“Henry Miller – Ultime intimità”: una serie di interviste dello scrittore belga Pascal Vrebos

Lo smilzo libercolo riporta le ultime interviste (le chiamo così, poi si potrà discutere su quel che sono) di Henry Miller rilasciate a un allora giovane scrittore belga, Pascal Vrebos, che è il vero autore del libro, l’io narrante che tira le fila delle chiacchierate. Forse non ha molto senso parlare di interviste, perché Henry talvolta rivolge delle domande intime a Pascal, che ogni volta risponde con sincerità. Poco importa. Si tratta di voci miracolosamente salvate dall’oblio e che accaddero nel 1979.

Henry Miller - Ultime intimità
Henry Miller – Ultime intimità

L’anno dopo, il 7 giugno, Henry Miller volò là dove gli parve opportuno emigrare. Me lo immagino, il vecchio amico di mille letture, a bordo della zattera, che viene avvistato dalla capitaneria di porto del Paradiso, salvato e portato in un bistrot perché si rifocilli un po’ dopo tant’assurda traversata.

In quel periodo ero postino a tempo determinato dalle parti di Villa Cella e la coda di una notizia del telegiornale m’aveva inquietato. Allora non c’era né Google Televideo a salvarci la vita e a lenirci le ansie. Nel consegnare la corrispondenza all’edicolante, gli chiesi il permesso di dare una svelta occhiata a un giornale. Sì, avevo inteso bene: nella giornata di ieri è morto a Pacific Palisades Henry Miller, lo scrittore americano, celebre per le sue opere scandalose… – era la mattina dell’8 giugno del 1980 e da qualche ora Henry era Colà, che se la spassava in quel bistrot, speróm dai!

Leggendo quest’opera ho scoperto (sempre da quel Google demoniaco) che la sua fin troppo amata June Mansfield, nata Juliette Edith Smerdt, l’aveva preceduto da oltre un anno e… chissà se i due si sono visti, magari in quel bistrot, sempre più affollato, dove Lev e Victor discutono da secoli su Napoleone, Ettore e Paul a proposito di come sia rigirato il neutrino venuto dal futuro, Jiddu e Friedrich su quello che pare a loro, dove ognuno, al suo tavolino, mangiucchia sorseggiando del buon vino e dicendo la sua a qualcun altro, che in genere o ammicca oppure scuote il capo, sorridendo.

Lo indica l’esergo del libro “Henry Miller – Ultime intimità, scritta dallo stesso Enrichetto: ovunque voi siate, con chiunque siate, “prendete la vita per quello che è, riempitevene, e diffondete gioia e caos.”

A me piace prendere in giro i miei maestri: Feodoruccio, Franzuccio, Albertuccio, Ferdinanduccio, etc etc Con Enrichetto mi riesce più difficile, perché, pur seriamente, già si prende in giro da solo. Ma ci provo lo stesso.

Casualmente (il caso se esiste è un fake) ho letto questo smilzo libretto, di meno di cento pagine, edite un po’ selvaggiamente da Ripostes nel 1993 (e rieditate nel 2018), contemporaneamente a una snervante biografia romanzata di Tesla, scritta da quell’energumeno (dal punto di vista della scrittura) di Vladimir Pištalo. Non so perché, ma mi è parso che lo stile di Vladimir riecheggi un po’ quello di Enrichetto, che d’ora in poi, in segno di maggior rispetto, chiamerò Richetto.

Pascal è più rispettoso di me: “Sono entrato nell’opera di Miller per la porta di Tropico del Cancro, uno choc per i miei vent’anni d’allora: un periplo al fondo della putrefazione, una lingua bruta e incandescente, che si consumava fino alla fine del desiderio.”

Io ne sentii parlare per la prima volta nel 1972, quando una compagna di classe portò in classe uno dei suoi romanzi, e chiese alla prof di leggerne alcuni passi. Nel 1976 cominciai a leggere il libro che aveva sconvolto Pascal, ma a metà libro lo abbandonai per alcune settimane (se non mesi), preferendo altro (ricordo che c’erano in tivù le olimpiadi Montreal). Poi lo ripresi e cominciai ad amarlo e odiarlo, augurando al suo autore il meglio e il peggio dalla vita, il Nobel e un cazzotto sul suo grugno animalesco, sentendomi preso come non mai.

In Tropico del Capricorno lessi di quell’omicidio giovanile causato da Richetto o da qualcun altro della gang, e ne fui sconcertato. Se ne parla anche in una di queste interviste. Rimasi sospeso nel giudizio: avevo sentito che forse un caso analogo era successo anche a John Lennon… Forse allora era di moda!

Due opere mi unirono per sempre a Richetto: I libri della mia vita, una silloge di ricordi delle sue letture e Sexus, il primo romanzo della Crocifissione in Rosa. Anzi, il secondo, mi pare di ricordare, come scrittura, ma il primo dal punto di vista cronologico degli avvenimenti e dell’edizione. Poi toccò a Plexus, che strinse sempre di più il mio vincolo a Richetto, poi Nexus, che fu pubblicato per terzo ma forse scritto per primo, assai diverso (e tetro, e sofferente) rispetto agli altri due.

Henry era semplicemente complicato in ogni cosa che combinava e anche la pubblicazione della sua opera lo fu. Cominciò relativamente tardi, a 43 anni, nel ‘34 e finì tardissimo, dopo che era già morto.

Troppo bruciava ancora la ferita procurata dalla sua passione per June (ricordo, a caso!, di lei soprattutto una riga tratta da Sexus: questo è l’ano di Mona). Richetto inizialmente la chiama Mara, poi Mona, ma è sempre lei, June.

In seguito ho letto tutto il Miller che mi è capitato tra le mani, fino a Opus Pistorum, postumo e d’incerta attribuzione. Sabato scorso mi trovavo a un mercatino di Correggio e mi sono imbattuto in questa chicca.

Quando Richetto incontra June/Mara/Mona per la prima volta un solo pensiero lo divora: deve possederla al più presto. A me è un simile evento è capitato con ‘sto libretto: O tempora o mores!

“Ci siamo incontrati. Poi, sono tornato con moltissimi appunti, una registrazione, e soprattutto con la testa turbinante di emozioni, d’immagini.” – come ti capisco, mon cher ami.

“Ma, come osare trascrivere un tête a tête tra un giovane sconosciuto e un mito, quando il primo, stimolato dal secondo, parla altrettanto se non più di lui e l’invitato, cioè io, che voleva restare in ombra, diventa il bersaglio dello scrittore leggendario?” – ce la puoi fare, tranquillo.

“La voce di Miller, imprigionata dal registratore per alcune ore, mi ritorna adesso come una finzione: solo i ricordi rimangono veri.” – bella questa, davvero. La memoria è fatta di oblio, pare che abbia sussurrato Borges a un amico mio.

Dice Richetto: “A New York conoscevo tutti i ristoranti non per averci mangiato, ma per aver guardato in faccia i clienti che si davano da fare per abbuffarsi. Qualche volta, penso di essere nato affamato.”anche Tesla, ma lui ha preferito digiunare per meglio pensare. Io e te, Richetto, no.

“… La strada è la libertà degli incontri, dei movimenti, è sogno anche. Ho appreso la vita nella strada, con i miei compagni.”in miezz’a via

“Oh! Mia madre… molto possessiva e molto fredda. L’ho odiata molto.” – è stata la tua prima musa.

“Miller pensa di non aver mai conosciuto l’amore materno, né la tenerezza né i baci. Carica tutti i difetti colei che lo disprezzava e che, fino alla fine della sua vita, non gli hai mai creduto, né come uomo né come scrittore. Non leggerà mai una riga del figlio.” – come Musa è perfetta. Musa dalla radice indo-germanica ma(n) – conoscere, pensare da cui deriva anche mente. Quello che ti frulla nel cervello, Richetto, e che tu poi violenterai con passione, con la tua estrema kam’a.

La mamma pianse alla morte del di lei padre: “Piangeva così copiosamente che le sue lacrime inondavano il cadavere. Si sarebbe detto che il nonno piangesse la sua sepoltura!” – nulla fa più fremere di rabbia quanto l’amore manifestato da chi odiamo!

“Da adulti abbiamo tutti qualche crudeltà infantile da espiare…” – io rifiuterei sicuramente un indulto.

“… a Parigi ho incontrato un mucchio di pazzi, per strada, sulle terrazze dei caffè. Gli eccentrici mi…” – tutti lo siamo ec-centrici. Non esiste alcun centro, nel cosmo, così dicono, almeno.

“… i pazzi, gli sbandati, vanno matti per gli scrittori, questi folli che imbastiscono la finzione e si prendono gioco della realtà. Ma credo che ognuno ha conosciuto o conoscerà questo genere di crisi terrificante, questi parossismi.” – a volte di notte, dormendo.

Lo ammetti anche tu, Richetto: “Io, per esempio, vivo le mie crisi nei sogni. Da sempre, sogno di guardarmi in uno specchio e, dopo un attimo, non sono più io. Sto guardando un altro. Ho perduto la mia immagine, la mia identità. Sno diventato pazzo. È inquietante non trova.” – chi non è bipolare getti il primo rorschach!

“Ed ho avuto sempre la sensazione di essere un fallito: quindi ero attratto dai miei simili. I falliti, i folli, sono molto ricchi di immaginazioni: appagano il loro vuoto sognando e inventando altre vite.” – questa è la nostra, incommensurabile, forza.

“… ero il re della mia libertà. Il fallito non ha niente da perdere: è totalmente libero, in un certo senso.”io sono il ribelle della mia stessa libertà, la combatto e agogno di salvarla dal resto del mondo. Ho bisogno di catene e di spezzarle fragorosamente!

A proposito dei suoi personaggi. “La frontiera tra loro e me, tra i loro modelli e me, tra la menzogna e la finzione è del tutto evanescente…” – quell’evanescenza è la scia dell’energia che a loro è trasmessa e che se ne sta volando via, altrove.

“Hmmm – e l’interiezione che prende di frequente Richetto, mentre parla con Pascal, a cui chiede se ha mai sofferto per una donna. Quando quello gli parla del suo tormento per Cécile: “Lo vedo come se ci fossi stato! Il colpo di fulmine fa risorgere un universo favoloso – dice Miller con enfasi –, la realtà attraverso il prisma dell’amore. È questa l’allucinazione vera. E il primo bacio, un delirio indelebile, non è vero?” – la punteggiatura in ‘sto libricino sembra averla sparsa lo stesso Richetto.

Henry Miller - Anaïs Nin
Henry Miller – Anaïs Nin

Una storia siffatta non è mai banale, è “… Eterna. Archetipica. Vera come la vita. Tutti gli uomini la conoscono e a tutte le età! Anche le donne, certo. Gli uomini, però, son più deboli, più fragili… – sorride Miller.”

Rivedere anni dopo “June è stato uno spavento. Aveva il viso emaciato, la schiena curva, aveva perso i capelli ed era completamente rimbambita.” – sarebbe mancata proprio quell’anno.

Ricordo che era davvero tremenda con quel suo io infiammabile: Io, io, io…, così la definì Anaïs Nin nei suoi diari. E anche lei cadde nella ragnatela che i due, Richetto e June avevano teso, ognuno per intrappolare l’altro.

A volte mi domando cosa sarebbe accaduto se i due innamoratini si fossero incontrati con Zelda Sayre e con quell’altro scrittore yankee, anche lui lesso come un pesce.

“Sa, riprende Miller, sono sicuro che sul mio letto di morte l’ultima immagine che porterò con me sarà quella del mio primo amore. Un amore a senso unico! Il più forte!”

Un libro che ignoro: Insomnia: “… è uno dei miei preferiti. L’ho scritto con le lacrime del mio corpo. Mi svegliavo in piena notte, folle d’amore, di rabbia e di gelosia (lei si divertiva tra le braccia di un altro) e scarabocchiavo lettere che non…”.

Mi pare che un dialogo fra i due presenti un errore di passaggio: due interventi dietro di fila, non so se dell’uno o se dell’altro. L’edizione offre al lettore vari refusi, ma chi se ne frega.

“Vaghiamo tra i nostri ricordi, beviamo il nostro te a piccoli sorsi…” – anch’io, ma a casa mia, accidenti!

“… Fare l’amore era una forma di disperazione, ma anche di straziante nostalgia…” – per quando eri sciolto da vincoli?

“… Non ho mai preso le donne per oggetti, anche se ne ho ‘prese’ molte…” – chissà chi dei due ce l’ha dentro, mai l’ho scoperto – “… La donna era mia pari. Ed era il soggetto del mio desiderio, e io del suo. Non ho mai violentato una donna…” l’amore è spesso violenza contro di sé“… Certo, ci si insultava, schiaffi e pugni volavano…” – anche piatti – “ma da ambo le parti. L’uomo e la donna devono liberasi insieme o resteranno schiavi l’uno dell’altro.”

Macché pornografia, semmai l’oscenità, che è “una tecnica; come una tecnica erano i miracoli di Gesù Cristo…” – e poi aggiusta il tiro (come solo Richetto sa fare): “Hmm. Hmm. Sì, diciamo che anche i miei libri hanno fatto dei miracoli…” – non ha detto che sono miracoli, ma che hanno causato dei prodigi (confermo il dato). “… hanno salvato delle persone perché sono servite a ridare coraggio, a far riprendere gusto alla vita. Le mie ‘oscenità’ non hanno mai fatto venire il cancro a un lettore, né lo hanno fatto venire vizioso.” – qualcuno già lo era, forse.

Richetto narra di una spassosa e surreale scena tribunalizia in cui lui era l’imputato, e Pascal non può fare a meno di segnalare: “Talvolta ho l’impressione che scriva parlando e che voglia giocare tutti i ruoli, identificandosi con tutti i personaggi per meglio vampirizzarli.” – cosa che faccio anch’io, leggendolo.

“… la terra è l’inferno. Altrove, si dovrebbe star meglio.” – anche se non sa dire dove sia quel luogo magico: “Lo ignoro. Lo saprò presto! O forse mai!” – lo saprai l’anno prossimo, tranquillo.

“Amo parlare di qualunque cosa. È parlando che l’essere parte alla scoperta del reale, di se stesso e degli altri…” – e alla domanda cosa lo interessi la risposta è prevedibile: “Tutto riesce ad eccitare la mia immaginazione, mi fa venire delle idee. E poi, il piacere di parlare e di ascoltare, di dare e di prendere è insostituibile…” – sono d’accordo, Richetto. Tu me l’hai insegnato.

“Per me tutto è mistero, mistero, mistero. Non c’è niente che io possa davvero credere o conoscere. Mistero. E sono contento che tutto sia misterioso.” – è il mistero che ci rende consapevoli di non sapere. Io non so nemmeno se so. Mistero!

“La realtà è la sola cosa capace di amplificare la poesia…” – grazie all’illusione che l’ha creata. Rimbaud? “… ha rinnegato tutto, per tutto inventare.”Je est un autre!

Il padre? Dopo la sua morte “non ho più avuto paura. È stata la sua morte a sconvolgermi…” – e Richetto ha il mio stesso rimpianto: “ho pensato di non avergli parlato abbastanza…” – tranquillo, un giorno glielo chiederemo e, se servirà, monderemo i nostri peccati.

“… Ho l’impressione che debba essere una ‘pacchia’ dall’altra parte. Se no, che perdita di tempo la vita!” – dai, almeno ci siamo conosciuti!

“Un vero poeta cambia il mondo; le sue immagini, il suo grido fanno trasalire il sangue dei lettori, tramutano le loro vite di bigotti…” – e rendono bigotti i cinici! E bigotte le cimici!

“La più grande fortuna per un bambino sarebbe la sparizione dei suoi genitori dopo la nascita…” – Tiè! Tiè! Lo pensava anche il mio amico Gino, che finirà suicida, che però, poiché favoriva il figliolo rispetto al resto dell’umanità, diceva di praticare la contraddizione, e così morì meno infelice di quello che era destinato a essere.

Finalmente è domenica (gli incontri sono stati giornalieri e sono iniziati martedì). Domani, che è lunedì, riposeremo tutti, come tanti barbieri.

Richetto per scrivere tiene una scaletta, “ma scrivo così veloce che non la seguo quasi mai. Mi supero da solo…” – che è il fine ultimo di chi segue i suoi propri sentieri che si biforcano a ogni piè sospinto.

“Le barriere cadono, le dighe crollano, la loro vita sgorga come un geyser… Hmm… Capisce perché è…” – capire è un po’ morire.

Henry Miller - Pascal Vrebos
Henry Miller – Pascal Vrebos

“Ho sempre avuto la tendenza ad esagerare, a gonfiare i dettagli, a spingere le idee, i sentimenti al parossismo” – che poi non esiste, perché tutto cresce sempre ancora almeno un po’.

“Sì, io sono tutto una contraddizione, un caos se preferisce…” – un abisso in cui tuffarsi, per poi riemergere da tutt’altra parte. Un buco nero che diventa candido in fondo al suo ano.

“Ma tutti, io credo, siamo dei caos giacché ci dibattiamo in tutti i nostri ‘io’ fino alla fine.” – che pure non esiste, questa benedetta fine dei tempi. Il tempo è un’illusione, a quanto pare.

Non riporto il giudizio di Richetto sul matrimonio: è inutile quanto essenziale, ma non più di tutto il resto. Richetto si è sposato cinque volte. Nel 1979 era innamorato di Brenda Venus, una giunonica attrice poco più che trentenne, che gli aveva promesso che l’avrebbe amato per sempre, anche dopo la sua morte. Come t’amo anch’io, Richetto, che ci vuoi fare!

Ora ti saluto, Richetto. Sicuramente avrai da fare. Anch’io. E ti ringrazio tanto. Anche a te, Pascal.  A presto.

 

Written by Stefano Pioli

 

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