“Il vento dal nulla” di J. G. Ballard: il primo romanzo della Tetralogia degli elementi
L’idea che un capolavoro artistico, per esempio il ciclo di affreschi di Giotto che hanno reso (si fa per dire) immortale la Cappella degli Scrovegni, possa essere distrutto mi reca un lancinante dolore. Quel bulimico demone grigiastro che il Maestro seppe raffigurare con tanta sagacia è come se esistesse davvero (essendo stato creato da noi uomini stessi) ed è come se non aspettasse altro che di divorare il primo sventurato che gli passa accanto.

Se un giorno morirò (e quell’evento non è affatto certo) non l’ammirerò più, ma il fatto non mi turba: altri, figli, nipoti, figli e nipoti amici, sconosciuti, potranno gioie di quella creazione artistica. C’è sempre la questione aperta del secondo principio della termodinamica che dovrebbe condurre al Nulla, o meglio al Tutto Disperso, ma c’è Tempo, che Einstein, Barbour Rovelli e altri definiscono la madre di tutte le illusioni. Si vedrà, forse.
Frank J. Tipler in La fisica dell’immortalità ha promesso ben altri orizzonti: un’eternità dorata che sarà salvaguardata da una sorta di Memoria Cosmica. E se tutto piombasse all’interno di quell’avido buco nero che è al centro della Galassia? Prima che questo accada noi, con Giotto e gli Altri, saremo Altrove.
Il Covid 19 ci ha costretti a una consapevolezza: la nostra vita normale non è affatto tale, oppure lo è nel senso che obbedisce alla norma di quel momento. Nel suo mirabile saggio sulle epidemie e pandemie della storia, Far fronte all’ombra, Roberto Escobar illustra le assurdità umane che occorrono allorché, non di punto in bianco, ma con cinica e crescente irrimediabilità, il morbo si presenta come quel subdolo agente che è, e che dapprima sussurra sommessamente, per poi ruggire come una belva famelica, che dapprima terrorizza, per poi rientrare in un’assurda abitualità, per cui subentra “un’indifferenza morale che non accomuna, ma divide.” – dobbiamo pertanto essere pronti a tutto, ma al momento ci si può cullare in una vana sensazione di onnipotenza e d’immortalità.
“Improvvisamente si sentì uno schianto di vetri infranti, e la porta finestra si spalancò di colpo. Una violenta raffica di vento gonfiò le tende sollevandole fino al soffitto” – quando un che di simile mi è capitato, per un attimo sono rimasto sbalordito ma poi mi sono tranquillizzato, dicendomi: Ma guarda un po’ che roba!
Ormai sono “circa quindici giorni” che dura ‘sto tempaccio, non è ora che finisca?! Dice la sconsolata moglie d Symington: “Non si può uscire a fare una passeggiata, Donald. E c’è sempre polvere dappertutto!”
La velocità del vento, a quanto si dice, “aumenta di dieci chilometri al giorno”. Qualcuno, eroico, ha il coraggio di dire: “Voglio andare a vedere un po’ lo spettacolo.”
Gran parte del romanzo Il vento dal nulla di J. G. Ballard si gioca in Liguria: “Sulla piazza principale di Noli, un pullman giaceva su un lato, con le ruote rosse di polvere. L’edificio medioevale del municipio era stato scoperchiato, tutte le altre case però, nonostante l’aspetto decrepito, riuscivano a resistere a quel vento simile a un uragano.”
Un’immagine che mi fa male, ricordandomi fatti vissuti di già: “Il campanile della chiesa era crollato. Un solo sperone di muro era rimasto in piedi sopra il tetto della chiesa. Ma il vento stava demolendo anche quello.” Ora, della “gente stava pregando, riunita qui, perché cessasse il vento.”
Un discorso che fa pensare: Van Damm aveva “perso la vita in uno scontro di macchine, due settimane fa in Spagna. Si era incontrato segretamente con Franco per discutere questioni politiche.” – e questo breve accenno a un, pur deprecabile, personaggio storico, dona un brivido al lettore. Nel frattempo: “apparentemente l’Europa e l’America, mentre il Sud America, l’Africa e l’Asia si trovavano già alle soglie della fame e costrette a combattere le prime epidemie” – il sogno dell’uomo civile: seppellire gli incivili, prima di prenotare la propria familiare tomba di famiglia, che sempre gelido loculo è.
“Lanyon teneva la ragazza per un braccio, e ad un certo punto il vento gliela strappò quasi di mano” – è quel quasi a cui ci si aggrappa con disperazione e che può alla fine salvare i nostri sogni e affetti.
“Distrutta la cupola di San Pietro.” – si può ricostruire! “Vittime 2.000.” – anche queste si possono ricreare! Al miserabile anti-jankee che ogni tanto sonnecchia in me viene vilmente da sorridere quando leggo che “alla statua della Libertà sono state strappate la testa e la torcia” – come quando seppi dal telegiornale dell’attentato alle Torri Gemelle: se lo sono meritato!, fu il mio primo assurdo pensiero, di cui ancora non ho cessato di vergognarmi.
Un’affermazione di Dickinson che mi lascia perplesso: “Tutte le forze d’onda elettromagnetiche hanno una massa…” – qualcuna l’ha loro regalata oppure solo data in custodia?
A Londra sono ottimisti: “Per quanto quasi tutta l’attività commerciale e industriale sia cessata, la maggior parte della popolazione resiste senza eccessive difficoltà.” – durerà? Si tratta di “una specie di politica churchilliana per portare la gente a testa alta contro il vento, perché gli uomini si difendessero anziché fuggire impauriti.” – quelli sono abituati al sangue, al sudore, alle lacrime e a un’immensa brezza assassina, che tanta polvere dona all’inclita City. Intanto pare che sia crollato anche “il Palazzo Reale. O il numero 10 di Downing Street…” – col condomino che è emerso dalle macerie in mutande (mia immagine irriverente e monellesca). Poco dopo, a crollare è la Colonna di Nelson (analogo destino prima o poi spetterà a quella che svetta, o forse svettava, a Montreal).
Deborah è pessimista: “… sono sicura che non siamo giunti ancora alla fine.” – in effetti mancano ancora un sacco di pagine alla parola Fine.
La casa di Marshall aveva delle pareti che “erano costruite su una struttura d’acciaio che resisteva senza sforzo alla pressione del vento…” – speriamo, dai! Mancano ancora tante pagine però!
Dora “nonostante i quindici giorni fossero passati, non aveva ancora dato alla luce il bambino. Inconsciamente Dora si rifiutava di mettere al mondo…” – un probabile sventurato.
Susan prese a “volare in mezzo alla polvere verso il tetto sottostante dell’Ambasciata, e poi rotolare come un pupazzo disarticolato sui tetti delle case accanto…” – ciao, cara!
Patricia dimostra d’aver un bel carattere: “… nonostante che negli ultimi cinque giorni avesse mangiato e dormito pochissimo” riesce a dire a Lanyon che gli chiede come sta: “Magnificamente. Questo è il genere di vita ideale per una ragazza.” – come la vorrei conoscere, ‘sto essere umano!
New York? “completamente distrutta”; Manhattan? “Sommersa dalle acque, e la maggior parte dei grossi grattacieli è crollata”; “L’Empire State Building è caduto come una vecchia ciminiera.”; “Parigi, Berlino, Roma… nient’altro che rovine e gente tappata nelle cantine.” – in compagnia di un buon vinello, mi auguro. “La vecchia facciata di Westminster era scomparsa e il Big Ben non era che un cumulo di rovine.” – tanto non serve più sapere che ora è, nessuno lavora più.
Dice Marshall: “Deborah, non cominciare a fare la sentimentale. Questi sono dei momenti particolari. Sono morte milioni di persone! Vuoi forse fare il cambio con uno di loro’” – gli animi si stanno accendendo ed è un buon segno: è rimasta dell’energia. Intanto qualcuno ammazza qualcun altro, sparacchiando qua e là… Maitland è stato ferito, e si trova in un ospedale… o forse no… anzi, certamente no… “Le voci, le diagnosi, il letto caldo, erano tutto un prodotto della sua fantasia” – uno dei pochi elementi ancora gratis, come diceva quel titolo di film: pane, amore e fantasia… ora a rischio c’è proprio il pane.
“Londra? Non esiste più. E non esistono più New York, Tokyo e Mosca” – con quel che non c’è si fa a meno, recita il detto, ma un po’ dispiacere sapere che “la telecamera collocata sulla torre di Hammersmith mostra un mare di rovine. Non una sola casa è in piedi.”
Sorge una bieca consapevolezza: “In questo momento comincia una crudele forma di selezione naturale, e per dirlo con franchezza, io voglio essere uno dei selezionati.” – e qui vale il detto uno su mille ce la fa!

“Ci si muove in mezzo a pareti d’aria nera, solo che non è neanche più aria, ma una valanga di polvere e di macerie.”
Maitland è ora nel regno (non si può definirlo diversamente) del pluri-miliardario Hardoon, che a volte rassomiglia a una specie di capitano Nemo. Egli ha costruito una torre incredibile, perché, si vanta, “solo io, di fronte alla più grave sciagura che abbia mai colpito la terra, ho avuto il coraggio morale di sfidare la natura…” –arrivando a dire: “Se dovessi fallire, l’uomo non avrebbe più diritto di proclamare la sua superiorità sulla irragionevolezza del mondo naturale.” – Nemo rifuggiva gli uomini, Hardoon, invece. dice. “Non voglio lodi per il coraggio che dimostro, però mi piacere essere ricordato essere ricordato come l’homo sapiens, mio lontano parente.” – un cugino tra i più diseredati.
Le mura della sua torre “hanno uno spessore di dieci metri, e potrebbero resistere alo scoppio di dozzine di bombe all’idrogeno…” – si è messo avanti col lavoro! E “… ottocento chilometri all’ora sono una misera velocità per questa piramide…”. Il vento, intanto, soffia “a una velocità di 880 chilometri orari…” – Bazzecole!
Poche pagine dopo: “L’intera piramide si sta rovesciando. Venite via finché siete in tempo. Guardate! L’acqua sta scavando la terra sotto la piramide.” – così mi confidò un giorno il mio idraulico di fiducia: l’acqua, come la moglie è un bene da salvare, ma vuol comandare lei!
Tót à fîn, diceva mia madre. E questo vale per le torri, gli umani, le loro insolenze e sogni, nonché questo romanzo, di cui sono giunto ora all’ultima pagina.
“Guardate, Lanyon. In alto! Non capite perché quel pezzo di muro non ci viene addosso? Non capite perché cade contro vento?”
Perché tutto ha fine… Anche la fine stessa?
Questo è il primo romanzo (del 1962) della Tetralogia degli elementi. E prima che termini il mondo li devo leggere tutti e quattro! Poi li cederò, forse.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
J. G. Ballard, Il vento dal nulla, Urania – Mondadori, 1962
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