Intervista di Emma Fenu a Patrizia Bove, autrice di “Un posto per andar via”
“Queste storie sono state dentro di me per molto tempo. Non pensavo di scriverle fino a quando, una mattina di estate, passeggiando per le vie del mio paese, ho avuto la netta consapevolezza del legame con la mia terra. […] Eppure, la forza delle radici è un richiamo ineludibile. Non si sfugge al legame con la terra natia, anche quando da quel posto andiamo via con la promessa di non tornarci mai più.” – Patrizia Bove, “Un posto per andar via”
Patrizia Bove è nata a Napoli ma vive in Valle Telesina. Esordisce come scrittrice con “Sognando l’America”, racconto breve inserito nell’antologia letteraria “Je suis chocolat”, successivamente pubblica il romanzo storico-biografico: “Se bastasse un momento di gioia” con il quale riceve il Premio Nazionale Olmo, il Premio Upupa d’oro per le eccellenze sannite e la menzione di merito nel Premio Internazionale di Poesia, Prosa ed arti figurative “Il Convivio”.
Nel 2020 pubblica la raccolta i racconti “Un posto per andar via” che riceve il Premio della Giuria alla XIX edizione del Premio Letterario Nazionale Letizia Isaia e la menzione di merito al Premio Megaris XXVII edizione anno 2021. Nel 2021 un suo racconto “I segreti della Torre” viene pubblicato nell’antologia “Ti racconto una foto, storie ispirate a luoghi suggestivi della città di Benevento”. A dicembre 2021 presenta il suo ultimo lavoro: la raccolta di racconti “Dodici note- Storie di donne e musica”.
Impegnata nel sociale è membro di numerose associazioni culturali. Socia fondatrice del Rotary Club Valle Telesina, nell’anno 2007-2008 ha ricoperto la carica di Presidente in questo sodalizio. Attualmente è Presidente dell’Associazione Massimo Rao, che si occupa della promozione e della divulgazione dell’arte del pittore sannita.
Oggi Patrizia Bove, solare e accogliente, incline all’introspezione e alla curiosità intellettuale, è nostra gradita ospite di Oubliette Magazine per parlare delle numerose tematiche, profonde e imprescindibili, che tocca in tutta la sua opera di scrittrice, concentrandoci in modo particolare sulla silloge “Un posto per andar via”, edito da Iod Edizioni nel 2020.
“Un posto per andar via” ” è un iter in sette racconti che inizia nella seconda metà del secolo breve e raggiunge i giorni nostri. Sotto lo sguardo benevolo della dormiente del Sannio, in un contesto ricco di antiche tradizioni e immerso in una natura incontaminata, si muovono persone diverse, in conflitto con se stesse e il luogo natio, animate da dolore, voglia di riscatto e ribellione, ma straordinariamente umane e “reali”.
E.F.: Come definiresti la felicità?
Patrizia Bove: È molto difficile dare una definizione della felicità. Intorno a questo tema si sono sviluppate tante dottrine di pensiero, dai filosofi antichi ai pensatori dell’era moderna. Io non credo ci sia una sola definizione di felicità, perché non credo ci sia un unico concetto di felicità. La felicità, come tutte le aspirazioni dell’uomo, ha diverse sfaccettature che ogni persona adatta ai propri bisogni. Insomma, ognuno ha la sua “forma” della felicità.
Una sola cosa però, a mio parere, accomuna gli uomini nella percezione della felicità: l’attimo. La felicità è un attimo fuggente, una scintilla luminosa appena percettibile nelle tante vicende che ci accadono tutti i giorni, uno stato d’animo non persistente ma intenso che si differenzia dalla semplice gioia.
Eppure, con buona pace dei grandi scrittori, di Socrate, Platone e dei grandi pensatori, credo che la definizione più lapidaria (e vera) della felicità l’abbia data Totò in un’intervista alla Fallaci: “La felicità, signora mia” disse il grande artista con gesto teatrale e drammatico, “è un attimo di dimenticanza!”
E.F.: L’emancipazione e la ribellione spesso coincidono con una fuga da un luogo fisico o metaforico?
Patrizia Bove: Il “punto di fuga” è un aspetto importante nella vita di ognuno di noi, un’esperienza imprescindibile per realizzare il cambiamento. La fuga segnala l’insopprimibile esigenza di conoscenza di qualcos’altro, di altri modi di vivere, di altri mondi, di altre idee. Il viaggio, inteso metaforicamente come percorso di allontanamento dalla propria realtà per raggiungere un altrove sconosciuto, è occasione di crescita ed arricchimento. Si può viaggiare fisicamente perché si è ingabbiati in una realtà soffocante – e dunque “ribellarsi” ad essa – e si può scappare da una realtà che non ci piace provando a cambiarla, attraverso le idee e le azioni positive. L’emancipazione è cessazione di ogni forma di dipendenza da un’autorità precostituita e dunque per realizzarla bisogna “esserci”, in questo caso la fuga fisica non aiuta, è necessaria invece una fuga metaforica dai pregiudizi e dai tabù e una profonda conoscenza di sé stessi.
E.F.: Quali sono le più grandi paure dell’uomo moderno?
Patrizia Bove: In questo momento contingente, con la guerra in Ucraina in atto, mi viene da dire: il nucleare. Un tema che è ritornato pericolosamente in auge e che certamente spaventa gli uomini di tutto il mondo. Potrei anche aggiungere “il virus letale”, ma queste sono “grandi paura” che hanno una dimensione collettiva, non attinente alla sfera privata degli individui.
Da sempre le “grandi paure” dell’uomo riguardano la propria esistenza e i temi sono sempre gli stessi: la morte, la solitudine, la vecchiaia, la malattia, insomma tutto quello che riguarda l’integrità della vita. Io aggiungerei quella che è una mia grande paura: la perdita dell’umanità, quel sentimento che sottende alla solidarietà reciproca, alla comprensione e alla vicinanza all’altro. La mia sensazione è che, in questo mondo così fortemente digitale, paradossalmente, la vicinanza virtuale abbia allontanato l’idea di umanità, intesa come comprensione, empatia e amore. Comprendere l’altro significa anche riconoscerne la diversità e questo aiuta a combattere pregiudizi di genere, bullismo e razzismo. La mia “grande paura”, insomma, è che il mondo virtuale ci stia disumanizzando.
E.F.: Come si possono superare?
Patrizia Bove: La disumanità si può superare praticando il sentimento dell’umanità che può essere sviluppato educando la società alla comprensione e alla partecipazione emotiva. Le paure banali, quelle che ogni giorno abbiamo, si possono superare conoscendo sé stessi, i propri limiti ma anche le proprie possibilità. In molti casi la paura ci protegge e dunque non è un’emozione negativa. Io, confesso, di aver paura di volare, eppure, pur di poter abbracciare la mia nipotina, prendo l’aereo e mi concentro sulla prospettiva della gioia che mi aspetta. Bisogna guardare oltre le proprie paure e non lasciarsi paralizzare da esse. Certe volte non è facile, ma questa è l’unica ricetta – credo – per superarle.
E.F.: Quale antica eredità abbiamo perso?
Patrizia Bove: Valori importanti come la famiglia, il rispetto, l’onestà intellettuale, l’integrità morale, ereditati dai nostri avi, non dico si siano persi, ma certamente hanno mutato la loro radice primitiva. Quell’eredità di valori tradizionali si è trasformata in qualcosa di diverso dall’originale, con i pro e i contro che sottendono ad ogni cambiamento.
Ancor più dei valori tradizionali, però, abbiamo perso la capacità di narrazione. La narrazione, questo impellente bisogno dei nostri avi di “fare memoria”, non appartiene quasi più agli uomini e le donne di oggi, che hanno delegato a Internet, i media o gli addetti ai lavori, il racconto del passato.
Restano, forse, solo i “nonni” a praticare l’arte della narrazione diretta, Ma anche quella dei “nonni” è una specie fortemente “in estinzione” nell’idea tradizionale, se pensiamo che, in futuro, saranno tali quei genitori che preferiscono affidare a strumenti tecnologici il racconto della loro epoca.
E.F.: Come ti definiresti in poche parole?
Patrizia Bove: Solare, Ordinata, Generosa, Naturale, Amichevole, Tollerante, Ribelle, Impulsiva, Curiosa, Empatica. In un acronimo: Sognatrice.
E.F.: Che messaggio vuoi lasciare ai lettori?
Patrizia Bove: A chi legge voglio dire di continuare a farlo, con curiosità e passione. Chi legge vive tante vite e spesso si identifica con esse. C’è uno scambio, tra il lettore e lo scrittore, che racchiude tutta la magia della letteratura. L’anima dello scrittore trasmigra negli occhi del lettore attraverso le parole che, con naturalezza, si posano nel cuore di chi legge e in quella sede vengono elaborate, secondo le sensibilità individuali.
A chi legge i miei libri voglio chiedere proprio questo: che facciano fluire le parole dagli occhi al cuore e ne traggano il beneficio voluto. La mia più grande aspirazione, da “scrittrice in corso”, è che le mie parole possano essere balsamo per il cuore dei lettori.
Written by Emma Fenu