Matilde di Canossa: la fedeltà al papato ed il sanguinoso scontro con l’imperatore Enrico IV di Franconia

Coraggio, acume politico, ma anche intrighi, avvelenamenti, scandali sessuali. Ci sarebbero tutti gli estremi per poter scrivere un formidabile thriller storico, incentrato su di una donna vissuta 1000 anni fa, se tutto questo non fosse vero.

Matilde di Canossa in un quadro di Orazio Farinati
Matilde di Canossa in un quadro di Orazio Farinati

Di chi sto parlando? Di, Matilde La nobildonna tra le nobildonne la gran contessa, che diventò poi Vice Regina d’Italia. Di lei si è detto tutto ed il contrario di tutto. Ma se questa storia ti incuriosisce, seguimi in questa storia.

Mi trovo fuori dalle mura del Castello di Ripafratta. Un maniero dei primi anni del mille, probabilmente edificato proprio da Matilde di Canossa. Non nego che sono preda di una strana sensazione nel pensare che dieci secoli fa, dove mi trovo io magari è passata pure lei.

Il nome Matilde è di origine tedesca, derivazione di Matelda, e significa forte e fiera in battaglia e, credetemi, lo dimostrerà ampiamente nell’arco della sua vita! Nasce a Lucca, o più probabilmente a Mantova, nell’anno del signore 1046. È rossa di capelli, come il padre Bonifacio il Tiranno, Marchese di Toscana, ed un antico detto popolare dice che dei “rossi” non bisogna mai fidarsi né prestar loro la spada.

Matilde eredita da lui il coraggio e la voglia di combattere, mentre dalla madre, Beatrice di Lorena, la devozione e la religiosità cristiana, in un periodo in cui battaglie, scomuniche, intrighi, agguati, sono all’ordine del giorno. Tanto che – se sei un nobile – ti devi guardare sempre le spalle, nelle piazze così come nei vicoli del borgo. E prima di mangiare, devi far assaggiare il tuo cibo da un servo o da un animale domestico, perché non si sa mai.

L’episodio che segna Matilde, avviene a soli sei anni, quando portata a caccia dal padre, perché lui vuole educarla all’uso dell’arco e della balestra, assiste al suo feroce omicidio a tradimento, trapassato alla gola da una freccia avvelenata, lanciatagli da uno dei suoi vassalli. D’altronde se partecipi a campagne sanguinarie come quella nella fortezza di Morat a Friburgo, o a un tumulto a Parma, represso sempre col sangue, qualche nemico te lo fai.

Ma non finisce qui, perché neanche un anno dopo, nel 1053, anche i due fratellini, di poco più grandi di lei, vengono avvelenati, perché la casata dei Canossa è scomoda per l’assetto politico militare dell’Italia, e molti sarebbero disposti a tutto per annientarla.

La madre, per preservare i vastissimi territori del suo casato, come spesso avviene nel medioevo, è costretta ad un matrimonio di interesse e sposa il duca di Lotaringia Goffredo il Barbuto, un condottiero di pochi scrupoli e dalle grandi capacità guerresche, e così i Canossa, annettono la Lotaringia all’Italia centrale, diventando la famiglia più potente d’Europa.

Quando Papa Benedetto X muore, i Canossa sostengono il vescovo di Lucca Alessandro II, contro Onorio II voluto invece dall’imperatore. Forse nasce da qui la fraterna alleanza con la chiesa e la marcata contrapposizione verso l’impero tedesco. Nel contratto di matrimonio tra Beatrice e Goffredo, per blindare l’unione delle due famiglie, è previsto che la giovane Matilde sposi il figlio del patrigno, Goffredo il gobbo. Lui non è certo un campione di bellezza, perché è affetto da un grosso gozzo e da una vistosa gobba. Immagina quindi lo scoramento di una bella e colta giovane dai capelli rosso fuoco, rampolla della più nobile famiglia italiana, che deve congiungersi con un uomo che non vuole. Attenzione però, perché qualche anno dopo, Matilde sarà vittima di una sorta di pena del contrappasso, perché sarà lei ad essere rifiutata da un uomo. Ma non anticipiamo gli eventi e procediamo con ordine.

Seppur riluttante, è consapevole dei suoi doveri nobiliari e coniugali, e quindi accetta di seguire il consorte in Lotaringia. Rimane persino incinta di una bambina che però morirà subito dopo la nascita. Anche questo evento probabilmente segna il suo carattere, e le porterà l’accusa di malocchio, per non aver dato un erede maschio al suo “Signore”. Insinuazioni che le arrivano dalla Corte dove ora vive, e che sorprendentemente non vengono messe a tacere dal marito. Voci che la mettono in serio pericolo, tanto che nel 1072 decide di fuggire rientrando a Canossa, dalla madre.

Qualcuno, quattro anni dopo, quando il marito sarà vittima di una congiura e verrà ucciso a tradimento, con una spada infilata nell’ano, proprio così – nell’ano –, insinuerà che la mandante dell’omicidio sia stata proprio lei. Certo è, che nell’occasione, Matilde non versa al clero neanche mezzo ducato per l’anima del marito defunto, né fa recitare una messa o gli dedica una chiesa, come si faceva a quei tempi tra i nobili.

Quando muore la madre, eredita il titolo di Contessa e quello di Duchessa dei feudi che vanno da Tarquinia al Lago di Garda, oltre alla Lorena e alla Vallonia. Il legame spirituale con il Papa si consolida ulteriormente, dando voce a dicerie di una loro presunta relazione amorosa. Ma è solo propaganda dell’imperatore che sostiene persino che lei sia una strega. Vero è invece che Matilde è una fervente cristiana ed ora un’irriducibile nemica del suo secondo cugino, l’imperatore Enrico IV di Franconia. Perché non solo pretende di nominare direttamente i vescovi tedeschi, sostituendosi al pontefice, ma scende in Italia, per conquistare i feudi della nobildonna. Azioni che gli attirano la scomunica di Papa Gregorio VII. Un’arma micidiale per quei tempi, non tanto perché comporta l’estromissione dell’imperatore dai riti religiosi, ma perché libera i sudditi dal dovere di prestargli fedeltà.

Il sovrano è perciò costretto a cambiare atteggiamento, e chiede di incontrare il Papa che si trova ospite di Matilde nel castello di Canossa. Un po’ come questo maniero.

Nel gennaio del 1077 Enrico IV raggiunge la rocca chiedendo il perdono del pontefice. Per penitenza deve restare inginocchiato fuori dalle mura, col capo cosparso di cenere, tra la neve ed il vento gelido, per tre giorni e tre notti.

Matilde di Canossa va incontro al vescovo di Modena, miniatura dalla Relatio de innovatione ecclesia sancti geminiani,
Matilde di Canossa va incontro al vescovo di Modena, miniatura dalla Relatio de innovatione ecclesia sancti geminiani

In una miniatura del XII secolo, tratta dalla Vita Matildis, la duchessa compare al centro della raffigurazione. Qui il papa non c’è neppure perché è rappresentato dall’abate di Cluny suo vicario, quello a sinistra con il bastone pastorale, che sembra voler suggerire all’ignaro spettatore proprio la donna seduta su di una specie di trono, dicendo vedi “È lei la vera protagonista dell’intercessione tra il potere spirituale e quello temporale”. Qui l’imperatore appare come un personaggio secondario, potrebbe anche non esserci, e comunque è rappresentato molto più piccolo dei due, quasi fosse una comparsa. E l’abate sembra voler ordinare anche a lui, oltre che a noi, di tributarle il ringraziamento, perché Matelda ha il merito di aver convinto Gregorio VII a ritirare la scomunica, e quindi ha salvato la pace.

Immaginati con che spirito un uomo come Enrico IV, avvezzo a reprimere in un bagno di sangue le ribellioni dei baroni sassoni che mettono in pericolo il suo regno, possa accettare questo affronto. Ingoia l’umiliazione come piombo rovente, ma se la lega al dito e non lo dimenticherà. Ed infatti, una volta ritirata la scomunica decide di vendicarsi, eleggendo come antipapa Clemente III in aperta sfida a Gregorio VII e scendendo una seconda volta in Italia, per prendersi con le armi tutti i territori di Matilde. Emana così un decreto che la bandisce dall’impero e che requisisce i suoi feudi. Ma figuriamoci se queste pressioni possono convincere Matilde ad abdicare. Caso mai il contrario. Rafforzano la sua avversione contro l’imperatore.

Nel 1080 Enrico, al comando delle milizie e dei vescovi tedeschi che sono anch’essi soldati, raggiunge la piana nei pressi di Volta Mantovana, deciso a liberarsi di lei. È lì che avviene il primo sanguinoso impatto tra i due eserciti. Matilde – con un coraggio incredibile – è in prima linea per incitare i suoi soldati a reggere l’urto ed a non indietreggiare. Però le forze imperiali sono preponderanti, e la guerriera non può che ordinare la ritirata, arroccandosi nel suo castello sull’appennino reggiano, dove viene messa sotto assedio. Ma Matilde è una leonessa, e come dice Plutarco: “Quanto a forza e coraggio, pantere e leonesse non sono in nulla da meno rispetto ai loro maschi.”

Da abile stratega, ha fatto edificare un incredibile numero di castelli inespugnabili, assegnandoli ai suoi vassalli più fidati, che darebbero la vita per lei. Il territorio è un altro elemento fondamentale per la resistenza contro l’invasore perché permette ai suoi soldati spostamenti veloci ed attacchi imprevedibili, nelle foreste appenniniche. Una specie di Vietnam ante litteram. Dove i drappelli imperiali vengono continuamente attaccati mentre transitano nei boschi o faticano con i cavalli su per inaccessibili mulattiere. Avendo sempre la peggio. Perché non conoscono nulla di quei luoghi.

Enrico IV non si trova a combattere su di un campo di battaglia piatto, e ben arato, com’è la pianura padana, dove scatenare la sua potente cavalleria contro l’esercito matildico, ma a ripidi sentieri appenninici, calanchi, luoghi impervi protetti da rocche turrite, dalle quali in ogni momento gli abitanti possono scaricare dardi, lance, frecce infuocate od olio bollente. In cima a vette che sono irraggiungibili per i proiettili in pietra dei trabucchi e delle catapulte nemiche.

Comincia persino a girare la voce che Matilde sia riuscita ad imprigionare il diavolo in una piccola ampolla, costringendolo a rendere inviolabile la rocca di Canossa. Non sappiamo se questa diceria derivi da qualche suo denigratore o sia uno stratagemma, frutto della sua astuzia, ma certo è che Matilde è figlia di un’epoca in cui la superstizione la fa da padrona, e dove spesso, persino i sovrani si circondano a Corte di astrologi e indovini. Così, anche questa leggenda contribuisce a formare un formidabile deterrente per le truppe dell’imperatore, costituite da contadini e popolani analfabeti, che suggestionati da queste dicerie di magia e di occulto non vedono l’ora di abbandonare il campo e tornare in Germania.

E poi da abile stratega intuisce la forza della propaganda “visiva”. Una leggenda racconta che nelle serate d’assedio organizzi concerti di musici sulle mura del maniero, illuminati dalle fiaccole delle guardie sugli spalti. Che l’imperatore veda quanto poco terrore incutono le milizie nemiche accampate fuori della rocca. Si narra persino che di tanto in tanto mandi una “grossa vacca” a pascolare fuori dalle mura per dimostrare ai tedeschi che ha tante di quelle scorte di cibo da essere in grado di resistere più di loro all’assedio.

Con questi presupposti la rivincita matura in fretta. A Sorbara l’esercito imperiale viene preso in una morsa dalla fanteria e dagli arcieri di Matilde. Anche perché gli eserciti di Milano, Cremona, Lodi, Piacenza, Bologna si schierano dalla sua parte. Come castelli di carte le truppe imperiali stanche e demotivate crollano sotto le armate alleate. I tedeschi sono scesi dal Brennero giù fino all’Emilia combattendo alacremente giorno dopo giorno, subendo imboscate e guerriglie che lasciano sul campo un numero sempre maggiore di uomini. Ora sono sfiancati. Mentre le milizie di Matilde e del Papa sono fresche e riposate. È un successo su tutti i fronti, perché la nobildonna ha un carisma incredibile che suscita passioni forti ed entusiasmo anche tra i più tiepidi. L’imperatore batte in ritirata e abbandona l’Italia, mentre lei diventa la leonessa del Papa, e la sua spada protettrice.

Facciamo adesso un salto in avanti. Matilde ha superato la quarantina e le diventa sempre più faticoso reggere da sola il governo del suo regno, in un mondo di uomini spietati, disposti a tutto per sottrarglielo. Proprio su consiglio della sua Corte decide di organizzare un matrimonio politico per inquartare il suo casato con quello del ducato di Baviera, una delle famiglie che è sempre stata antimperiale. Il problema è che l’erede del ducato è il sedicenne Guelfo V (in tedesco Welf), un adolescente. Le nozze, tuttavia, fanno parte di una rete di alleanze obbligate e per giunta sono volute anche dal nuovo papa, Urbano II, allo scopo di contrastare efficacemente l’imperatore.

In prossimità del suo matrimonio con il suo futuro sposo, che non ha mai visto, gli scrive una lettera da cui traspare tutta la sua fragilità di donna, capace di combattere persino contro i draghi se necessario, ma assai digiuna di questioni di cuore:

«Non per leggerezza femminile o per temerarietà, ma per il bene di tutto il mio regno, ti invio questa lettera accogliendo la quale tu accogli me e tutto il governo della Longobardia. Ti darò tante città, tanti castelli, tanti nobili palazzi, oro ed argento a dismisura e soprattutto tu avrai un nome famoso, se ti renderai a me caro; e non segnarmi per l’audacia perché per prima ti assalgo col discorso. È lecito sia al sesso maschile che a quello femminile aspirare ad una legittima unione e non fa differenza se sia l’uomo o la donna a toccare la prima linea dell’amore, solo che raggiunga un matrimonio indissolubile. Addio.»

Quanto dev’esserle stato difficile aprire il suo cuore così, ad uno sconosciuto. Il matrimonio si celebra, ma lei ha 43 anni mentre lui ne ha 17. E succede quello che è immaginabile. Il duca si rifiuta di consumare le nozze. Il terzo giorno – dicono le cronache – Matilde si presenta nuda su di una tavola preparata ad hoc dai suoi servi e gli dice: «tutto è davanti a te e non v’è luogo dove si possa celare maleficio». Ma Guelfo rimane di ghiaccio e di consumare l’amplesso con lei non ci pensa minimamente.

Tutto sommato mettiamoci per un momento nei suoi panni. Se oggi una donna di 43 anni può tutto sommato definirsi ancora una giovane donna, mille anni fa una quarantatreenne era semplicemente una vecchia. Perdona la franchezza ma è così! A quel tempo una donna si sposava a 13 anni ed a 14 spesso aveva già partorito. Dunque, a 43 anni poteva essere già nonna se non addirittura bisnonna! Insomma, i 43 anni di mille anni fa non sono i 43 anni di oggi. Ma tornando a quell’episodio, raccontano le cronache che Matilde, indignata e furiosa per il rifiuto, lo assale a suon di ceffoni e gli sputa addosso cacciandolo con veemenza dalla stanza con queste parole: «Vattene di qua, mostro, non inquinare il regno nostro, più vile sei di un verme, più vile di un’alga marcia, se domani ti mostrerai, d’una mala morte morirai…».

Buon per lei che si chiama Matilde di Canossa, perché pensa se questa minaccia “d’una mala morte morirai” fosse stata proferita da una qualsiasi popolana? Sarebbe scattata subito un’accusa per eresia. E anche se il reato di stregoneria è ancora là da venire perché verrà concepito solo qualche secolo dopo, l’incolpazione per anatema l’avrebbe portata direttamente sul rogo. Com’è strana la vita… Matilde era stata vittima nel primo matrimonio con Goffredo il Gobbo e tutto sommato… anche se per motivi diversi lo è anche con il secondo marito.

Giungiamo così al 1093 quando il figlio secondogenito dell’Imperatore, Corrado di Lorena, sostenuto dal papa, da Matilde e da una lega di città lombarde, si mette contro il proprio padre e viene incoronato Re d’Italia. Lei libera ed accoglie nel suo castello persino la moglie dell’imperatore, Prassede, figlia del Re di Russia e vedova del Marchese di Brandeburgo, che ha denunciato al Concilio di Piacenza “le inaudite porcherie sessuali” che Enrico IV pretendeva da lei, e per le quali veniva relegata in una specie di prigionia-alcova a Verona. E noi che ci stupiamo dello scandalo Weinstein!

Questi fatti, nella ristretta società medievale indeboliscono il potere di Enrico IV di fronte al mondo, a tutto favore del Papa. Quando Enrico IV muore, e sul trono sale il terzogenito Enrico V di Franconia, questi riprende a sua volta la lotta contro la Chiesa e l’Italia. Ma anche se la gran duchessa ha oramai quasi settant’anni, la casa imperiale non ha il ben che minimo interesse a mettersi ancora contro di lei. E probabilmente, anche Matilde non ha più lo spirito di un tempo. Così nel 1111, sulla via del ritorno in Germania con i suoi vescovi guerrieri, Enrico V la incontra e sorprendentemente gli conferma i feudi messi in dubbio dal padre, incoronandola Vice Regina d’Italia e Vicaria Imperiale.

Sottoscrizione autografa di Matilde - Matilda, Dei gratia si quid est. Subscripsit - giugno 1107
Sottoscrizione autografa di Matilde – Matilda, Dei gratia si quid est. Subscripsit – giugno 1107

La nostra protagonista muore nel 1115 e di lei ci rimane la firma che rimanda ad un motto di San Paolo e che è contrassegnata da una croce, simbolo autografo utilizzato solo dai Papi o dagli imperatori, che recita: “Matilda Dei gratia si qui est” – “Matilde che se è qualcosa, lo è per grazia di Dio”.

Verrà rappresentata in una scultura che si trova a Firenze, per l’eternità, nell’atto di reggere con una mano la mitria del papa e con l’altra il bastone imperiale. Dimostrazione che la vera vincitrice dello scontro tra chiesa ed impero, fu lei.

Fu la più grande figura femminile del XI e XII secolo. Affrontò di tutto, dagli intrighi di palazzo fomentati dai suoi nemici, alle battaglie più feroci, dove – certo – di sangue ne vide scorrere a fiumi. E alla sua solitudine sentimentale. Ma fu nel contempo una donna non solo nobile nel lignaggio, ma anche nell’animo, e nello spirito. Si sedette al tavolo dei potenti, ma anche a quello dei più deboli, che la consideravano come una sorella, e che abitavano le contrade del suo regno. E trattò gli uni e gli altri con lo stesso nobile rispetto. Edificò non solo fortezze inespugnabili, ma anche chiese, conventi, abazie, scuole. Le donazioni che fece ai poveri ed alle madri vedove non si contano, tanto furono ingenti. Così che a distanza di mille anni, nei luoghi che ha attraversato e abitato, si può dire che si percepisca ancora la sua essenza e che non ci sia uomo o donna che ne conosce la storia che non parli di lei con rispetto e benevolenza.

Chissà se fosse vissuta solo cento anni dopo, e si fosse trovata faccia a faccia con lo Svevo, lo stupor mundi, un genio illuminato par suo. Mi piace pensare che diversamente dagli altri imperatori con cui lei ebbe a che fare, con Federico II le cose sarebbero andate diversamente. I due si sarebbero annusati, studiati, e probabilmente si sarebbero piaciuti, quantomeno caratterialmente e politicamente. E forse, la nostra Storia avrebbe preso un altro corso.

Bene, spero che da lassù la nobile Matilde, signora di Canossa, autorizzi questa mia breve ricostruzione della sua vita. Dopo di che, un grazie di cuore a te che hai letto questo articolo e se ti è piaciuto, grazie se lo condividerai sui social.

Per Aspera ad Astra!

 

Written by Ugo Nasi

 

 

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