“Il vangelo secondo Gesù Cristo” di José Saramago: l’agnello che si immolò per la Gloria del Padre
Josè, perché hai scritto questo libro?
Chi è Dio?
“Dio che è dappertutto, era anche lì, ma essendo ciò che è, puro spirito, non poteva accorgersi come la pelle dell’uno sfiorasse quella dell’altro.”
Un Dio ignorante, o che forse vuole ignorare quel che non gli interessa? Che è tutto, ma che si rivolge solo a quella parte del creato che rientra nei suoi piani?
“In realtà vi sono cose che neppure Dio capisce, anche se le ha create.”
Capita: non si può sapere tutto, occorre scegliere. Questo è un Dio che sceglie quello che desidera.
Egli ha una sua corte che agisce per lui e grazie a lui.
Un Angelo comunica qualcosa a qualcuno, perché il suo Principale, Dio, lo ha delegato. Poi si trasforma in qualcosa d’altro, dissimulandosi, sparendo fino a quando non dovrà notificare un altro messaggio.
Giuseppe fissa il suo figlioletto e sa che quel pargolo, come tutti quanti, è un essere destinato alla morte, ma per lui sarà come eterno se, com’è probabile, gli sopravvivrà. Per il momento il fantolino ha fame, piange, vuole la mamma con quello che solo lei può dargli. Come tutti gli altri, è un morituro bramoso di vita.
Bizzarra la legge che governa quell’angolo di mondo, per cui una colpa di un individuo viene tramandata, come una qualsiasi eredità, e qualcuno dovrà pagarne il fio. Al momento, il futuro reo gattona come tutti i suoi coetanei.
Dio decide ogni evento naturale e non, anche quanti capelli cadono dalla tua testa. È l’essere “supremo che decide della vita e della morte delle sue creature”.
Il problema degli uomini, di tutti, non solo di taluni disgraziati come Giobbe, è di trovarsi prima o poi al momento sbagliato al posto sbagliato, ad esempio in mezzo alla tenzone che ogni tanto si celebra fra Dio e il Diavolo.
Pare che ogni Dio abbia un suo popolo eletto, e questo complica non di poco le cose. A volte chi governa (in terra) queste genti deve scegliere fra diversi tipi di pene esistenziali e qualsiasi scelta che farà causerà la morte di sette oppure settanta volte sette creature di varia età e condizione.
Tanto, per Dio, più che per le anime individuali, “tutto, l’ieri, l’oggi e il domani, altri non siano che il diverso nome dell’illusione.”
Dio esige obbedienza e non perdona nemmeno “i peccati che ordina di commettere.” Un bel caratterino, eh? Mentre Dio sonnecchia, all’umanità può succedere di tutto e se le toccasse, per qualche incidente, di svanire nel nulla, forse, il fatto “lo desterebbe dal suo sonno letargico.” Appena sveglio, prima di occuparsi di tale urgenza, ordinerebbe senz’altro la colazione, battendo le sue avide manacce.
Dio poteva evitare la morte di quella trentina di bimbetti innocenti ma, se non l’ha fatto, aveva i suoi divini motivi. Se Giuseppe, com’era nelle sue possibilità, avesse informato per tempo i loro genitori, li avrebbe salvati, ma in tal modo avrebbe intralciato i piani dell’Altissimo. Non facendolo, ha acquisito il diritto di coltivare un senso di colpa che gli toglierà per sempre il sonno e la pace nell’anima, fino a quel fatidico giorno in cui (finalmente!) fu crocefisso per un crimine che non aveva commesso.
“Se daremo abbastanza tempo al tempo, arriverà sempre il tempo in cui la verità diventerà menzogna e la menzogna si trasformerà in verità.”
Tótt ha fîn, tutto ha fine, ma non la colpa eterna.
“Il Signore conosce i propri fini, il signore sceglie i propri mezzi.”
Ma non li comunica all’uomo, quando non lo giudica essenziale.
“La colpa è un lupo che mangia il figlio dopo aver divorato il padre.”
Dio creò prima la colpa e soltanto quando gli parve giusto il peccatore.
“L’uomo è un semplice balocco nelle mani di Dio, eternamente soggetto a fare solo quello che a Dio piaccia, sia quando crede di obbedirgli in tutto, sia quando in tutto suppone di contrariarlo.”
Poco dopo affermi che il narratore di talento sa scegliere come dosare gli eventi importanti e quelli meno significativi, al fine di produrre una zuppa commestibile. Ma tu, come si suol dire, te ne impipi di queste pastoie letterarie. Dici solo quello che ti serve. Sei egoista quasi quanto Dio. Che siate parenti o affini?
“Dio è occhio, orecchio e lingua, vede tutto, sente tutto e non dice tutto solo perché non lo vuole.”
Mi viene in mente quando Pasolini parlava dell’anarchia del potere. Solo il tiranno è anarchico, ma ai sudditi è permesso talvolta di essere democratici.
“Dio non vive, è.”
Noi viviamo grazie a lui, perché “il corpo è opera di Dio.”
Noi siamo le parti del suo corpo: perciò siamo i suoi organi: suoi, non nostri.
Ma c’è un limite in Dio (che però Altri, non Lui, pagano): “Non può non volere quanto ha voluto in precedenza.” E non sa dimenticare che un giorno dovrà riscuotere i suoi crediti (i nostri debiti).
(C’è però un motivo per cui Dio ci fa morire tutti quanti e lo dice: “Non ho altro rimedio, mica posso congestionare il mondo.”; ehi, Dio, e se Tu provassi ad allargarlo un po’, ‘sto infimo cosmo? Ah, non devo nemmeno provarci a darti dei suggerimenti? Oh, scusa!).
Tornando un attimo a Cristo, che in realtà dovrebbe essere il protagonista del racconto, tu sfati una leggenda: Dio “ha mischiato il suo seme con quello di Giuseppe.”, ergo Cristo ha due papà, uno dei quali è deceduto, l’altro invece è immortale. Dio ha utilizzato la sua assurda attività chiamiamola pure sessuale Sui generis, per produrre un figlio, perché prima o poi gli servirà. Questa del resto è la funzione tradizionale del sesso: creare della forza lavoro. Nonché servire il Capo Famiglia.
Tempo fa era così anche da noi. L’uomo comandava alla moglie, da cui pretendeva il voi. La sera, la donna gli si accostava e chiedeva, umilmente: Vrî druvêrla stasîra? – volete adoperarla, quella mia funzione, stasera? Il Vecchio decideva, in maniera per lo più accondiscendente: Vîn ché!, le ordinava, vieni qui!, e compiva benevolmente l’atto. La domenica, giorno del Suo riposo, egli mangiava bene. Il resto della famiglia s’accontentava di quel che c’era.
Qualsiasi uomo è figlio di Dio, anche Giuseppe, anche Gesù. Ma quest’ultimo è doppiamente figlio di Dio, in quanto è l’Unigenito. Che si sappia, il Signore non ha copulato con nessun altro che con la sedicenne moglie di Giuseppe. E conseguenza di quest’atto sacro è la nascita di questo povero e miracoloso Cristo nostro.
E il disgraziato incontra ora un Vecchio Barbuto (Dio, che già aveva conosciuto, anche se prima aveva assunto una forma nebulosa) e un altro Essere che gli somiglia parecchio, ma “più giovane e con meno rughe”, il Diavolo. Cristo lo riconosce: è il suo antico Pastore, che aveva il compito di tenere a bada il giovane: “Dovevi pur vivere con qualcuno, con me non era possibile, con la tua famiglia non volevi, rimaneva soltanto il Diavolo”. Così gli spiega un quasi ironico Signore.
Dio poi afferma qualcosa che non capisco bene: “È da quattromila anni che sono il Dio degli ebrei.” Boh! E prima? Ah, è vero, il mondo non esisteva ancora!
Propongo quest’allegoria: Dio ha un riflesso, che è il Demonio. Il creato è lo specchio che Gli permette di rappresentarsi. E di rimirarsi.
Vado per sintesi: Gesù è stato prescelto perché, con la sua miracolosità, permetta alla nuova tribù universale cristiana di vincere le tribù che appartengono ad altri Numi, non meglio specificati. Avrà una gloria immensa, che sarà postuma, perché dovrà soffrire tanto e poi morire. Però poi Dio gli troverà un posto vicino a sé: sembra tanto una promessa elettorale, ma non lo è.
Gesù sa che non può esimersi dall’obbedire e votare se stesso al sacrificio.
Il fatto è che gli Dei non si degnano di sporcarsi le mani, combattendosi direttamente, ma hanno sempre bisogno di intermediari. Dio ha sì gli Angeli e gli Arcangeli, ma ha bisogno di uomini, di militi in trincea. Non si vincono le guerre coi soli generali, serve anche la carne da cannone. Non sono solo cavoli loro, ma decisamente nostri!
Dio qui e Dio là!
Josè, Dio ti abbia in gloria, hai enumerato, in tre pagine e mezzo del tuo immenso romanzo, tutta una serie di martiri della fede che ho sentito di dover leggere per devozione. Non verso di loro, ma nei riguardi del tuo Libro. Di Te, insomma.
Dio, poi, si mette a cianciare di Crociate, di Santa Inquisizione e di tutte le mortifere prelibatezze di cui si adornerà il cristianesimo, tanto che il Diavolo non riesce a celare un suo mirabile pensiero: “Bisogna proprio essere Dio per amare tanto il sangue.”
Egli vorrebbe impedire tutte queste vie crucis, anche quella che, con Gesù, darà il nome a ogni forma di disgrazia umana. Si dice, sempre a Reggio: mèj na crōš môrta che na crōš vîva, meglio una croce che abbia finito di far penare.
Pastore propone a Dio di perdonare le sue malefatte, di consentirgli di tornare nei ranghi celesti, e di elargire all’umanità ogni sorta di felicità. Il primo figliol prodigo anela una sua resurrezione!
Dio non ci pensa neppure: “Non ti accetto, non ti perdono, ti voglio come sei e, se possibile, anche peggiore di adesso.” Diversamente il “bene non esisterebbe senza il male che sei tu”. Un bene diverso da questo sarebbe inconcepibile anche a quel Mostro di Sapienza che è Dio. Un vero e tragico Mostro, che probabilmente ci meritiamo.
Dovendo scegliere fra Dio e Pastore non avrei forse dubbi. Il secondo dice: “mi sono limitato a prendere ciò che Dio non ha voluto, la carne, con la sua gioia e la sua tristezza, la gioventù e la vecchiaia, la freschezza e il marciume, ma non è vero che la paura sia una mia arma, non ricordo di essere stato io a inventare il peccato e il suo castigo, e la paura che li accompagna sempre.”
Una verità tanto evidente che solo Lui può negarla. E infatti non gli risulta gradita: “Taci, lo interruppe Dio, spazientito, il peccato e Il Diavolo sono i due nomi di una stessa cosa.” L’importante è che i due si mettano d’accordo si mettano d’accordo almeno sulla Teologia (dubito). Gesù accetta di recitare la sua parte, perché sa di non poter scegliere. E tutto accade come deve accadere. Sia fatta la tua Volontà, Signore.
Torniamo al problema iniziale: perché hai scritto questo libro sacrilego? Dio è colui che ci ha dato la vita e ce la toglie. È colui che ci dà il male e ce lo toglie. Non si sporca, ripeto le sue mani, utilizza quelle altrui (il Diavolo è soltanto uno dei suoi tanti accoliti, forse il più prestigioso).
José! Perché hai allestito quest’osceno e terribile teatro? A che pro?
Ci ho pensato ieri sera, prima di addormentarmi e, sul punto di piombare in quella beata oscurità, mi è parso per un attimo di aver capito, ma ora non ne sono per niente certo.
Quando hai scritto questo libro, nel ‘91, avevi meno di settant’anni. Non avevi ancora vinto il Nobel, ma dubito che fosse quel simulacro di gloria che ti mancasse e ti rendesse così inquieto. Stavi inoltrandoti nella tua tarda età. Non lo sapevi allora, ma avresti ancora vissuto un’altra ventina d’anni. Secondo me avevi tanta paura di morire. O di vivere?
C’è Riccardo, il mio primo lettore, che obietta, dicendo che quando hai scritto Il Vangelo eri un uomo più che felice, anche se non più giovanissimo. Nel 1988 avevi sposato in seconde nozze Pilar Del Rio, una giornalista più giovane di te di trent’anni, che col suo amore ti aveva completato, come tu stesso dichiarasti. Eri pieno di vita e vigorosissimo. Il Nobel ti è stato assegnato perché questo romanzo, insieme a Cecità, ti avevano procurato una fama mondiale. E che quando lesse il tuo Vangelo, lui ebbe l’impressione opposta, che bisognava essere davvero giovani dentro per scriverlo, ed essere un genio della scrittura, ovviamente. Può essere. Quien sabe? Un giorno me lo dirai.
Joao, a me il romanzo pare una smisurata bestemmia lanciata a Qualcuno in cui non ho ancora capito se ancora gli credi, almeno un po’. È sicuramente l’opera di un uomo in crisi, che non sa se guarirà, oppure se morrà per l’eternità. Resta un mistero, come tutti i libri che trattano argomenti sacri.
Tu hai dato una gragnola di colpi micidiali alla religione in cui sei nato e cresciuto. Forse l’hai fatto per vedere come reagisce quel poco o quel tanto che di essa è in te. O forse hai già scelto, fra Dio, Pastore e Gesù. Tu ti senti molto simile a quest’omiciattolo, non negarlo. Anch’io.
Reagire a un libro, per me, è descrivere le mie sensazioni senza farlo mai troppo direttamente, ma lasciando assai parlare i protagonisti. In questo caso ho fatto un’eccezione: Gesù è il personaggio principale, che è molto interessante, molto commovente, ma che non mi provoca la scrittura.
Che ti piaccia o no, quell’Energumeno Divino con le Sue Infinite Spalle oscura il resto del (Suo) mondo e risveglia la Bestia che è in me.
E noi non possiamo che provare pietas per quell’omuncolo da nulla, così sperduto e gemente, che alla fine è il Nazareno nato a Betlemme. Ci riconosciamo in lui: questo è poco, ma sicuro. Dentro di me, però, non riesco né ad ammirarlo, né a condannarlo. È una delle infinite vittime della Storia, questo cosmo micidiale e inevitabile, che tanto mi fa orrore.
Sono certo che è stato importante prenderne coscienza. E di questo ti ringrazio, caro. Ma io cerco Altro. Non so che cosa, purtroppo. Ma credo abbia a che fare con la Speranza.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
José Saramago, Il vangelo secondo Gesù Cristo, Einaudi, 2002