“Tehran girl” di Mahsa Mohebali: le riflessioni sul corpo femminile
“Mi sento viva a metà./ Respiro,/ ma una parte di me si è spenta,/ grida, è in lutto e arrabbiata.” – Mahsa Mohebali
“Tehran girl”, uscito qualche tempo fa per Bompiani, è il quinto romanzo di Mahsa Mohebali, sceneggiatrice e critica letteraria, che ha vinto il Premio Golshiri con il romanzo “Non ti preoccupare”, sulle (dis)avventure di una tossicodipendente nella capitale iraniana minacciata dal terremoto, edito da Ponte 33 (casa editrice specializzata in letteratura persiana contemporanea, il cui nome è un omaggio al ponte di Isfahan e alle sue trentatré arcate, da sempre luogo privilegiato di letture e incontri culturali).
Un romanzo immersivo, scritto in seconda persona e costruito attraverso gli occhi e le sensazioni di Elham, perfettamente rese dalla splendida traduzione di Giacomo Longhi che, modellata sull’oralità ed infarcita di slang giovanile ed espressioni triviali, ci catapulta in una girandola di nomi, odori di una Teheran che assurge al ruolo di co-protagonista e salti temporali tra l’Iran rivoluzionario e l’Iran contemporaneo.
Elham è la segretaria di un uomo d’affari della Repubblica Islamica, che abituata a ricevere ordini da tutti -anche e soprattutto da se stessa- coltiva la sua personalissima oasi di libertà curando in modo maniacale il suo aspetto (del resto l’Iran è uno dei Paesi col tasso più alto di interventi di chirurgia estetica!).
Infatti “se decidi di uscire come una smandrappata, se non ti lisci i capelli, se ti metti i jeans larghi e le scarpe basse non ti guardano manco di striscio e ti ricorderai l’utilità di un bel paio di tacchi e lei zitella già due anni oltre la data di scadenza, riciclabile solo come vino d’annata” è contornata da ex fidanzati insulsi e scrocconi e familiari improbabili (tra cui spicca lo zio Naser e l’ineffabile gatta Hitler).
E proprio qui sta uno dei punti d’interesse di questo romanzo: le riflessioni sul corpo femminile e su come debba essere asservito allo sguardo maschile che “trasforma il tuo io in una palla di piombo” non impediscono alle donne di essere forti e autonome rompendo i clichè sulle donne mediorientali debole e sottomesse.
E quando scopre del tutto inaspettatamente che il padre Hojjat, “comunista convinto già nel ventre materno”, è vivo e vegeto in Svezia e passa il tempo a chattare su Facebook, il romanzo acquista una dimensione più intimista ma allo stesso tempo militante.
Ritorniamo alla sera che ha cambiato la vita di Elham quella “in cui si è ribaltato il mondo chi si dava alla malavita si è buttato in politica e chi era in politica è dovuto scappare”.
E proprio lei bambina che viveva in mezzo “a ex comunardi che leggono Gorkij” da sempre (auto)convinta di essere stata la causa dell’arresto e della sparizione del padre, inizia un viaggio tra ricordi, ricerche e vere e proprie indagini fino all’inaspettata scoperta che fa il paio con una nuova filosofia di vita.
Si stava meglio quando si stava peggio? Forse… ma almeno intanto ce la siamo goduta.
Written by Monica Macchi