“Il sottotenente Gustl” di Arthur Schnitzler: la superficialità e l’arroganza di un uomo
“Durerà ancora tanto? Bisogna che guardi l’orologio… certo non starà bene in un concerto serio come questo. Ma chi se ne accorge? Se anche qualcuno se ne accorge, non ci fa caso nemmeno lui, e non ho da sentirmi imbarazzato… Solo le nove e un quarto? … Mi pare di starci da tre ore in questo concerto”[1].

Si inizia in medias res, ossia già calati nella vicenda, la quale, in realtà, non ha un vero e proprio inizio: il lettore, semplicemente, incontra il protagonista il quale, annoiato, sta assistendo ad un concerto, alle nove e un quarto di sera.
Tutto ciò che sappiamo del protagonista lo apprendiamo non soltanto dal titolo ma anche, e in pratica quasi unicamente, dai suoi pensieri.
Il racconto è, infatti, un’esposizione dei pensieri del protagonista nel suo rapportarsi alla realtà contingente che vive ed esperisce in prima persona.
Ma andiamo con ordine, seguendo quest’unica traccia che abbiamo a disposizione.
Il concerto finisce e il sottotenente si avvicina al guardaroba per riprendere il suo cappotto e, a causa del suo modo di fare arrogante e prepotente, ha un diverbio con il fornaio che si trova sempre al Caffè il cui il protagonista spesso si reca.
Il fornaio, persa la pazienza, compie un gesto che, secondo il codice militare dell’epoca, sarebbe considerato un reato molto grave: afferra l’impugnatura della sciabola del sottotenente, intimandogli, senza attirare l’attenzione delle persone, che, se non si calmerà, spezzerà la sua sciabola e rispedirà domattina i pezzi al comando.
Gustl è esterrefatto, non reagisce e resta lì imbambolato.
Il fornaio, sempre per non attirare l’attenzione (che andrebbe a scapito del militare) rilascia poi la presa e lo saluta cordialmente, andandosene.
Questo è il punto di svolta, un inizio, una giravolta quasi improvvisa degli eventi, che da qui in poi cambieranno.
Gustl è interdetto e, sempre parlando tra sé e sé, si rimprovera, dicendosi che avrebbe dovuto passarlo a fil di lama sin da subito: “E io non l’ho sciabolato all’istante? … Ma se non potevo… aveva un pugno di ferro… ero lì inchiodato…”[2].
Preoccupandosi che nessuno lo venga a sapere, si chiede che cosa dovrà fare: se riferirà la cosa al suo superiore, sarà costretto a congedarsi con infamia. In più, il giorno seguente dovrà battersi in un duello.
In un’ora circa, la sua vita è cambiata del tutto: “Io sento che adesso sono diverso da un’ora fa”[3].
Da lì, la sua decisione estrema: dovrà porre fine alla sua vita sparandosi con la sua rivoltella.
Non ha alternativa: vivrebbe sempre nel timore che qualcuno possa venire a sapere di quell’episodio, di quell’affronto. Soprattutto, del fatto che un sottotenente dell’esercito austro-ungarico non ha reagito come ci si sarebbe aspettato nei confronti di quel fornaio.
“Che uomo felice sono stato fino a un’ora fa… Ma il Kopetzky doveva regalarmi il biglietto – e la Steffi doveva disdire l’appuntamento, donnaccia! – Ecco da cosa si viene a dipendere… Questo pomeriggio tutto era ancora a posto, e adesso sono un uomo perduto e devo spararmi…”[4].
Tutto questo ci conduce ad una riflessione sul tempo soggettivo in relazione agli eventi che possono capitare e agli stati di coscienza del singolo: la serata procede comunque, le ore passano e passerebbero comunque, oggettivamente, ma per Gustl è cambiato tutto, in una manciata di attimi.
O, forse, il suo mondo interiore, fatto di arroganza e presunte certezze, sta per crollare e lui pare, a tratti, accorgersene, anche se ogni tanto si lascia andare a delle divagazioni sul suo passato e su che cosa la gente dirà al suo funerale. Non c’è un solo tempo, almeno dal lato soggettivo: egli stesso vive contemporaneamente (mi si passi il gioco di parole) nel presente, nelle sue convinzioni infrante, in un futuro da lui ipotizzato e nel suo passato, in un turbine confusionario eppure cosciente della frattura con ciò che c’era prima di quello scontro al teatro.
“A chi sta in alto è più facile che la caduta faccia danno”, come scrive il drammaturgo latino Publilio Siro. Tanto più ci crediamo di essere, nell’ipertrofico io, tanto più farà male quando la vita, ci mette davanti ciò che davvero siamo, una volta che la maschera che indossiamo cade e noi rimaniamo nudi.
Le presunte certezze che hanno reso alcuni (come Gustl) arroganti e prepotenti si sfaldano come un foglio di carta che brucia nel caminetto, lasciando solo un soffio di cenere: inevitabile che subentri una profonda confusione.
Continuando il suo vagare per la Vienna notturna, il sottotenente giunge al Prater, per proseguire le sue riflessioni e lì si addormenta su una panchina, sfinito.
Risvegliatosi sul far dell’alba, dopo una breve sosta in una chiesa, si dirige verso il Caffè che è solito frequentare, per consumare la sua ultima colazione prima di spararsi.
Lì apprende che il fornaio ha avuto un infarto la notte scorsa ed è morto.
Il protagonista deve faticare non poco per non far trasparire la sua gioia: ora nessuno saprà mai che cosa è successo la sera prima a teatro.
“Credo di non essere mai stato così contento in vita mia… È morto – è morto! Nessuno sa niente, e non è successo niente! – E che fortuna sfacciata, essere entrato nel caffè… sennò mi sarei sparato per niente – sembra proprio destino”[5], esulta tra sé e sé il protagonista, consapevole che la sua vita potrò riprendere il suo normale corso.

Credete che abbia imparato qualcosa da questa esperienza? Che sia cambiato? Che tutto quello che è successo abbia generato in lui una riflessione esistenziale sul suo comportamento e sulla vita?
“Tra un quarto d’ora vado in caserma e mi faccio frizionare a freddo dal mio attendente… alle sette e mezzo ci sono le esercitazioni col fucile, e alle nove e mezzo l’addestramento. – E alla Steffi, le scrivo che si tenga libera stasera, ne andasse di Graz! E oggi pomeriggio alle quattro… aspetta, caro mio, aspetta un po’! Sono dell’umore giusto… Ti riduco uno spezzatino!”[6]
In diversi punti si nota la limitatezza di vedute del sottotenente. Si può tranquillamente dire che, più che Gustl, la vera protagonista sia la sua superficialità e la sua arroganza, instillate in lui probabilmente dalla sua formazione ma certamente da come lui concepisce la sua posizione sociale e di conseguenza il suo rapportarsi al prossimo.
Ma le riflessioni che questo racconto genera sono anche altre.
L’io, l’interiorità, è tutt’altro che lineare e unitaria: Nietzsche, a fine Ottocento, precorrendo di poco la psicanalisi, se ne accorse, facendo albeggiare la crisi che avrebbe investito l’individuo all’inizio del Novecento, unitamente agli studi di Einstein sulla relatività.
Non vi è un “Io” bene determinato, così come non vi è un Tempo oggettivo e unico che scandisce attimo per attimo le nostre vite.
Di certo vi è un tempo soggettivo, emanazione diretta della realtà interiore, che con essa condivide la frammentazione e le contraddittorietà, al punto da mettere in seria crisi (se non invalidare) l’incrollabile principio di non contraddizione aristotelico.
“Tutto scorre”, sentenziava Eraclito, consapevole del divenire, il quale mescolava essere e non-essere (“Nello stesso fiume scendiamo e non scendiamo; siamo e non siamo”, scriveva sempre il filosofo di Efeso nella sua opera “Sulla natura”) nell’immutabilità di questa Legge che regolava il Tutto con la mutabilità: ma qui si va oltre, non appare alcuna Legge all’orizzonte, nulla di stabile, di univoco.
Sì, la vita di Gustl è ripresa come prima del diverbio nel teatro, o così egli crede, nel suo desiderio che tutto stia al suo posto e tutti stiano dove devono stare: in questo, egli si dimostra figlio di un sistema di pensiero che si sta sgretolando.
Ogni crisi può essere la fine di chi non sa coglierne gli insegnamenti, oppure un nuovo inizio, o potrebbe anche essere, purtroppo, la lezione inascoltata di menti superficiali come quella del sottotenente Gustl.
Written by Alberto Rossignoli
Note
[1] A. Schnitzler, “Il sottotenente Gustl” (“Leutnant Gustl”), in A. Schnitlzer, “Novelle”, Traduzione e cura di Cesare De Marchi, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2008, p. 57.
[2] A. Schnitzler, Ivi, p. 64.
[3] A. Schnitzler, Ivi, p. 65.
[4] A. Schnitzler, Ivi, p. 66.
[5] A. Schnitzler, Ivi, p. 83.
[6] A. Schnitzler, Ivi, p. 84.
Bibliografia
A. Schnitzler, “Il sottotenente Gustl” (“Leutnant Gustl”), in A. Schnitlzer, “Novelle”, Traduzione e cura di Cesare De Marchi, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2008