“Dummy ’56”: un progetto artistico di Daniele Cabri e Maurizio Codeluppi
Francis Bacon incontra Lucien Freud, a casa di un amico, nel 1945: nasce, immediatamente, un legame amicale, che si concreta in molteplici rivisitazioni artistiche, il cui protagonista è il nipote del celebre psichiatra. Al contrario, questi realizzò due sole “foto pittoriche” dell’eclettico amico, una delle quali rimase, peraltro, incompiuta.
Medesimamente, in uno spazio diacronico, Daniele Cabri condivide un’intenzione con Maurizio Codeluppi: gli racconta, d’emblèe, la pulsante necessità di vivificare un lavacro intimo, il cui rituale è da scandirsi attraverso precise pratiche. Il fotografo recepisce la follia del desìo dell’artista come futura rivelazione di un’emozione pura, decidendo, così, di accompagnarlo; saranno, quindi, salaci click, ad imprigionare quegli attimi e, nel contempo, a celebrare una liberazione/resurrezione. Come Lucien Freud, seppur per motivi diversi, Maurizio Codeluppi scompare, prima che il progetto editoriale sia portato a compimento, non riuscendo, allora, a suggellare la fine, con la propria firma. Così, Daniele Cabri chiede a me, quest’oggi, simbolicamente, di “dirimerne” la non finitezza…
Ma facciamo due passi indietro…
La madre dell’artista modenese lo addita, da sempre, come personalità volitiva e impetuosa, paragonandolo alla figura del nonno.
Il passo seguente è costituito dal compito, nato tra magia e mente, affidato, a Daniele Cabri, da un assistente di Jodorowsky: nell’estate del 2021, anno del coronamento del 56 esimo anno di vita del performer, egli avrebbe dovuto indossare gli abiti dell’avo, per 56 minuti esatti, percorrendo le vie di una città a propria scelta.
Il 15 agosto si appropria, quindi, delle care vesti, croce e delizia esistenziale, e adombra il suo volto con una frugale garza, che custodisce, tra trame e orditi, la naturale distorsione dell’immagine dell’ovale di quest’ultimo, da giovane.
Una camicia a quadri ammicca da un fumoso abito di fattura, completo di gilet, mentre un cappello e bronzee scarpe di cuoio completano e, nel contempo, liberano la verità di quell’amata “gabbia umana”.
La sequela ha inizio ai piedi del castello di Vignola, a 12 chilometri dall’abitazione dell’artista.
Egli, quindi, si estranea da sé stesso e inizia a percorre quell’arcano tempo…
“La pioggia è sempre/ un’improvvisazione, ma il cielo l’ha/ preparata con cura.” – Fabrizio Caramagna
Da una devozione immemore nasce, quel preciso giorno, la liturgia di questa purificazione: ignaramente, le perle del rosario accadono, susseguendosi, e lacrimando, indi, un pianto emozionale, che frantuma, passo dopo passo, la grevità di un vivo ricordo.
Il disegno esisteva già, infisso e erratico, tra eteroglosse stratificazioni spaziali e temporali, in cui i riferimenti si sono confusi, creando una sensatezza libera da sovrastrutture.
Frutto di una mescianza di se stesso e molto altro, conturbato, di fatto, da molteplici forze difformi, che interagiscono tra loro, Daniele Ismaele Cabri si polverizza e diventa, alfine, entità anonima. Come sabbiose spoglie apolidi, le sue membra calpestano grigie e solitarie vie, amano sassose pareti e scalinate, specchiandosi nel genio di Ligabue…
Maurizio Codeluppi cattura, intanto, l’anima di quei muti versi, da lontano e da vicino, come un silente testimone.
Da assolati luoghi, i due giungono, in ultimo, al vocío umano: seppure la pandemia imponesse, in quel periodo, l’utilizzo della mascherina, riconoscendo l’incerta presenza, l’occhio della gente si inquieta.
Il peso dell’impalpabile giudizio grava, ulteriormente, sulle riflessioni dell’artista. L’eternità, intanto, si liquefà, in quel lasso di tempo predefinito, amplificano ogni sensazione e moltiplicandola sulla pelle dell’autore.
Il “tramonto” giunge e due si congedano…
Daniele Cabri torna, con quel bagaglio conoscitivo, dinnanzi al ciglio materno, per spogliarsi, infine, definitivamente, di ogni dettaglio.
Abbandona, così, uno ad uno, gli indumenti, compresi due santini, trovati nella fodera del cappello; si riappropria, però, del proprio, inedito io.
I “Dummy 56” vengono, poi, realizzati in 56 copie, di 56 pagine ciascuna e, in questa cifra, sono adombrate le coordinate delle rivoluzioni interiori, che comportano l’annichilimento totale e l’avvento di un’inespressa alba esperienziale.
Lo sfoglío del “Dummy 56” diffonde i policromi odori di questa metamorfosi, ‘sì che è possibile “leggervi” i mutevoli e pensosi diastemi involti, custoditi tra un’immagine e la seguente, nonché cogliere le fasi della maturazione di quel frutto evolutivo.
Sapientemente organizzato da Daniele Cabri e Luca Panaro, mancava di un unico tassello: la figura di Maurizio Codeluppi si era, in realtà, perduta, nell’avvicendarsi degli accadimenti.
Le mie parole servono, allora, a risolvere quest’ “orizzonte” sospeso, onorando la personalità del fotografo e caro amico.
Così, in scioltezza, il “nostro” personale e universale disvelamento continua…
Written by Maria Marchese