brevi vite di idioti.” – tót à fîn, anche la via Lattea, dicono, ha gli eoni contati.

Pigozzi: “era perito tecnico e sapeva lavorar sui motori. Inoltre era stato influenzato da un’enciclopedia di geografia illustrata.” – certe influenze lasciano sempre degli strascichi.
Cosa deduco dal primo racconto? Che la vita costa la sua parte e che la morte è un act gratuit.
Pelagatti crede “che Cristo sia un extraterrestre”. Incontra il don della sua vita: “Don Pelacani” – con cui cerca di ampliare la sua visuale. Ci sono movimenti politici che paiono Buchi Neri. Altri che inducono all’entropia cosmica. Il Kosmos è un ordine sincopato che va a giorni alterni.
Renato Scalabrini che “si diverte coi sassi. Ne prende uno e lo butta per aria. Lo butta in verticale e lo sta a guardare.” – finché non piomba dov’è prevedibile: la sua testa. Mi fa pensare a quel filosofo che preannunciava l’eterno ritorno. E anche un po’ a Newton: la verità casca in testa, a volte ferisce.
I piromaniaci: io li chiamerei piuttosto pirofili. Il fuoco dà assuefazione e favorisce la civiltà e il benessere, purché ben dosato. In mancanza di esso, occorre la com-passione.
Luigi Pierini calcolatore: come pochi (a parte Inaudi e Zaneboni, di cui fino ignoravo l’esistenza). Quando cominciò a contare un po’ nella vita, arrivò presto a una specie di immensità. Si conclude il racconto con la considerazione che Luigi è “un’idiota semplice”: per me è invece complesso (un po’ reale e un po’ immaginario). O solo immaginario? Esiste la realtà?
Famiglia Vacondio: che tutto abbia fine, s’è detto, “è questione di poco, forse di ore, o di minuti”: oppure di milioni di eoni, dipende dall’unità di misura dell’illusione. Il cosmo è un’immensa clessidra, che prima o poi va girata.
Non l’unico problema, ma forse il maggiore: a parte le nostre vite, andranno perdute anche le opere d’arte? Anche quelle di Piero Manzoni? Sarebbe allora davvero un bel casino. Chi pulirà i vetri appannati delle auto? Chi i marciapiedi?
Suicidi lavorativi: m’impressiona molto, non a caso, il diciassettesimo, e fatalmente ultimo: “Un becchino ancora giovane ma malato si è fatto seppellire in dicembre al posto di un morto.” – urge informare l’autore che la sua morte era solo apparente, per cui, dopo un po’, è resuscitato.
Gallinari: colgo vari verbi, per lo più ma non solo infiniti, tronchi: “misurar”, “provar”, “star”, “batter”, “dir”, “volevan”: è sempre meglio contenersi e dire(r) una lettera in meno che in più.
Govi: “Alla base di tutto c’è il fritto, che per l’organismo, è un veleno.” – per uno che vale poco c’è pronta l’antifrasi quello fritto, fa dell’unto!
Il nobiluomo Pezzenti: ossimorico titolo. “Si dava la lacca in modo da avere l’aria felice e un po’ distaccata dalla folla locale e dalla vita.” – occorre ricordare che di una persona bella, quando invecchia, si dice, con un certo raccapriccio: Vedessi com’è diventato! Mentre di uno brutto si ammette, strizzando l’occhio: Beh, si mantiene!
Il pittore Cimetta: “… nativo di Orte ma residente a Orvieto” – un uomo destinato a volare dalla sua sommità, che “faceva delle righe dipinte quando era stato di completa e totale ispirazione.” – quando lo spirto vital si impossessava di lui.
“Secondo il professor Guastalupi” – che avrebbe forse malvisto sia Pelagatti che Pelacani – in quella sua arte “c’era un elemento tenebrico.” – come ovunque nel cosmo. Se non ci fosse tenebra, mancherebbe l’idea della luce, senza luce mancherebbe la sostanzialità della vita. Era forse per dire che non c’era solo quell’uomo, ma tutto l’esistente. Ogni cosa e forse nulla. Che poi tutto dipenda dalle misure di un quadro, più che dalla profondità di uno spirito, fa parte delle finzioni umane.
Le vittime della rivoluzione: chissà se un lettore di un lettore di questo libro di Ermanno riesce a rispondere al paradosso esposto dall’orologiaio: come si fa baciare la propria testa? Aggiungo: sia se è in mano o se è attaccata al collo. La risposta la do a prescindere, come diceva Totò: basta una piccola fede, anche trovata per terra.
Il carnevale del cinquantasei: che nulla ha a che fare con quelli del cinquantacinque e del cinquantasette, narra di un naso posticcio: ma posticcio sarà lei, cribbio!
Vorrei capire quale naso non sia tale. Se qualcuno ce l’ha messo in faccia, lo sarà sempre.
Il problema diventa politico, anzi sociale: vale di più una cultura di tipo bi-popolare (fine/mezzi) oppure una basata sul buon senso (sì, no)? Una risposta auspicabile è: non lo saccio.
Suicidi con errore: errare humanum est, sed veritas te cogit errare. Finché ce la fai, è ovvio.
Primo: sto pensando a quel mattacchione di Giulio Cesare. Primo, “appena stringeva i dadi dell’asse, la solita voce interiore lo rimproverava che faceva del male ai dadi e all’asse.” – tale sensibilità la potrebbe capire solo chi crede che negli oggetti ci sia una parte dell’anima di chi li ha creati e di chi li ha adoperati. Domandina retorica: chi ha creato l’uomo? Come gli è venuta?
Primo abbracciava i pali telegrafici. Il mio amico Silvano lo faceva con gli alberi. Facendo la corsa in bici con papà, andai una sera a sbattere con la testa (che rimbalzava da destra a sinistra e da sinistra a destra come avevo visto fare a Gianni Motta) contro un palo della luce di ferro. Alla fine ce la feci a vincere, svenendo poi per l’emozione. Alea iacta est! Anche la normalità.
Alcuni idioti congeniti: come me, che non volli mai leggere per anni la storia di quel principe Myskyn, come da anni m’invitava a fare papà, finché non soccombetti al suo volere, come un idiota, il primo maggio 1984. Cadendo, battei per l’ennesima volta la testa. Da allora fui del tutto simile a quel principe. In verità il mio vizio ero congenito. La lettura mi ha mutato ulteriormente. I racconti di Ermanno non peggiorano le mie condizioni di idiota. Anzi, le rende stazionarie. Non esistono stazioni in cui non sono annunciati dei ritardi.
Si parla ora della famiglia Bastuzzi, il cui figlio era Sereno: a frequentarli si diventa come me, uno che “torna a casa con la mentalità libertaria e prossima alla mentalità dei bovini e degli uccelli da cortile; cioè concepisce solo il presente fuggevole e sottovaluta il padre.” – in verità io lo ammiravo, papà, ma cercavo in tutti i modi di evitare la sua fine (lavorò, poveretto, tutta la vita, per mezzo secolo).
Un giorno il suddetto principe mi prese da parte e mi disse: fa’ come me, subisci e, per non obbedire del tutto, simula un briciolo di pazzia. Così feci, ma sbagliai le dosi. Perciò, come le galline di Bastuzzi, potei volare per conto mio. Ippogrifo, aspettami… che sto arrivando!
Paola Parletta: donna lievemente obesina, produttrice indefessa di diarrea. Giova ricordare ai non arşân che parlèta è la pentola che si usa per bollire, a cui, verso la fine del suo mandato, come un ministro dimissionario, scappano delle scoregge.
L’essenza della vita di Paola era composta dalla sua tendenza a ingrassare e dal suo sgonfiarsi con la diarrea. Un giorno, a quanto narra Ermanno, “cadendo dal gabinetto si lussò l’anca” – queste vite intense alla fine sfibrano i biografi, essendo un po’ contro-inverse.
Il dottor Dialisi: nomen omen? Il suo biografo, Cavazzoni Ermanno, scrive che fu il martire dei piedi. Era uno che viveva e ragionava con quelle estreme estremità. E con poco altro. Come non lo capisco! Le scarpe, che non si toglieva mai, lo portarono un po’ dovunque.
Ho un quesito irrisolto. Alla stazione di Salerno c’è quel giovanotto che vende calzini. Ogni volta ne compro un paio, non di più. Così lo tengo d’occhio ogni volta. In fondo ci vogliamo bene. Chiedo: se adopero, senza toglierle mai di dosso, un paio di calze finché non diventano inservibili, cioè piene di buchi (tanto ho nel cassetto del comodino il ricambio), vado a risparmiare rispetto a chi usa cambiarsele ogni settimana? Secondo me sì.
Cesare Lombroso: il quale diceva “che nei mesi caldi le rivoluzioni sono scoppiate in maggior numero che in quelli freddi.” – per forza, quando c’è il gelo, la gente tende a stare in casa. Quando c’è il sole scende in piazza. Non so se quel Cesare fosse idiota come presupponeva Tolstoj: per giudicare un idiota occorre non essere tale.
Apparizione inconcludente della Madonna: che è colei che dona la vita. E che, quando conduce al calvario, mater dolorosa, è la fine. L’inconcludenza talvolta si tramuta in una gioia insperata.
Falsi suicidi: di “un uomo di quarantatré anni”, in riferimento a cui risulta “falsa la notizia che si sia suicidato per la sua vita inconsistente e molle.” – non voglio tirare in ballo l’idea della falsificazione necessaria alla verifica di una teoria scientifica che, se non la si può produrre, alla fine l’ho però tirata in ballo.
Bassanini: un uomo, un pilota, un marito, un padre, il cui umano “dramma scoppiava quando compariva un cartello con l’indicazione di un bivio”.
Il lieto fine rallegra il lettore: la macchina cessò un giorno di vivere.
Bassanini no. Il quale iniziò ad andare a piedi. Con una ghiaietta in bocca (Ermanno non lo dice, ma forse lo dà per scontato).
La puttana fallita: il quale titolo contiene un ossimoro. La puttana è l’essere umano che più somiglia a una cooperativa di consumo, la quale, notoriamente, non può fallire, venendo semmai liquidata ai singoli soci.
Io le ho sempre evitate, le prime, non le seconde, per un semplice motivo: sono in genere meno idiote di me: “Loro credono che lei non capisca, ma lei ha un cervello finissimo che capisce tutto, più in là di quel che capiscono loro.” – loro sono i suoi clienti, dei semplici associati.
Ricordi di sopravvissuti ai campi di concentramento: terribile! Una sola cosa mi permetto di aggiungere: la cattiveria umana, che sfocia nella guerra, colpisce tutto e tutti, anche le biciclette!
Melegari: che “era nato a Marradi, paese di Dino Campana”. Il racconto è triste, poiché conferma un paio di detti: Nemo poeta in patria e L’unico poeta buono è quello morto.
Esseri doppi e nani: io sono dei Gemelli e so cosa significhi raddoppiare l’anima; e non sono poi così alto. Una volta un bidello, che non raggiungeva un metro e ventisette centimetri, disse a una giovane prof: io piaccio alle donne, anche se sono un po’ bassino. Sdraiati siamo tutti alti uguali.

Una grande gioia per noi nani, poi, è il sognare d’essere giganti.
Il diavolo e l’idiota: stavo pensando a quelle rotonde dell’agro nocerino, dove passa chi tene cchiu cazzimma. Sic transit gloria mundi. Fino al cozzo finale, che sempre conduce all’“imputazione di omicidio preterintenzionale”, e alla relativa assoluzione per decorsi termini processuali.
Gli amanti suicidi: dove si parla di un tale, “Paride Germi” che, per un colpo di pistola scappato per caso, perse non la cappa, ma la libertà.
“Il microcefalo Battista”: a tutto si adattava, ma “si irritava moltissimo a dirgli che mandava un cattivo odore.” – che è il destino di ogni essere senziente, dopo il suo decesso.
“Il romanziere realista”: “si rifiutava per principio di pubblicare”.
Lo capisco perché il farlo significa condannare a una fittizia perfezione una propria creatura.
Perfectus significa giunto alla fine. L’imperfezione culla la speranza.
Ogni opera umana, poi, rimane incompiuta.
Il trentunesimo e ultimo racconto di Ermanno (tacere il suo titolo è conveniente) è troppo calamitoso e intelligente per me. E non mi attira.
Anche perché sto fuggendo come un idiota!
Ma quando giungo alla fine di un libro, sai che mi dico?
Homo liber sum!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Ermanno Cavazzoni, Vite brevi di idioti, Guanda, 2017