“Ciò che nel silenzio non tace” di Martina Merletti: uno sguardo su Torino durante la guerra
“Chissà quanta paura hanno avuto. Tutti. Passando per di qua. Viva la libertà” – Martina Merletti
Torino 1944, carcere femminile le Nuove. Da un lato c’è un bambino da salvare, prima che la madre, prigioniera, venga deportata; dall’altro una famiglia che, suo malgrado, se ne fa carico.
In mezzo c’è la Storia.
La Storia si identifica con suor Giuseppina, unico personaggio di questo romanzo davvero esistito. Le altre vicende, pur ispirandosi a fatti davvero accaduti, come le vicende di un bambino realmente salvato dalla suora, vengono attribuite nel corso della fiction narrativa a personaggi inventati.
La Storia, tuttavia, continua a fare da tramite tra il 1944 e i primi anni duemila, punto d’approdo della narrazione. Con Storia intendo non solo il punto di inizio dei fatti, gli anni del Fascismo, della Guerra, con le sue deportazioni di innocenti, con il suo orrore, ma anche la strada che conduce a più di cinquant’anni dopo, quando Aila ripercorre a ritroso le vicende dolorose di sua madre, che tutto le aveva raccontato della sua esperienza di deportata, ma non proprio tutto.
Le indagini di Aila porteranno la ragazza a ricongiungersi inconsapevolmente alla famiglia affidataria di quello che era stato suo fratello, morto, e irrimediabilmente destinato a rimanere un estraneo. Eppure la Storia ha per lei un dono, il nipote di Gilberto, Giacomo, il nipote putativo a cui lei potrà in qualche modo fare da zia acquisita (Giacomo è figlio di Fulvio, fratello di Gilberto).
Al di là dell’intreccio, davvero molto complesso, che stravolge la fabula costringendo il lettore ad un’attenzione sempre vigile, il romanzo trae la sua forza dalla molteplicità dei temi affrontati e dall’insegnamento che ciascuno di essi vuol dare.
Se la Storia ha discriminato, separato le famiglie, lasciato dei rancori ancora presenti nel quotidiano, anche per il silenzio e le omissioni di chi non ha raccontato per lungo tempo le vicende del neonato passato da una famiglia all’altra, Martina Merletti vuole dare al presente e al futuro una speranza di umanità, di recupero, di ricongiungimento.
Questo a partire dalla voce delle donne, assolute protagoniste di questo romanzo.
Ciò che nel silenzio non tace è, a tal proposito, titolo quanto mai adatto: anche quando le donne tacciono, sono loro che muovono la storia, salvando, affidando, accogliendo, lavorando e, alla fine, raccontando, non senza omissioni o non senza difficoltà.
Non sempre alle donne si presta la dovuta attenzione… Ad esempio quando Elda, la madre di Aila, riferisce circa la sua esperienza di sopravvissuta ai campi di concentramento, nessuno le crede.
Ai resoconti degli uomini tutti credono, a quelli delle donne no.
E non basta lo sterminio, ampiamente documentato, per convincere gli ascoltatori: “Le donne si sa, tendono ad esagerare: mica potevano essere state trattate peggio degli internati. Era stato di fronte a quella fretta di berciare, paragonare, e sputare sentenze che sua madre, come altre, aveva capito che non avrebbe potuto raccontare […] Nessuno voleva ascoltarle quelle storie. A parlare, come sempre, erano i soldati”.
Solo quando le donne si raccontano tra loro, forse, c’è sintonia: come quando Teresa, sfinita dal silenzio, riporta ad Alia e Suor Emma la storia lungamente taciuta del figlio acquisito. Ma è lei stessa a disprezzarsi, dolorosamente, in questa circostanza.
Anche se alcune non hanno detto tutto, ad esempio Elda circa il bambino che a malincuore abbandonò (perché si salvasse), non sono punibili o odiabili. Anche perché Elda, lungamente segnata dalla discriminazione, ha insegnato ad Aila l’orgoglio di rivendicate i diritti dell’individuo, delle donne e dell’amore libero in tutte le sue declinazioni, al di là degli stereotipi.
Grazie a Elda, dunque, la figlia vive serenamente la sua storia con Giulia. Aila e Giulia ospiteranno a Torino il nipote di Gilberto, Giacomo, incontrato inconsapevolmente nel bar del paese, dove il giovane aiuta il padre. Questo ragazzino, l’unico punto di congiungimento con il passato, è fin da piccolo portato per il disegno: grazie all’agnizione finale, potrà trasferirsi in città per frequentare l’Accademia di Belle Arti e realizzare al massimo le sue inclinazioni, come lascia presagire il finale aperto del romanzo.
Vorrei suggerire una mia personale chiave di lettura.
Al di là della storia, dei fatti narrati, che richiedono comunque un certo impegno per i lettori, io credo che l’esito della trama costituisca simbolicamente e sostanzialmente una riaffermazione dei diritti negati dal Fascismo, dalle leggi razziali, dalla guerra.
In modo particolare mentre scrivo mi torna in mente la nostra bellissima Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948 e nata da un grande sforzo unitario e coeso di forze politiche diverse, ma tutte profondamente antifasciste, in un momento in cui i padri costituenti hanno lavorato insieme per la Res publica, il bene comune.
A mio avviso le giovani generazioni, Aila, Giulia, Giacomo, incarnano perfettamente, o almeno provano a realizzarlo, il dettato dell’articolo 3 della Costituzione, che voglio qui richiamare: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Il romanzo si apprezza, stilisticamente, per il sapiente uso del presente che sostituisce il passato nei momenti cruciali, laddove c’è necessità di avvicinare gli eventi ai nostri giorni, ma anche di renderli per noi più emotivamente vicini, e al tempo stesso di più ampia portata universale: “Aila ascolta il silenzio denso delle mura e del ferro, accoglie il freddo umido che nonostante la stagione le penetra a fondo nelle ossa […] Giacomo sta finendo il disegno. Domani farà i test per l’Accademia di Belle Arti […] Viva la libertà. Ricordatelo, Giacomo, pensa. Lui si alza e tende una mano. Sempre”.
Infine si apprezzano i capitoli brevi e le inserzioni in dialetto piemontese che spezzano il tempo del racconto talora allungato dalle digressioni, dai flash back, dai dialoghi, dalle riflessioni e dalle descrizioni. In tal senso si apprezzano soprattutto le descrizioni degli ambienti naturali, impreziosite ma mai appesantite dall’impiego di termini tecnici, che tradiscono piacevolmente gli studi di Agraria della giovane scrittrice (una degna erede di Italo Calvino in tal senso).
Nel silenzio, in effetti, non tace mai la Natura che diventa spesso un personaggio parallelo agli altri protagonisti, che assiste, fa da sfondo agli eventi, abbracciando coralmente tutti.
Ad maiora, semper!
Written by Filomena Gagliardi
Bibliografia
Martina Merletti, Ciò che nel silenzio non tace, Einaudi, Torino 2021, duecentosettanta pagine, 18 euro