“Ragazze con i numeri” di Vichi De Marchi e Roberta Fulci: storie, passioni e sogni di 15 scienziate
Ho acquistato Ragazze con i numeri per mia figlia liceale, la quale, dopo averlo letto, me l’ha caldamente suggerito. E io ho accettato la sua cogente raccomandazione. Si tratta di 15 storie appassionanti.

Valentina Tereshkova, la prima astronauta della storia. Iniziò, tra mille paure, col paracadutismo. Si disse: “Se lo facevano loro perché non potevo farlo anch’io?”
La mamma, che non gradiva, le disse: “Sei ammattita? Quello non è uno sport per ragazze!”
Conseguenza: la giovane inventò delle bugie quando dovette andare a Mosca per imparare il mestiere di cosmonauta.
Dove, cara Valentina, scoprirai con piacere che eravate “trattate come tutti gli altri, con la stessa cura ma anche con la stessa durezza.”
Jane Goodall, etologa. Studiò per anni gli scimpanzé, non sfogliando dei libri, non visitando degli zoo, ma andando in Africa a convivere con loro (dapprima insieme alla madre e poi al futuro marito).
Un giorno si accorge che uno di loro: “sta usando l’arbusto come fosse un cucchiaio.” – per la cronaca il peloso si chiamava Davide ed era maschio. Non per fare il solito sciovinista, però…
Una tua frase storica, Jane: “Ora dobbiamo dare una nuova definizione di utensile, una nuova definizione di essere umano, oppure accettare gli scimmioni come umani.” – per simpatia e stima nei confronti di David, propendo per la terza ipotesi.
Tu Youyou, medico: studiosa dell’antica arte medicinale cinese, individuò un nuovo mezzo per combattere la malaria. “Solo il pensiero di quei poverini bambini magri, scossi dai brividi e dalle febbri malariche, e dei tanti che avevo visto morire davanti ai miei occhi, nel profondo della foresta, mi riconciliava con l’idea di aver lasciato le mie figlie. Loro almeno erano vive e in buona salute.”
Provo un grande rispetto per questa madre coraggio: ce ne vuole tantissimo per lasciare i figli al fine di lottare per un mondo migliore.
“Oltretutto io ero molto riservata, quasi timida. Lo sono ancora, non mi pace la luce dei riflettori né mi interessa essere famosa. Non mi interessava esserlo allora, quando ero giovane, figurarsi adesso che ho più di ottant’anni”: questo ti rende ancor più grande, piccolo, grande genio del mondo.
Katherine Johnson, matematica, informatica e fisica: “Ripensai a quello che mi diceva sempre mio padre quando ero piccola: ‘Non sei migliore degli altri, ma nemmeno peggiore. Ricordatelo sempre’”; è quello che un figlio vuol sentirsi dire da un genitore, qualsiasi sesso sia il loro.
La sala riunioni era proibita per le donne. Lei chiede perché. Le rispondono: “Mah, se proprio vuole, si accomodi.” – a volte basta chiedere. Grande insegnamento. A volte occorre però insistere.
John Glenn, prima di partire per un suo viaggio spaziale disse che voleva vederti: “Se lei dice che i conti tornano, sono pronto a partire.”
Rita Levi Montalcini, neurologa: “… non avevo nessuna voglia di sposarmi e di fare la mamma. Anche se non avevo la minima idea di cosa volessi fare, sapevo che non sarebbe stata quella la mia strada.” – la consapevolezza può essere anche di tipo negativo, ciò che non desideri ti può recare a quel che vuoi.
Una tua frase celebre: “Sono io mio marito”: ma l’hai detto con tono divertito a chi ti ha chiesto se sei in quel luogo col coniuge.
Margaret Mead, antropologa: “Studiare culture che stanno sparendo: cosa può esservi di più importante?”
Non lo so, Margaret. Ognuno sceglie la sua passione.
“Volevo a tutti i costi andare il più lontano possibile da casa, e quanto ho dovuto lottare per riuscirci!” Questo è il carico peggiore che colpiva e che ancora tarpa le ali alle donne: l’essere considerate le immacolate custodi di un luogo sacro.
La cosa più divina di un essere umano è la libertà.
Le differenze gerarchiche variano di cultura in cultura. A Ta’u conta di più chi ha più anni e questo vale anche per i bambini. Il compito di Margaret, ora, è di analizzare le società primitive, non di lottare per la giustizia.
Condivido la tua definizione di primitivo: colui che non usa la scrittura. Io che la amo, so che significa molto possederla o ignorarla. Tu stessa ami scrivere lettere e poesie, oltre che libri.
Essere diversi non significa essere migliori. Occorre esserne consapevoli.

Katia Krafft, vulcanologa: “Nel nostro mestiere non ci sono certezze. Si possono fare solo delle previsioni.”
Il suo è un mestiere assai pericoloso.
“Lo abbiamo sempre saputo quando era il momento di allontanarsi, magari di correre, o di mettersi al riparo, o di non avvicinarsi troppo.”
Ne sei consapevole anche quando stai morendo insieme a tuo marito.
Maryam Mirzakhani, matematica: “Ho sempre amato inventare storie…” – sono quelle che aprono la mente a chi sa sognare. Anche lei trova delle barriere, in quanto cittadina di uno stato, l’Iran, in cui alle donne tanti diritti sono negati. Ma ce la fa. A una gara sono ammessi solo maschi, e lei domanda, semplicemente: “Scusi, ma le sembra una tradizione sensata?” – la sua voce è stizzita, per fortuna la preside le dice che si può tentare.
“Avevo grandi progetti. Se confidi che la soluzione esista, e deve solo essere trovata, è molto più facile dimostrare un teorema.” – occorre avere fede, in se stessi in un primo luogo. E tu, cara, ne avevi tanta.
Wangari Maazai, ambientalista, politica e biologa: frequentava una scuola dove umiliavano coloro che parlavano l’avito dialetto kikuyu. So cosa significa perché quando andavo alle scuole medie un cartello avvertiva severamente: Vietato parlare in dialetto.
“Soprattutto ero odiata dal potere perché piantavo alberi! Proprio così. Quegli alberi che piantavo e che chiedevo alle altre donne di piantare facevano paura perché rappresentavano un progetto di Kenya diverso, dove la gente proteggeva la propria terra.”
Wangari Maazai, tu univi scienza ed etica, senza che si potesse distinguere l’una cosa all’altra. Hai fatto piantare decine di milioni di alberi.
“… continuava a piacermi il lavoro nei campi, toccare la terra, assistere alla magia delle mille trasformazioni della natura.” – questa si chiama saggezza.
Rosalind Franklyn, chimica: la scienza moderna ha creato una barriera fra sperimentali e teorici. Rosalinda è una che vuole vedere coi suoi occhi, altri invece amano usare il cervello senza rischiare nulla, se non eventuali insuccessi. Rosalind si ammala di tumore, probabilmente per l’esposizione prolungata ai raggi x durante il suo lavoro in laboratorio.
Tre scienziati si accaparrano in un qualche modo di una tua fotografia, grazie a cui, determinando la struttura del DNA, vincono il Nobel. Alla cerimonia evitano di ringraziarla, ma a lei non importa, essendo deceduta quattro anni prima.
Poi il mondo scoprì la verità.
“… il nostro è un mestiere difficile, e affermare qualcosa con certezza richiede fatica, tempo, notti insonni!”.
Un racconto, il tuo, che mi ha fatto male.
Vera Rubin, astronoma: la madre l’avverte che scopo nella vita è di evitare quel che si detesta. “Era il suo modo di insegnarmi la libertà.”
“… osservai degli strani fenomeni che nessuno aveva notato prima: le galassie non si distribuivano in modo omogeneo ma tendevano ad ammassarsi lasciando degli enormi spazi che sembravano vuoti.”
La sua idea non piacque granché. Più tardi la comunità scientifica cambiò idea.
Anche lei lottò per l’uguaglianza dei sessi. Doveva andare in bagno, ma erano solo per uomini: “… ritagliai la figura di una donna e l’incollai sulla porta del bagno accanto a quella di un omino. Il divieto era infranto.”
Quel tuo gesto sancì l’inizio di nuove battaglie, tutte vinte. “Da quel momento anche le donne hanno potuto usare il grande telescopio e la farse sui moduli fu cancellata per sempre.”
La frase era: “A causa della limitazione dei servizi non è possibile accettare domande presentate da donne.”

Sophie Germain, matematica: per due volte fece fesso un genio. La prima volta toccò a Lagrange. La seconda volta a Gauss. A entrambi inviò una lettura con le sue idee matematiche. Allora non c’era i social con i profili fotografici. Si era nel XVIII secolo e non c’erano nemmeno le foto.
Ambedue i geni, superata la sorpresa, seppero apprezzare il tuo valore. E non diedero importanza al tuo sesso. Eravate tre studiosi appassionati. Nient’altro.
Laura Conti, partigiana, medica e ambientalista: donna eroica, sia durante la guerra contro i nazi-fascisti, sia durante quella contro chi faceva di tutto per occultare il disastro che aveva avvelenato la città di Seveso: “C’erano gli amici, tanti interessi, l’entusiasmo che facevo, ma una famiglia no, non l’avevo mai voluta.”
Nessuno seppe fermare la tua denuncia: “Su Seveso ho scritto moltissimo denunciando ciò che era successo.” E scrivesti della tragedia ambientale: la cultura serve a questo, a salvare la vita di chi vivrà nel futuro. Oltre che nel presente.
Maria Sybilla Merian, naturalista: la più anziana, morta circa tre secoli fa, ma ancora pimpante. “Volevo studiare animali vivi, insetti e ragni nel loro ambiente naturale, in un paese lontano!”
Nel frattempo ti sei lasciata col marito che non condivideva i tuoi aneliti. Non dico che facesti bene o male. Dico che hai esercitato il tuo diritto all’autodeterminazione.
I tuoi disegni ispirarono scienziati del calibro di Linnaeus.
Hedy Lamarr, attrice e inventrice. Il marito “voleva controllarmi? E io ero fuggita. Avevo vinto io!”
Si sposò solo sei volte. Era molto bella, motivo per cui divenne un’attrice acclamata a Hollywood, ma aveva mire più ambiziose. “… avevo messo a punto con George Antheil il meccanismo di salto di frequenza per guidare i siluri evitando le intercettazioni del nemico. Era il mio contributo alla lotta contro il nazismo. Che rabbia non essere stata presa sul serio.”
Il tuo reale valore fu capito soltanto dopo 22 anni.
Grazie, Anna, per avermi fatto leggere quest’opera. Mi hai chiesto se l’ho trovata interessante. Parto da un principio, che ha solo quelle eccezioni che confermano la regola: non esistono libri che non lo siano.
Questo lo è davvero. Non lo dico per piaggeria, ma perché lo penso.
La donna non è migliore o peggiore dell’uomo: è se stessa.
Ha senso distinguere la cultura femminile da quella maschile?
Sì e no.
Sì: è nella diversità che si coglie l’unicità.
No: è cultura l’una e l’altra e si devono mischiare fra loro.
Se questo non accade, ci perde l’umanità.
Anche la donnità.
Si dovrebbe creare un neologismo che unisce concettualmente i due generi.
Ne propongo uno: la personità, che comprende sette miliardi, se non otto, di individui. Ognuno coi suoi sogni, le sue ambizioni, i suoi carismi.
Gettarne via solo uno è un peccato di Dio, come dice mamma quando rimane qualcosa in un piatto.
Non va a te, non va a lei, non va a me. Dobbiamo cercare qualcuno che lo possa gradire.
Nel frattempo chiediamo a Phoebe che potrebbe anche risponderci: Bau!
Un insegnamento del libro: per andare avanti nella vita, occorre osservare le regole e ogni tanto trasgredirle ma solo quando non se ne può fare a meno.

E bisogna faticare. No pain no gain era il motto di Arthur Shwarzenneger. E lui se ne intendeva di pesi da spostare.
Una mancanza che ho rilevato: non si parla della mia scienziata preferita, Margherita Hack.
A me è sempre piaciuta perché era un tipo schietto, che non aveva paura di dire quello che pensava. Se talvolta ha evitato di farlo, di certo non è stato per viltà, ma per pietà.
È stata una valente astrofisica che ha effettuato numerose scoperte.
Ha inoltre lottato tutta la vita per divulgare la scienza e per proteggere i diritti dell’Altro e dell’Altra.
Per me è un mito. Un bel giorno ne parleremo ancora, de visu!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Vichi De Marchi e Roberta Fulci, Ragazze con i numeri, Editoriale Scienza Gruppo Giunti, 2018