“In questo mondo”, docufilm di Anna Kauber: le donne pastore, realtà italiana poco conosciuta
“Perché quello italiano è un paesaggio agrosilvopastorale, che mi ha offerto la possibilità di affrontare temi legati all’ambiente, al cibo, ma anche questioni di etica e di politica.” – Anna Kauber, regista
Sono 100 le storie che la regista Anna Kauber ha raccolto per dare vita al docufilm In questo mondo. Testimonianze selezionate attraversando l’Italia da Nord a Sud percorrendo circa 17000 chilometri.
“Ho fatto un viaggio in India che mi ha permesso di avvicinarmi ad un’esperienza di riappropriazione della terra da parte dei contadini del West Bengala che combattevano contro le multinazionali, li ho ripresi per 15 giorni stando insieme a loro.” – Anna Kauber, regista
Esperta di ambienti agricoli inseriti in un paesaggio altrettanto agricolo, la regista, grazie ad un egregio lavoro ha dato voce a donne che si occupano di pastorizia. Mestiere, un tempo appannaggio soprattutto degli uomini.
Ma esistono mestieri per uomini, differenti da quelli per le donne? A prescindere dalla maggiore forza fisica posseduta dagli uomini per svolgere lavori che richiedono un ampio sforzo muscolare. È naturale chiedersi, oggi, superato l’anno Duemila.
Oppure, è un’attività che ha radici lontane nel mondo agricolo di una volta, di cui le attività femminili erano già parte integrante?
A testimoniare la vita contadina di un’epoca passata sono miei ricordi di un tempo che fu. E che, associati a racconti familiari andati quasi sepolti da grande spazio temporale, hanno acceso in me la memoria della mia nonna paterna.
Fatti questi collocati nei primi decenni del Novecento in Piemonte, nell’Astigiano per l’esattezza, zona dall’indubbia connotazione agricola e viticola, e territorio di cui in parte le donne già si prendevano cura.
Inserite a pieno titolo nel mondo rurale, le contadine si occupavano allora di numerose attività, dal lavoro dei campi alla cura degli animali, e non soltanto di quelli da cortile. Ma anche di mucche e pecore, i cui prodotti ricavati erano necessari alla sopravvivenza di famiglie di tipo patriarcale.
È dunque non soltanto da oggi che le donne si occupano di pastorizia, attività che necessita di un’ottima forma fisica, ma soltanto ora viene trattata tale discussione e il merito va ad Anna Kauber, che grazie al suo docufilm ha sollecitato l’interesse per una realtà finita purtroppo in un dimenticatoio, anche se un tempo era elemento trainante dell’economia italiana.
Ed è proprio sul mondo della pastorizia che si sofferma la regista, informando la platea sullo stato dell’arte di tale contesto. Ma la Kauber non soltanto ha avuto l’onere di informare ed è andata oltre.
Ha indagato, in maniera approfondita e alquanto esaustiva, sul rapporto che le donne dedite alla pastorizia stabiliscono con il territorio su cui esercitano il loro mestiere, indubbiamente faticoso ma per molti aspetti gratificante.
Uno dei quali è la sinergia che si viene a creare con l’ambiente circostante e, a seguire, quella con il proprio gregge, il cui rapporto diventa quasi filiale, soprattutto quando le custodi del gregge si adoperano per alimentare i propri animali. Al momento della nascita dei piccoli, spesso nutriti con il biberon, rivelano un atteggiamento materno che ricorda una madre che allatta il proprio figlioletto, prodigandosi affinché si alimentino a sufficienza.
Da aggiungere, che pure durante il parto degli animali le donne sono estremamente efficienti e dotate di un’istintività che si fa dono naturale. Capaci di affrontare situazioni di emergenza, come nel caso di un parto difficile o di altri incidenti, è in queste situazioni che si evince la loro determinazione, dando prova di forza psicologica e di lucidità.
Ma, come nasce la dedizione verso quest’attività, indubbiamente singolare?
Sollecitazioni a cui il docufilm risponde elencando una serie di pro e di contro, che vengono da questo tipo di esperienza, e ne mette in luce le ovvie difficoltà.
Ma a riferire in prima persona e in maniera esaustiva sono innanzitutto le affermazioni delle intervistate.
Verosimilmente, la dedizione a tale mestiere nasce, in questi nostri tempi di difficoltà lavorative, dalla necessità di avere un’occupazione che sia in grado di procurar loro l’indipendenza economica.
In altri casi, invece, sono guidate dalla passione per il mondo animale, da cui emerge una vera e propria vocazione. Senza trascurare l’aspetto economico, il quale vede le donne affrancarsi dalla dipendenza finanziaria che ne può venire dalla convivenza con un partner. Anche se, alcune di loro, come dichiarato, il partner ce l’hanno, e a volte esercita lo stesso tipo di professione.
Modello di efficienza e di competenza acquisita a diretto contatto con gli animali, le donne sono protagoniste assolute di un ambiente sano e salubre. Dove, in luoghi anche impervi ma idilliaci, si possono calare in uno stato mentale che si avvicina alla trascendenza di memoria buddhista, raggiungendo un totale stato di beatitudine e di ascesi, che non si può riscontrare in realtà urbane, caotiche e non sempre vivibili.
Donne coraggiose e senza timore, le pastore attraversano i pascoli fino a raggiungere le zone dell’alpeggio e, quando è il momento della transumanza sono ancora lì, pronte ad affrontare il nuovo compito. Affiancate da cani, premurosi e idonei alla sorveglianza del gregge, anche con loro le donne hanno un rapporto speciale; avvertite dai cani come leader, le seguono con una fedeltà senza pari, e con estremo impegno sorvegliano il gregge scongiurando eventuali pericoli, la presenza di lupi, per esempio.
Le pastore, di cui il documentario dà conto, hanno età e appartenenza culturale diversa, ed anche modo di esprimersi fra i più disparati, come si evince dalle loro testimonianze non filtrate dall’occhio invasivo di macchina da presa sofisticate, le quali avrebbero potuto intimidirle. Che, senza alcuna reticenza raccontano la loro esperienza con una immediatezza e una naturalezza, che danno al documentario una vena di inedito realismo. Il che non è poca cosa.
E che si fa pure filo conduttore di una narrazione durante la quale, senza alcuna differenziazione fra donne del Nord e del Sud, emerge una passione non comune per tale mestiere, oltre che la serietà con cui viene svolto l’impegno professionale. Mentre alcune di loro il mestiere se lo sono trovato cucito addosso dalla famiglia di appartenenza, perché gli animali sono frutto di eredità.
“In quell’occasione ho proiettato anche il mio piccolo documentario cui ho aggiunto le immagini della serata, le reazioni all’assaggio di questo rito indiano l’ho montato e l’ho presentato ad un concorso internazionale…” – Anna Kauber, regista
Il racconto delle intervistate, elaborato in una sintesi coinvolgente e sfociato in un interessante lavoro di montaggio, è arricchito dalla loro espressività, oltre che da gesti e immagini significative; e non ultimi i silenzi, i quali hanno contribuito a fare del documentario un’opera unica nel suo genere.
Un lavoro testimoniale, che ha preso forma grazie all’intraprendenza e al coraggio di Anna Kauber, la quale ha affrontato una questione tanto insolita quanto pregevole, sia da un punto di vista sociologico che umano. Una proposta alternativa alla società industriale, elemento economico trainante della realtà italiana, la quale favorisce un ritorno alla società agricola legata a un passato le cui tracce in parte sono andate perdute.
Quello del pastore, o pastora se declinato al femminile, è un mestiere che sta a metà fra tradizione e modernità, e come ben esplicitato dal documentario è svolto dalle donne con competenza ed abilità, forse maggiore a quella posseduta dagli uomini, perché più pragmatiche di molti di loro.
La regista, nelle sue dichiarazioni, racconta dell’esperienza vissuta durante la realizzazione del docufilm, come di un momento importante per la sua professione che l’ha arricchita offrendole emozioni inedite.
Ha condiviso la quotidianità con le pastore e, vivendo a stretto contatto con loro, ha esperimentato cosa vuol dire adoperarsi per la mungitura a mano, e non con mezzi elettrici.
Ha visto in tempo reale la nascita degli agnellini, la lavorazione del formaggio e nottetempo ha partecipato al pascolo giornaliero e a quello stagionale.
Un’esperienza singolare, presentata nel docufilm, è quella in cui una giovane donna suona il violino riempiendo il silenzio delle Dolomiti; si racconta abbia abbandonato la musica per dedicarsi alla pastorizia, mestiere in grado di regalarle un sentimento inedito di libertà, grazie al contesto ambientale da cui è circondata e dall’affetto che gli animali le manifestano, entrambi estremamente appaganti.
“La mia necessità è stata a un certo punto quella di coniugare alle conoscenze tecniche un’idea artistica e in questo senso il mezzo audiovisivo mi sembrava perfetto per condensare tutte queste visioni e rispondere anche alla necessità di una restituzione pubblica…” – Anna Kauber
Realizzato con mezzi mediatici piuttosto essenziali ma di sicura efficacia, tanto da offrire allo spettatore uno spaccato quanto mai interessante dell’universo che abbraccia la realtà delle donne pastore in Italia, il docufilm si pone anche come spunto di riflessione, grazie a testimonianze inedite intrise di grande semplicità e dall’inequivocabile contenuto umano. Valore aggiunto di un’operazione mediatica di livello.
Una riflessione che sorge spontanea è quella a proposito della parità di genere, portata alla ribalta dal docufilm; una questione femminile su cui in alcuni ambienti maschili si dibatte è sulle potenzialità delle donne in certi mestieri, la risposta è semplice: anche in questo campo sono pari a quelle degli uomini. O addirittura superiori a quelle dei loro colleghi maschi.
Si può quindi affermare che il docufilm In questo mondo è da recepire anche quale strumento di diffusione di un nuovo modello di femminismo.
Da sottolineare ancora, che la regista ha messo in campo un lavoro di non immediata fruizione per una platea aliena a questo tipo di dibattito, ma dall’insostituibile pregio di essere apripista a una discussione tutta da approfondire.
Perché, come già detto, quella della pastorizia al femminile è una realtà che pone la questione della parità di genere e del ruolo che le donne occupano all’interno di una società. Che sia rurale o urbana poco importa, importante è che il confronto dia spazio all’universo femminile e lo ponga all’attenzione che merita.
Il cui fine ultimo è che le donne vengano riconosciute come pilastro fondante di una società civile che si rispetti. Prospettiva questa di cui il documentario si è fatto promotore. E questa non è cosa di poco conto.
“Avevo l’esigenza che qualcuno vedesse quello che io reputavo del materiale su cui riflettere, così ho iniziato a fare dei video. Un incontro particolare con Tonino Guerra mi ha definitivamente convinta a scegliere questo strumento…” – Anna Kauber, regista
In questo mondo è disponibile in streaming nella speciale programmazione “Natale in Quota” del Trento Film Festival dal 15 dicembre 2020 al 15 gennaio 2021.
Written by Carolina Colombi