“La forza pura” di J. F. Boro: la guerra tra unionisti e naturalisti

La forza pura”, storia narrata da J. F. Boro (pseudonimo di Gianfranco Boretti), non è soltanto una distopia, una fantascienza e uno strano thriller, anche se gli elementi caratterizzanti sono questi, ma un amalgama degli stessi che tende a qualcos’altro: a comprendere cosa sia la forza pura.

La forza pura di J. F. Boro
La forza pura di J. F. Boro

Chiunque scriva è alla ricerca di un’etica di vita, e chi cerca d’immaginare il futuro lo è in maniera angosciata. In più c’è l’anelito di capire il senso del mondo in cui viviamo.

Distopia: qui si vive in un secolo non troppo lontano ma niente affatto prossimo al nostro.

Fantascienza: l’autore stupisce, ma non troppo, con gli effetti speciali, che pur ci sono, ma accuratamente limitati all’azione e non rivolti in primo luogo al lettore.

Thriller: cos’è quest’energia misteriosa, questa forza pura che funziona in modo così arcano? Che fine ha fatto Shiny, quell’assurda ragazza che voluta andare in un luogo da tutti ritenuto selvaggio e che riesce a far perdere le sue tracce? Chi è, in fondo, Viktor, il protagonista di questa storia? Un semplice giornalista che decide di sospendere la sua consueta attività per andare alla ricerca della donna di cui si è innamorato? Oppure è qualcosa di ben più misterioso?

Potrei azzardare una mezza risposta: è innanzi tutto un uomo innamorato.

Altri interrogativi incombono e tutti iniziano dal primo: cos’è questa forza pura?

Che si tratti in primo luogo di un romanzo psicologico? Le caratteristiche ci sono tutte: la realtà esterna è descritta con cura, ma a dominare è quella interiore dei personaggi, soprattutto di Viktor.

In un mondo così perfetto e al contempo a rischio, tutti paiono soggetti deboli e fragili, che a volte sanno essere energici e imperativi. Alberga in loro un’inquietudine che nessuno sa spiegare. Essi comunicano più con se stessi che con gli altri. Ognuno insegue il proprio progetto, tentando di dissimularlo, per quanto sia possibile, all’Altro.

Svariati decenni prima, Bansi Rajesh, un genio che più misterioso non ce n’è, ha intuito un che di ineffabile riguardo a un’energia misteriosa che funziona senza che si capisca come e perché.

Un paio di secoli prima, Einstein, con le sue due equazioni relativistiche sconvolse la fisica che risaliva ai tempi del primo relativista, Galileo e del suo principale erede, Newton. Tre giganti, e ognuno operò sulle spalle dell’altro. Questa è la scienza: sfruttare le idee del passato, mettendole in dubbio. Qualche anno dopo, Planck e lo stesso Einstein gettarono le basi di una nuova teoria scientifica, la meccanica quantistica, secondo cui ogni teoria è avvolta nel mistero che, mentre si cerca di svelarlo, non si può fare a meno di mutarlo. Heisenberg dimostrò che ogni fenomeno veniva perturbato dal suo osservatore, che ne era una parte e che, agendo, ne mutava le caratteristiche. Bohr assicurava che la materia esisteva soltanto nell’atto della sua osservazione e che, diversamente, non era che un’onda probabilistica, il cui tragitto era inesplicabile. Le equazioni matematiche potevano soltanto indicare un’incerta probabilità, mai una certezza. Einstein e Bohr ebbero per decenni un confronto fra teorie opposte, ma qui serve parlarne solo per indicare come, man mano che la scienza si evolve, il mistero si ramifichi e cresca. In fondo nulla si sa su svariati punti fondamentali, che Roger Penrose ha definito Misteri Z, nel senso di finali. E su di essi, al momento non solo oggi non è possibile alcuna osservazione sperimentale, ma essa non è neppure ipotizzabile. Ognuno potrà solo immaginare le proprie risposte. Ecco che la stessa scienza, evolvendosi, assume sempre più le forme di un romanzo psicologico e di una filosofia astratta.

Immaginiamoci tutti questi problemi, come potrebbero essere affrontati dopo l’ennesima guerra che ha sconvolto il pianeta.

Grazie a quel Rajesh, l’uomo dispone di un’energia a costo zero, di cui non si sa niente. E si ignora quale sia stata la fine di quello strambo scienziato, che sparì in un nulla inquietante.

L’unico dato certo è che ora due civiltà si contrappongono, limitando, al momento, la reciproca ostilità. Gli unionisti abitano nel cosmo esterno, in mondi orbitanti artificiali, mentre i naturalisti sono rimasti fedeli al pianeta originario. I due gruppi sono antagonistici l’uno con l’altro, ma al momento ancora non irrimediabilmente ostili. La loro è una specie di guerra fredda.

Victor fa un’affermazione e un suo collega lo apostrofa: “Adesso sembri proprio un naturale…”, e la cosa non va giù al nostro eroe. La sua missione esistenziale sarà principalmente una: ritrovare la donna di cui è fortemente infatuato.

La sua reazione è nervosa ma giustificata: “Non si può fare la minima osservazione critica senza beccarsi del naturale…” – in altri periodi storici, si sarebbe detto: retrogrado, qualunquista, o peggio.

Strana ragazza, questa Shiny, che pare innaturale anche nel modo di camminare: “Si allontanò col suo passo leggero, come se avesse installato dei campi di forza sotto la suola dei suoi calzari…”. Una che ha trovato il suo unionista giusto, un tipo nato curioso, come Viktor, il quale vive in un ambiente sociale dove erano fissati “dei limiti alla curiosità dei cittadini sugli affari riservati delle amministrazioni”. Ma Shiny, dopo averlo individuato, lo sfugge.

Lei non era bella più delle altre donne, ma era diversa: “Il suo corpo non godeva della perfezione statuaria di quelli dei figli della nuova era ma possedeva un che di piacevolmente asimmetrico, con seni piccoli e fianchi generosi.” – lo stesso si pensa quando esaminiamo le bellezze di un secolo fa e pensiamo che ora le modelle attuali paiono quasi delle venusiane rispetto a quelle. L’estetica si evolve di continuo, insieme alla sensibilità umana. È bello soltanto, e in modo accidentale, quel che si adegua alle nuove regole estetiche. Checché ne dica Keats, non sempre ciò che è bello è una gioia per l’eternità. O forse sì, e quel suo verso non è stato ancora bene interpretato.

Siamo in un mondo stupidamente perfetto, o perfettamente stupido, dove ci si stupisce per una banalità, quando essa ci mostra il suo aspetto anormale: “… una piccola mela rossa, ricoperta di screpolature e decisamente bacata.” – un frutto proibito in quell’eden iper-tecnologico, un errore di forma che Viktor non vedeva da quarant’anni. Ovvio che sia stata Shiny a posarla “su di un tavolo”.

Shiny ha “ventisette” anni, ma pare coetanea a chi ne ha quasi “cinquantotto”: il bello è che, di tutto questo, andandosene via, verso il suo destino, lei pare fregarsene.

Alma è la donna del passato di Victor, che abbandonò solo nella vita esterna, ma che ancora comanda dentro il suo cuore, chissà perché. Lei ama Victor! E Victor? Potrebbe ricambiarla, se non ci fosse Shiny, quest’assurdità femminile che egli non riesce mai a inquadrare del tutto. E ora il suo scopo esistenziale è ritrovarla, recandosi dove lei ha scelto di andare: “Era consapevole dei rischi che avrebbe corso. Avrebbe potuto perdere tutto, anche la vita. Gli unionisti ignoravano la situazione del pianeta e ne avevano paura. La Terra appariva loro come un mostro ancestrale dominato da una natura violenta.”

Ogni popolo ha il suo modo di disprezzare gli umani che appartengono all’Altrove: terroni, polentoni, crucchi, yankee; Alma, nel vedere Victor, lo definisce “terricolo”, termine che “gli unionisti degli insediamenti spaziali riservano agli abitanti delle piattaforme atmosferiche”: ognuno è sempre l’alieno di qualcun altro.

Questa storia è popolata unicamente da umani, e non vi sono abitanti di chissà quali meandri cosmici, ma ognuno si sente e di conseguenza è diverso dal suo prossimo.

“La Guerra dei Poveri aveva sconvolto il pianeta più di cento anni prima…” – ed è solo grazie a quella misteriosa energia che l’uomo aveva potuto perpetuarsi, nonché costruire una nuova civiltà, non tanto raffinata ma quasi perfetta. L’unica grave imperfezione è la mancata conoscenza della natura della forza pura.

Quando Victor riesce ad andare da René Voboam, che gli ha accordato il permesso di presentarsi nella sua piattaforma, dove potrà ricevere le informazioni e le risorse necessarie per scendere sulla Terra, fa conoscenza di Albert, un androide, che è stato programmato per essere l’ideale maggiordomo, che è considerato dal suo padrone quasi un animale da compagnia, che non sarebbe dispiaciuto al protagonista di Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro.

Victor fa ora conoscenza di Vico, un celebre scienziato che sta indagando, utilizzando ogni sorta di formula matematica, la natura della forza, senza ancora poter rispondere alla domanda: qual è la sua natura? E che gli dice, tra l’altro: “… sono convinto che la zona d’ombra sia molto di più che un’anomalia del campo della forza” – questo è possibile attestare: che ogni cosa funziona pur in presenza di misteri e di anomalie.

L’anomalia diventa “lo sbaglio di Natura/ il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta/ nel mezzo di una verità”, di montaliana memoria. In altre parole, deve diventare il luogo dell’indagine, dove tutto quello che è stato affermato, viene messo in discussione.

In questa ricerca, Vico si sente quasi “emarginato”: la sua stessa volontà di incrementare la conoscenza appare ai più come un’anomalia. La forza funziona, perché mai preoccuparsi? Ma fino a quando? È questo il vero problema, che solo a pochi pazzi interessa!

J. F. Boro
J. F. Boro

La storia di Victor assume sempre di più la forma di un viaggio dell’anima, specie quando s’imbatte in uno strano personaggio, chiamato da tutti “il vecchio”. Fra i due umani nasce una strana e reciproca intesa, la cui origine appare misteriosa.

“Viktor era abituato al vino unionista: un liquido dolciastro prodotto inserendo l’uva in un apparecchio automatico dove io grappoli venivano spremuti e vinificati con l’ausilio di appositi fermenti disponibili nei più svariati aromi”.

Al che, quell’anziano terrestre a chilometri zero, gli pone una banalissima domanda, che ai vinaioli di oggi possono ancora comprendere, ma che soprende il nostro eroe: “… e il legno della botte?” – in quell’altro Altrove, questo non era un dato necessario.

Del dialogo ho colto quelle che credo siano le due battute fondamentali. Il vino degli unionisti è sufficientemente buono. Quello del “vecchio” tende alla perfezione, senza mai raggiungerla.

Tra i due umani sorge una specie di miracolo: sentono di amarsi, di provare un’antica passione che li accomuna da sempre.

Il senso della storia è che quel che conta non è accontentarsi di un risultato, ma di continuare a perseguirne altri. Ogni teoria scientifica contiene in sé il germe della sua falsificazione, così garantiva il filosofo Karl Popper. Chi si ferma, non è perduto, ma è inconcludente. Chi prosegue la sua ricerca, sa bene quanti errori e fraintendimenti scoprirà in quelle che a torto di considerano convinzioni, e che sono, semmai, semplici e caduce doxa, opinioni.

L’alternativa per Viktor è se sarà giusto per lui seguire una perfezione fittizia, oppure tendere verso una permanente imperfezione. Solo lui potrà scegliere al meglio.

Non dirò nulla di quale sia la sua decisione finale, se non che la condivido, diversamente non avrei scritto questa reazione al romanzo di Boro. La risposta è covata nel cuore di quella strana energia.

E che ne è di Shiny, quell’affascinante ragazzetta? Lo si scoprirà soltanto leggendo La forza pura.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

J. F. Boro, La forza pura, Amazon, 2023

 

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